BirdmenCinema

Juno, la dea madre della sceneggiatura

Juno (2007), sceneggiato da Diablo Cody e diretto da Jason Reitman, è uno di quei film che può iniziare soltanto col rapido susseguirsi dei frame cartonati d’una canzone country per bambini in bretelle e ciuffetto di paglia, coi denti ancora malformati. E continuare, sotto i colpi d’un dialogato tutto americano, tagliente, velocissimo e incontrollabile:

[Dialogo iniziale fra Juno e il proprietario di un market di pessima reputazione]

Rollo: Guarda, guarda MacGuff il cane investigatore! Sei tornata per un altro test.
Juno: Forse il primo era difettoso, il segno “più” sembrava una specie di “diviso” quindi resto poco convinta.
Rollo: È il terzo test oggi Mamma Orsa. L’ovulotto è pienotto, non c’è alcun dubbio.
Ragazza nel negozio: È facilissimo capirlo. Hai i capezzoli molto scuri?
Rollo: Già, magari il tuo ragazzino ha lo sperma mutante e ha fatto centro due volte.
Juno: Silenzio, vecchio bottegaio! Mi sono bevuta il mio peso in succo di frutta e adesso devo farla al volo!
Rollo: Be’, già lo sai dov’è il bagno. [Gli consegna le chiavi] Il bastoncino lo paghi quando hai finito, non credere che sia tuo solo perché l’hai marcato con la tua urina! 

movie-juno_00212809

Juno McGuff – Ellen Page è l'(a)tipica ragazzina del Minnesota che, immancabilmente, durante un atto sessuale non protetto, rimane incinta. Sembra sempre che questi dannati americani abbiano abbastanza soldi per le sbobbe che mangiano e per i test missilistici ma mai per un pacco di profilattici. Comunque, il ragazzo, se così è pacifico chiamarlo, è Paul Bleeker – Michael Cera, un meraviglioso corridore dalle gambe snelle e depilate. Le alternative son poche: abortire o dare in affidamento?
Il cast, tra l’altro, mi rivolgo al lettore che soffre di interferenze cinematografiche, assume fin da subito carattere supereroistico: Ellen Page è oltremodo famosa al grande pubblico per l’interpretazione di Kitty Pryde / Shadowcat in X-Men – Conflitto finale e in X-Men – Giorni di un futuro passato; J. K. Simmons: Mac MacGuff è stato il perfido J. Jonah Jameson degli Spiderman di Raimi. Sorvolo sulla mia particolare confusione fra Michael Cera e il Quick Silver degli X-Men, che invece ha visto protagonista un meno sfigato Evan Peters.

Siamo di fronte a una lettura certamente americana: lo deduciamo non solo dalla mccarthiana soluzione del botta e risposta, ma anche dalla apparente ed inamidata immobilità narrativa. Al proposito temporale non concorrono la convessità e la progressivamente manifestata voracità di Juno, né le chiare indicazioni stagionali ogni quarto di film, né le canzoncine a tema. E la stessa sceneggiatrice sembra già sfregarsi le mani con un nulla di fatto, con un ribaltamento avalutativo del tutto e lo sguardo sulla piacente resa della (sua propria) incapacità.

È, quindi, una pellicola atemporale, nonostante tutto. Si stringe attorno a un universo giovanile che non conosce il tempo, che sente l’invecchiamento, come le responsabilità, qualcosa di non possibile, qualcosa di non contemplato. Juno è incinta come le nostre mamme e le maestre, sferica come un pianeta che avverte e mostra cicatrici che sono le premesse del disastro.
Inoltre, l’abbattimento pressoché generale della similitudine – fin dalla canzone, priva di comparativi – proietta lo spettatore oltre il piano metaforico, lo rende consapevole del distacco, partecipe della dissonanza adolescenziale. La passione stessa della protagonista per la musica è chiaramente spettatoriale, contemplativa, non nostalgica. I gruppi che lei ammira fanno parte di un passato che non è mai stato alla sua portata: eppure Juno dibatte con Mark Loring – Jason Bateman (certo quarantenne) su quali siano stati i migliori anni del rock: l’uomo risponde i Novanta, la ragazza i Settanta:

juno_2007_736_posterJuno: Che anno era?
Mark: ’93, il momento migliore per il rock.
Juno: Naa! È stato il ’77! La rivista punk numero uno.
Mark: Tu sei fuori!
Juno: Tu non c’eri. Non puoi neanche capire la magia.
Mark: Ma se tu non eri neanche nata!

Insomma, l’atemporalità governa una sceneggiatura che ruota attorno alle stagioni (meno una) della gravidanza. Il film ha perciò sentito carattere di compromesso, lo stesso che paiono vivere la protagonista e l’intera schiera dei suoi irritabili coetanei. Non è perciò permesso aspettarsi una narrazione impertinente, veloce, perché, pur a pieno scorrevole, certamente ostacolata da un comprensibile pessimo carattere adolescenziale, nonché misurata con grande artigianalità (sebbene d’apprendistato). Pur essendo il pezzo forte, la scrittura di Diablo Cody  (per di più Premio Oscar e Golden Globe nel 2008) si manifesta come quella d’esordio, come il rifacimento d’un progetto a lungo lasciato invecchiare bene nel cassetto: il sapore eccentrico, l’età ragionevole, l’occhio entusiasta.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *