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Juve-Barça: una finale oltre il risultato

A volte succede, ci speri ma non sembra affatto possibile, ci credi quando fino a poco prima nemmeno ci pensavi, stai quasi per farcela ma alla fine non riesci. Ma, in fondo, va bene così.

Succede. Così è lo sport. Così è la vita.

Ma cosa rimane dopo i 90 minuti, oltre il 3 a1, la quarta Champions blaugrana in dieci anni, la sesta sconfitta in otto finali della Juve e i nove anni dalla serie B al secondo gradino del podio europeo?

 

ALLENATORI NON NEL PALLONE

A volte sembra quasi che il destino giochi una strana partita con le nostre esistenze. Così, quando meno te lo aspetti, arriva il punto di non ritorno e la famosa “stagione di transizione” diventa l’anno in cui rischi di scrivere la storia.

Se qualcuno a inizio anno avesse detto: «Allegri a mezz’ora dal finale di stagione avrà già conquistato l’Italia e sarà in piena campagna d’Europa» nessuno ci avrebbe creduto. Probabilmente nemmeno lo stesso tecnico. Invece dovremmo (o meglio, una parte di stampa e tifosi dovrebbe) porgere un paio di scuse sia all’allenatore della Juve che al buon Louis Enrique, forse uno degli tecnici più sottovalutati di sempre tra quelli passati per il nostro paese (anche se la differenza tra creare una cultura calcistica e rimanere nella propria è enorme – ma d’altronde, in meno di un anno sviluppare un tale sistema di squadra è impossibile pressoché per chiunque).

 

NON CI SONO PIÙ LE STAGIONI DI TRANSIZIONE…

Un altro dato che emerge è che “non ci sono più le stagioni di transizione”.

Tutti noi, e luminari del calcio al seguito, a pensare che per la Juve questo sarebbe stato l’anno del ringiovanimento della rosa e della transizione post-Conte (d’altronde, la Juve di Conte era il punto più alto della storia recente bianconera, no?); mentre per il Barça avrebbe dovuto essere la stagione delle difficoltà a seguito dell’imminente conclusione dell’era Xabi-Iniesta (d’altronde, senza quei due Messi cos’ha vinto?).

Nel calcio moderno, invece, capita che una squadra, quella catalana, in ricostruzione, si ritrovi, oltre che con il migliore al mondo, anche con uno degli attacchi più forti di sempre: Neymar-Suarez-Messi sono forse il tridente Barça più completo da parecchi anni, forse dai tempi di Henry (la squadra che, sarà un caso oppure no, vinse il triplete nel 2009).

Mentre per la Juve il buon mix nuovo-vecchio, condito da una gustosa fetta di nazionale italiana, ha pagato bene. Marchisio è stato il giocatore più pericoloso durante la partita, a riprova che è ormai da parecchi anni presente e futuro bianconero e della nazionale. Classe, tecnica e personalità, in grado di creare un’ottima cerniera di centrocampo con Vidal, Pogba e Pirlo.

Barcelona's Luis Suarez, Neymar and Lionel Messi celebrate a goal against Atletico Madrid during their Spanish First Division soccer match at Camp Nou stadium in Barcelona

 

 

…MA C’È SEMPRE IL MERCATO

Se per il cileno il “pericolo” trasferimento sembra quasi certamente scongiurato, per il francese classe ’93 le offerte sono arrivate e continueranno a piovere: la cessione sembra vicina e un “piano Zidan” (incassare molti soldi vendendo un giocatore per comprarne altri, ottimi, e costruire la Juve che sarà) pare pressoché certo (la Juve, dopo aver chiuso per Dybala, sta iniziando ad entrare nella discussione Van Persie, una delle più calde in questa prima fase di mercato – non è detto che arrivi, ma è interessante notare l’attività bianconera sul mercato).

Indiscutibilmente Madama dovrà iniziare a pensare al futuro, se non all’immediato presente, perché certamente gli innesti di Pereyra e Sturaro hanno giovato, e sicuramente Barzagli-Bonucci-Chiellini hanno ancora qualcosa da dire, in patria e in Europa, ma è sempre bene restare sul pezzo. Il rischio di deragliare a mo’ di Inter 2010 non sembra alle porte, le due situazioni sono estremamente diverse, tuttavia è sempre bene tenere gli occhi aperti.

 

FROM BERLIN TO BERLIN

Ci sono poi le colonne portanti, quelle alle quali se domani, dopodomani o tra qualche anno verrà chiesto di Berlino di certo per prima cosa ricorderanno il 2006 e non il 2015, con rispetto parlando.

Gigi, un mondiale vinto nello stesso stadio, esattamente come Pirlo. Le lacrime del maestro dicono più di mille parole: il cuore di un giocatore straordinario, la sua voglia di vincere, sempre e comunque, non importa se si parta da favoriti o no, perché alla fine alzare la coppa è l’unica cosa che conta.

Ma se per Andrea si vocifera che quella contro il Barça è stata l’ultima partita in maglia bianconera (e, aggiungerei, nel calcio europeo), Gigi sembra orientato a firmare per altri tre anni.

pirlo

E POI, MESSI…

Alla fine il migliore rimane lui. È la quarta Champions in dieci anni e ancora c’è chi osa ledere la sua maestà. Recentemente è stato paragonato da ESPN a Steph Curry (MVP della NBA quest’anno, impegnato in questi giorni a giocare le Finals) per la sua capacità di creare qualcosa – utilizzando un termine cestistico – “dal palleggio”. Ecco, nel calcio non esiste un vero e proprio termine che indichi ciò, perché Messi è oltre il concetto di “giocatore che possa saltare l’uomo”: ha sviluppato la capacità di “aspettare la partita”, di osservarla e comprenderla, in modo tale che, quando conta (sabato sera, a ’30 dalla fine, sull’1-1), quando Leo è chiamato a salire in cattedra, lui già sa cosa fare, come e per quale motivo. La sua capacità di condizionare la difesa nel corso degli anni è andata legandosi, oltre che alle immani qualità di portatore di palla e realizzatore, alle sue crescenti capacità di lettura del momentum della partita e consapevolezza del proprio ruolo (abilità non allenabili, che passano attraverso l’esperienza, le vittorie, ma soprattutto le sconfitte).

 

… MA, SEMPRE E COMUNQUE, “FINO ALLA FINE”!

È vero. Per la Juve sconfitta è stata e come tale passerà agli annali. I bianconeri sono la squadra che ha perso più finali: facts. Eppure quest’anno Madama ha dimostrato che lavorando bene, spendendo il giusto, con una buona alchimia tra nuovo e vecchio si può andare lontano. E molto.

Poco importa come dai più venga definito il percorso in coppa: se Borussia e Monaco non ce l’hanno fatta è perché la Juve era più forte, mentre se la Vecchia Signora è riuscita nella doppia impresa contro il Real di Ancelotti è perché si è dimostrata più squadra.

Una rosa nella quale, ci terrei a ricordare, sono presenti giocatori che hanno giocato (e anche vinto) finale dei mondiali e di Champions (Buffon, Pirlo, Tevez, Evra), con altri che sono destinati (si spera, per lo meno con la nazionale non volendo far torto a nessun tifoso) ad altrettante grandi cose.

Una bella storia, la stagione 2014/15 della Juventus. Un anno la cui morale finale (anche se non credo di averla appresa completamente) mi ricorda in un certo qual modo quella di un racconto Zen dal titolo “Non si può rubare la luna”, che così recita:

Ryokan, un maestro di Zen, viveva nella più assoluta semplicità in una piccola capanna ai piedi di una montagna. Una sera un ladro entrò nella capanna e fece la scoperta che non c’era proprio niente da rubare.

Ryokan tornò e lo sorprese. «Forse hai fatto un bel pezzo di strada per venirmi a trovare,» disse al ladro «e non devi andartene a mani vuote. Fammi la cortesia, accetta i miei vestiti in regalo».

Il ladro rimase sbalordito. Prese i vestiti e se la svignò.

Ryokan si sedette, nudo, a contemplare la luna. «Pover’uomo,» pensò «avrei voluto potergli dare questa bella luna».

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