Cultura

Katharine Graham: quando la stampa si ribellò al potere

«What the president never accepted, or even clearly understood, is the autonomy editors have, and must have, to produce a good newspaper. I used to describe it as liberty, not license»

La frase è tratta dall’autobiografia di Katharine Graham, Personal History, la cui versione italiana è stata al centro dell’incontro “La libertà di stampa e la forza delle donne”, svoltosi a Tempo di libri il 9 marzo, giornata dedicata al tema della ribellione. La donna ha vissuto in prima persona, come editrice del “Washington Post“, i due maggiori scandali politico-giornalistici del dopoguerra: i Pentagon Papers e il Watergate. Cinzia Monteverdi, Andrea Scanzi e Marco Lillo, rispettivamente amministratrice delegata e giornalisti de “Il Fatto Quotidiano”, con la mediazione del giornalista e saggista Paolo Mieli, hanno ricordato la forza e il coraggio della Graham, ma non solo.

Katharine Graham ha finalmente ottenuto una maggiore celebrità negli ultimi mesi grazie al film The Post diretto da Steven Spielberg, nel quale è interpretata da una strepitosa Meryl Streep. È interessante notare che questo non è il primo film che racconta gli scandali della presidenza Nixon: in Tutti gli uomini del presidente del 1976 però il personaggio femminile non compariva né veniva nominato. L’editrice è giustamente definita da Mieli la figura più affascinante della redazione del “Washington Post”, più degli stessi Bob Woodward e Carl Bernstein, i coraggiosi reporter che indagarono sull’effrazione al Watergate: parliamo di una donna che viveva nel mondo giornalistico da sempre, essendo la sua famiglia proprietaria del Post, ma che mai si era ritrovata ad occupare una posizione di comando. Fu proprio il suicidio del marito Phil a obbligarla ad assumere un ruolo primario, compito di cui la Graham si dimostrò più che all’altezza, decidendo di pubblicare documenti e scoperte che hanno causato una crisi a livello nazionale negli Stati Uniti e rischiato di mettere in pericolo l’incolumità degli stessi dipendenti.

La significativa presenza dei collaboratori de “Il Fatto Quotidiano“, un giornale fondato nel 2009 che porta già sulle proprie spalle il peso di 393 provvedimenti legali, ha reso una vicenda che ha avuto luogo negli anni ’70 estremamente attuale. Il rapporto tra la stampa e il potere è stato un argomento affrontato in maniera diretta da Andrea Scanzi, che ha ammesso senza giri di parole di non essere stato in grado di mantenere un atteggiamento imparziale nel momento in cui si è trovato di fronte a individui che conosceva personalmente. Il più grande errore in cui può cadere un giornalista è proprio quello di non saper gestire il distacco; in quanto il rischio è quello di avere una visione dei fatti deformata dal proprio giudizio. Katharine Graham era potente, una presenza costante alle feste dell’alta società, una donna che annoverava fra i membri più importanti del governo i propri amici più stretti. E proprio questa relazione così stretta la rese titubante e le impedì inizialmente di sostenere con decisione la libertà della stampa.

Ma cosa sarebbe accaduto in Italia in una situazione del genere? La riflessione di Marco Lillo ha considerato gli Stati Uniti e il nostro Paese come due poli contrapposti e il confronto è tutto a nostro danno. Quella che è avvenuta tra il “New York Times” e il “Washington Post” è una staffetta: nel momento in cui il Times è vittima di un’ingiunzione da parte del governo che lo obbliga a sospendere la pubblicazione dei Pentagon Papers, il “Washington Post” ripubblica gli stessi documenti, pur sapendo del provvedimento legale a cui necessariamente si andrà incontro. L’alleanza che si crea fra i due giornali è temporanea. Non si deve infatti dimenticare che fra le testate, nonostante non si sia ancora verificata per il Post quell’ascesa al ruolo di grande giornale nazionale, vigeva una genuina competizione. Lo spirito di solidarietà è dettato da un orgoglio di categoria che riunisce tutta la stampa in quanto organo di controllo del potere. Un fenomeno impensabile in Italia, dove non si può più parlare di grandi rivalità fra quotidiani, ma di disinteresse, e dove soprattutto nessun giornale sarebbe disposto a continuare a divulgare le notizie di un giornale che si esprime contro il governo. E questo dev’essere motivo di invidia nei confronti degli Usa.

Katharine Graham sostiene che l’autonomia che gli editori devono avere per produrre un buon giornale dev’essere considerata una libertà, non una licenza. E tale deve rimanere, perché la stampa non può essere resa docile e accondiscendente nei confronti del potere, quello di ieri, ma anche quello di oggi. La libertà di stampa, che si tende a considerare un diritto ormai acquisito, è costantemente sotto attacco, basti pensare alla popolare etichetta di fake news con cui è possibile decretare falso tutto ciò che può risultare scomodo per il Potere. Citando la motivazione della sentenza della Corte suprema americana sull’azione legale promossa da Richard Nixon contro il Post e il Times,la stampa serve chi è governato, non chi governa.”

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