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Joseph Goebbels: manipolatore dell’opinione pubblica nella Propaganda nazista

Se osserviamo il corso della storia sino all’epoca contemporanea in ambito sociale e politico l’opinione della maggioranza ha sempre avuto un peso notevole.  In particolare, dalla Rivoluzione Francese (che ha accresciuto la consapevolezza e la partecipazione dei cittadini nella sfera pubblica, fino ad arrivare allo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa) il ruolo del pubblico non è più stato trascurato.

Quando si possono definire un’azione, un comportamento o un’ affermazione “giusti”? A che distanza si traccia la linea di confine che, a seconda delle circostanze, separa ciò che è giusto dal suo contrario? Questi e altri interrogativi simili non compaiono soltanto al centro dei dibattiti morali, ma quotidianamente si frappongono alle nostre scelte, percezioni e giudizi personali.

Il consenso che avviene tramite il punto di vista della maggioranza non è però un criterio sufficiente per giustificare determinati avvenimenti. La visione pubblica può infatti risultare alterata come se a giudicare i fatti nel loro divenire non fosse più un occhio sano, ma uno sguardo indotto ad attraversare prima un filtro che annebbia il pensiero: la Propaganda.

Si definisce Propaganda un tentativo deliberato e sistematico di plasmare percezioni, manipolare cognizioni e dirigere il comportamento al fine di ottenere una risposta che favorisca gli intenti di chi lo mette in atto. Il meccanismo fa leva su aspirazioni o timori della folla stessa, secondo differenti gradazioni. L’efficacia della Propaganda dipende da una combinazione di elementi che troviamo negli studi rivolti al comportamento della massa di sociologi e psicologi, tra i quali spicca Gustav Le Bon (1841 – 1931) con la sua opera “La psicologia delle folle” del 1895. Dittatori come Hitler, Stalin e Mussolini lessero i contenuti del testo e si ispirarono alle tecniche di persuasione ivi descritte. Le folle non si lasciano convincere dai ragionamenti e non riflettono sulle affermazioni dell’oratore (fondamentale nella Propaganda è la figura del leader) che abilmente seleziona e unisce verità e immagini che tutti possono riconoscere e accettare, occultando al contempo le vere conseguenze che i fatti comportano. L’illusione, l’apparenza immediata – spiega Le Bon – diventa più importante della realtà. Durante i conflitti mondiali, l’enorme macchina propagandistica tramite la stampa riuscì a far ritenere sopportabili i sacrifici della popolazione, in questo caso tedesca, presentando un regime che prometteva di poter raggiungere un benessere futuro.

Ci sono casi in cui gli stessi aspetti che ritroviamo nella Propaganda politica si dimostrano positivi, o quantomeno non dannosi; si notino ad esempio le frasi di incitamento dell’allenatore alla squadra prima di scendere in campo o le filastrocche che vengono ripetute ai bambini per favorire l’apprendimento. Però, a seconda dei contenuti che si vogliono diffondere, gli effetti possono realmente condurre ad azioni terribili.

“The propagandist’s purpose is to make one set of people forget that certain other sets of people are human”

scrive Aldous Huxley (The Olive Tree, 1937).

Queste parole sembrano tra le più adatte a definire la funzione di Joseph P. Goebbels, gerarca nazista e, tra i vari incarichi, capo della sezione di Berlino del NSDAP, nonché ministro del Reich per l’istruzione pubblica e la propaganda dal 13 marzo 1933 al 30 aprile 1945. Soprannominato “Herr Doktor” per via del suo dottorato in letteratura, ma definito da Thomas Mann “storpio nel corpo e nell’animo” (non venne infatti mai reclutato nell’esercito tedesco per via di una malformazione). Goebbels, nato a Rheydt il 29 ottobre del 1897, arrivò a dirigere i vari ambiti dell’informazione e a controllare la vita sociale del popolo tedesco fino alla sua morte avvenuta nel maggio del ‘45. Contribuì a fomentare l’odio razziale e si fece portavoce di campagne contro la cultura, a sua detta “degenerata”, del nemico, organizzando a Berlino roghi dei libri banditi dal regime. Goebbels nel periodo che va dal 1942 al 1943 scrisse a mano 6.800 pagine di diario (anche se probabilmente non interamente autobiografiche e originali) che riportano in 19 punti i principi da lui perseguiti in nome dell’ideologia e del fanatismo nazionalsocialista.

Riassumendone le caratteristiche principali, la propaganda deve essere:

1) programmata, con attenzione anche alle sue eventuali conseguenze, da una sola autorità;

2) di impedimento al nemico, che va individuato e semplificato in un unico stereotipo, tramite slogan e associazioni ripetute, inoltre la stessa propaganda nemica è da studiare attentamente per verificare se è bene o meno rispondere oppure ignorarla;

3) in grado di catturare l’attenzione dell’ascoltatore e rassicurare le sue perplessità trasmettendo notizie verosimili e talvolta anche negative, per non compromettere la credibilità del regime – tenendo presente che è il regime che determina con la sua autorità se un’informazione è vera o falsa, ricorrendo a esagerazione e silenziamento;

4) attenta alla tempistica della diffusione di notizie e alla gestione del livello di tensione e frustrazione che la folla percepisce.

I punti sopra riportati stanno alla base di una precisa e minuziosa programmazione che, affiancata al clima di terrore, ha portato all’ascesa del partito hitleriano prima e, progressivamente, all’annullamento ideologico di tutti gli ostacoli; percorso culminato con la tragica “soluzione finale”. Quanto accaduto è la realizzazione di un progetto distopico. Ed è sconvolgente accorgersi che, seppur in misura minore, le campagne elettorali dei governi democratici (ad esempio) o, banalmente, la pubblicità si muovono in fondo seguendo la stessa traccia di indirizzamento e controllo dell’opinione pubblica tipico della Propaganda nazista.

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