AttualitàRiflessioni

L’11 settembre avevo cinque anni

 «E l’aereo s’è infilato nella seconda torre come un coltello che si infila dentro un panetto di burro. Erano le 9 e un quarto, ora. E non chiedermi che cosa ho provato durante quei quindici minuti. Non lo so, non lo ricordo. Ero un pezzo di ghiaccio. Anche il mio cervello era ghiaccio».

Così l’emblematica e controversa giornalista e scrittrice Oriana Fallaci descrive in una lettera intervista pubblicata dal Corriere della Sera, poi diventata un libro sotto il titolo “La rabbia e l’orgoglio”, il momento dell’impatto tra il volo United Airlines 175 e la Torre Sud, la seconda delle Torri Gemelle a essere colpita, ma la prima a sgretolarsi su se stessa dopo un incendio durato meno di un’ora. Lei stava lì, seduta davanti alla tv nella sua casa nel centro di Manhattan e come tanti, tantissimi altri, quel giorno ha visto in diretta ciò che nessuno avrebbe mai voluto vedere. La distruzione, la paura, la morte; a poche centinaia di metri dal proprio appartamento magari, sentendo forse l’odore acre di bruciato da una finestra lasciata aperta perché, del resto, quell’11 settembre il clima sembrava essere generoso con New York, era un bel mattino soleggiato. Scorro indietro il calendario del pc, voglio capire che giorno era. Martedì; oggi è martedì. Provo a pensare cosa una persona normale in qualsiasi angolo del mondo farebbe di martedì. Forse si alzerebbe moderatamente presto, farebbe colazione; si arrabbierebbe perché nel preparare la caffettiera ha seminato caffè ovunque. Andrebbe a scuola, al lavoro. Magari prima accompagnerebbe i figli, un fratello, all’asilo, porterebbe il cane a fare la passeggiata per la pipì. Magari raccoglierebbe i suoi bisogni imprecando per il fatto di doversi abbassare, per il fatto che abbia sporcato lo zerbino nuovo. Attenderebbe la pausa pranzo, pensando nel profondo a quanto non vorrebbe doversi sedere a quella scrivania ogni giorno. Quel giorno avevo quasi cinque anni e la verità è che non mi ricordo di quelle immagini alla tv; ho nelle orecchie una voce sfumata, ovattata, incredula, forse quella di mamma che dice a papà “Guarda cosa è successo”, fermandosi su un canale a caso, immagino che quel giorno qualunque rete televisiva abbia trasmesso quell’orrore. O forse si tratta solo di ricordi fuorviati dal passare del tempo, dall’idea di ciò che in cuor mio so che avrebbe dovuto essere.

La verità è che non so nemmeno se dopo l’impatto tutto sia stato inghiottito con il rumore più assordante che possa mai essere stato udito, o nel silenzio più totale. Qualche testimone parla del rumore del crollo, qualcuno delle urla terrorizzate delle persone per strada, qualcuno del nulla. Riguardando i video mi viene da dire che forse è accaduto un po’ tutto insieme e che dipende dai punti di vista. Di chi stava dentro, e non lo ha potuto raccontare, ma probabilmente in quel momento non pensava a questo, preferiva chiamare le persone care per un ultimo addio. Di chi stava fuori e si è trovato travolto nella calca in fuga. Di chi stava fuori ma a debita distanza, e ha avuto il tempo di pensare.

La storia dell’11 settembre la sappiamo tutti. Sappiamo a grandi linee a chi debbano essere attribuite le responsabilità, quali sono state le conseguenze, quali le reazioni. I complottisti ci hanno “mangiato” e ci mangeranno per anni. Su chi abbia stabilito il dirottamento di quegli aerei che hanno distrutto i due più imponenti e begli edifici del World Trade Center lasciando un vuoto, non solo fisico, incolmabile, e parte del Pentagono. E perché. Solo di un dato forse non tutti siamo a conoscenza, uno di quelli numerici che si fanno sempre fatica a ricordare e a cui di solito non si presta tanta attenzione perché in fin dei conti sempre di tanta gente si parla. Eppure, a me quel 2.974 scritto accanto alla parola “vittime”, fa parecchio effetto. A pensarci, si tratta praticamente di quasi la metà degli abitanti del mio paese. Come se metà paese non dovesse esserci più, come se metà dei miei concittadini non li potessi vedere mai più, come se fossero spariti tutti nello stesso momento nel nulla, puf.

E quando a qualcuno scapperà di bocca, come già successo perché l’animo umano spesso può essere meschino, o forse solo piccolo così, “Se la sono cercata gli americani”, beh ricordategli quel numero e quanti americani vorrebbero che un padre, una madre, un fratello, un amico oggi entrasse dal loro uscio di casa, ma non è possibile.

Claudia Agrestino

Sono iscritta a Studi dell'Africa e dell'Asia all'Università di Pavia. Amo viaggiare e scrivere di Africa, Medioriente, musica. Il mio mantra: "Dove finiscono le storie che nessuno racconta?"

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