La Corazzata Potëmkin – Rivivere un capolavoro sulle note dei Pet Shop Boys
Il modo più degno per avvicinarsi all’opera magna di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn è quello più romantico: registrato su una vecchia VHS della TDK tra Il nome della rosa di Jean-Jacques Annaud e Ricomincio da Tre di Massimo Troisi, con il titolo e i minuti scritti sull’etichetta sul dorso in tratto pen blu; si preme FF sul telecomando grigio del videoregistratore fino al punto desiderato sul nastro e ce lo si gode nei gloriosi 4:3 di un tubo catodico Mivar degli anni ’90. Ma non è l’unica via per emozionarsi ed amare questa pellicola, che ha davvero rivoluzionato il Cinema sondando un terreno che mai prima si era sognato di toccare.
I 75 minuti di durata del lungometraggio sono densi e lasciano lo spettatore con un senso di pienezza raro. Il film del 1925 mette in scena uno dei momenti salienti dei moti del 1905, quando nella Russia zarista si tenne la prima prova generale della Rivoluzione dell’Ottobre del ’17: l’ammutinamento di una squadra navale sul Mar Nero. La pellicola, che divenne fin da subito nell’immaginario comune europeo il film di propaganda per eccellenza, fu proibita in tutte le democrazie liberali ed entusiasmò invece Goebbels. Ma La Corazzata Potëmkin non è solo un film di regime: è un dramma corale, profondo e commovente, scritto e girato da un appena ventisettenne Ėjzenštejn accompagnato da un fenomenale Eduard Tisse (di un anno più grande) alla fotografia. I due dimostrano maturità, profondità e capacità tecniche impressionanti. Danno prova di cogliere nel profondo lo spirito dei moti del 1905, riuscendo a creare una vicenda il cui girato non suggerisce alcun protagonista singolo e dove invece prorompe come attore e personaggio principale il popolo.
È d’obbligo fare qualche cenno al montaggio, tutt’ora capace di stupire, di certo l’ambito in cui il cineasta lettone si è espresso con slancio maggiore. Parte dai presupposti gettati negli anni precedenti dal’attività di Lev Kuleshov, pioniere della sensibilità cinematografica sovietica, che aveva sperimentato molto nel montaggio, giungendo alla realizzazione del cosiddetto effetto Kuleshov. Con un azzardo aveva combinato ad esempio il volto di un attore con l’inquadratura di un piatto di minestra, di una bambina in una bara o di una donna provocante, mostrando dunque come siano l’accostamento degli shot e la correlazione visiva a produrre il senso delle immagini percepito dallo spettatore. (Effetto Kuleshov – link)
Per Ėjzenštejn l’arte è una pratica sociale, veicolo di stimoli, emozioni e idee. Come dice nel suo saggio Il montaggio delle attrazioni, il suo film è un cine-pugno, un vomere che ara a fondo nella psiche dello spettatore. Il montaggio è al centro di tutto ciò in quanto mezzo attraverso cui esprimere la trasformazione dinamica: l’accostamento di due fotogrammi ne La corazzata Potëmkin non avviene mai con omogeneità, ma per contrasto, scontro. Il montaggio di Ėjzenštejn è conflitto, dramma.
La messa in scena è studiata affinché ogni inquadratura abbia una proprio significato precipuo. Il regista sovietico sa sfruttare la componente emotiva raggiungendo il preciso intento di far identificare lo spettatore nella collettività proiettata di fronte ai suoi occhi attoniti. In tal senso si spiega anche la scelta di porre il volto dei soldati sempre in ombra, nascondendo e negando loro di fatto un’umanità. Inoltre grazie alla sapiente composizione delle scene la durata di alcune sequenze è dilatata temporalmente accrescendone il pathos.
Da La Corazzata Potëmkin sono rimaste affascinate generazioni di cineasti, che l’hanno citato in tutte le salse, da Gli Intoccabili di Brian De Palma, a Star Wars – Episodio III: La vendetta dei Sith di George Lucas; da Il dittatore dello stato libero di Bananas di Woody Allen, fino al comicissimo Una pallottola spuntata 33⅓ di Leslie Nielsen, passando per C’eravamo tanto amati di Ettore Scola e Hook di Spielberg e approdando perfino in Schindler’s List, in cui il famoso cappottino rosso, unica macchia di colore in un film in bianco e nero, nasce proprio dal profondo solco lasciato dall’aratro di Ejsenstein nella mente del regista americano. Del film sovietico si sono innamorati anche i Pet Shop Boys, che nel 2005 hanno scritto e registrato un album che fosse la colonna sonora de La Corazzata Potëmkin, in origine muto e cui erano stati apposti alternativamente brani dalla Sinfonia 11 di Šostakovič o alcune musiche di Edmund Meisel. Pensate precisamente sul film, le note del gruppo pop britannico vi si adattano brillantemente, sottolineando con un tratto marcato le atmosfere delle varie sequenze e riuscendo a delineare e a chiaroscurare perfettamente le emozioni visive. I rari momenti di cantato sono azzeccatissimi, i temi che si dipanano per poi ricongiungersi calzanti (la dissonanza della tromba dell’adunata, la voce riverberata del pater noster sulle stoviglie), l’ostinato del sintetizzatore angosciante al punto giusto e in alcune sequenze la colonna sonora si innalza accompagnando la drammaticità della pellicola con forza. Il finale, in cui l’urlo Братья (fratelli) echeggia sospeso è coinvolgente e commovente. Senz’alcun dubbio hanno completato un lavoro degno di nota. (Battleship Potemkin – Movie with Pet Shop Boys Score – link)
Insomma, nonostante quarant’anni fa il ragioniere più famoso d’Italia si sia pronunciato in una frase ormai divenuta leggenda, de La Corazzata Potëmkin non si può dire nulla se non che è un capolavoro. La celebre citazione fantozziana però è in realtà «La Corazzata KOTIOMKIN è una cacata pazzesca!», infatti la produzione non era riuscita ad accaparrarsi i diritti per utilizzare né il titolo originale né tantomeno il girato: quel che si vede è filmato ad hoc per Il secondo tragico Fantozzi. Quindi, alla fine dei conti, si può salvare dalla gogna anche il povero ragioniere e con lui il film di Luciano Salce.
L’opera magna di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn stupisce il pubblico moderno indubbiamente influenzato sia dalla massima di Fantozzi sia dalla comune convinzione si tratti di una pellicola lunga e noiosa. La Corazzata Potëmkin non viene proiettata su uno schermo, ma dentro lo spettatore, scandagliando con forza le sue emozioni e stampando sulla sua retina più e più immagini nei loro formidabili accostamenti, lasciandolo infine appagato e commosso.