La Cina oggi: il ritorno dell’Impero Celeste?
Alla vigilia della visita in Italia del presidente cinese Xi Jinping, mercoledì 20 marzo, al Collegio Giasone del Maino, ha avuto luogo la conferenza “La Cina oggi: il ritorno dell’Impero Celeste?”. All’evento hanno partecipato Sergio Romano, storico ed editorialista del “Corriere della sera” e i curatori del volume presentato nel corso del dibattito, “Understanding China Today” (Springer): Silvio Beretta e Axel Berfofsky, oltre all’assente Lihong Zhang.
Sergio Romano parte da lontano per spiegare quella che oggi è la seconda potenza mondiale. Precisamente, da un giorno di giugno del 1989. La repressione di alcune centinaia di giovani disarmati sulla piazza Tienanmen dimostrò la natura dispotica del leader cinese Deng Xiaoping, ma quest’uomo è stato anche un grande riformatore economico, l’artefice della svolta del Paese, della sostituzione del sistema dittatoriale maoista con quello, ugualmente dittatoriale, fondato sulla logica capitalistica. La vecchia ideologia del “servire il popolo” venne rimpiazzata da quella di “arricchirsi è glorioso“. La Cina di oggi non è una democrazia, perché alla liberalizzazione del sistema economico non è seguita quella del sistema politico, ma i suoi cittadini hanno raggiunto livelli di prosperità fino a trent’anni fa impensabili, dando vita a una sorta di torneo della ricchezza. Nonostante il benessere conquistato dopo anni di privazioni, la popolazione cinese è infelice, come indica un sondaggio di pochi mesi fa condotto da un gruppo di ricercatori sino-americani e promosso dal China Future City Lab dell’Istituto di Tecnologia del Massachussets. La società è costantemente sotto pressione, frenetica e priva di qualsiasi libertà di espressione. Nel mondo accademico in particolare la pressione è altissima e gli intellettuali cinesi ripetono costantemente la linea politica ufficiale. L’opposizione è inesistente.
Alcuni studiosi considerano le ambizioni della Cina come la nascita dello stato di civiltà, un fenomeno che caratterizza i Paesi con un immenso territorio e una popolazione multietnica, soprattutto quelli che sono stati comunisti. Se nel secolo scorso era il marxismo che unificava le differenti etnie, ora l’obiettivo è la ricostituzione della grande civiltà del passato. A ciò si devono le rivendicazioni sulle isole del Mar cinese meridionale nei confronti di altri stati, fra cui le Filippine: al ritorno alla grandezza di quello che era l’Impero Celeste. Qui la Cina costruisce delle basi militari e, benché colpita da divieto, continua a edificare: il governo cinese potrebbe servirsi di queste postazioni per estendere la propria influenza nei Paesi asiatici in cui vivono comunità cinesi.
Ma la Cina non mira solo a riappropriarsi dell’intero territorio sul quale si estendeva il decaduto impero. Un ruolo importante, essenziale, nella strategia cinese ha l’infiltrazione economica. Il Paese è da molti anni presente in Europa, soprattutto nei porti di Valencia, Marsiglia, Amsterdam, punto di penetrazione importante per irraggiarsi sul territorio e gli obiettivi dello stato sono perlopiù commerciali. Poche settimane fa, l’Italia ha firmato un memorandum con 29 punti d’intesa con la Cina, una sponda importante per la Belt and road initiative, il progetto per la creazione della nuova Via della seta. Si tratta di un’iniziativa strategica commerciale di grande importanza, che punta a fornire sbocchi commerciali per i prodotti cinesi e a espandere i flussi di investimenti internazionali. In Italia si procederà alla realizzazione di infrastrutture per includere i porti di Trieste e Genova nelle nuove rotte del commercio internazionale: ad occuparsi del loro potenziamento, la China communication construction company.
Naturalmente, gli Stati Uniti sono convinti che questi progetti debbano essere fermati. Oltre a dare vita alla guerra dei dazi, il governo degli Usa sostiene che Huawei, l’impresa di telecomunicazioni che si prepara all’applicazione del 5G, potrebbe minacciare la sicurezza del Paese ed essere usata per lo spionaggio. Gli americani hanno infatti richiesto l’estradizione dal Canada della figlia del fondatore di Huawei nonché direttrice finanziaria Meng Wanzhou e hanno invitato i loro alleati a evitare di usare l’impresa per le telecomunicazioni. La crescita vertiginosa della Cina la rende un avversario pericoloso e temibile.
La discussione prosegue con una domanda: è giusto pensare che altri sistemi politici, per essere da noi giustificati, debbano replicare i nostri ordinamenti? Come racconta Axel Berfofsky, uno dei primi luoghi in cui vengono condotti i visitatori occidentali in Cina è il collegio dove nacque il Partito comunista cinese. Qui si trova una lapide sulla quale sono incisi i cosiddetti “Trattati ineguali”, con cui l’Europa cercò di impadronirsi delle briciole del morente Impero Celeste. La memoria del Paese è costellata di sofferenze e violazioni del proprio territorio. Inoltre, come ha giustamente ricordato una ragazza cinese presente in sala, la Cina non ha mai conosciuto la democrazia. Questa parola è stata introdotta solo alla fine dell’Ottocento e il Paese, con la caduta della dinastia Qing nel 1911, ha dovuto subire l’invasione giapponese fino a conoscere il suo nuovo padrone: il Partito comunista, al potere ancora oggi.
Forse l’espressione più adatta per definire il popolo cinese è quella citata da Tiziano Terzani, nella sua opera “La porta proibita”: “Liberi di volare, ma solo in gabbia“.