Interviste

“Jazz in Photo”: istanti di musica

“Il mio primo approccio alla fotografia risale all’età di 5 anni. Era solo una macchinetta di plastica, ma le foto erano vere”. Così Adriano De Carli racconta com’è nato quello che ora è il suo lavoro, che svolge professionalmente da ormai 30 anni. Risultato della sua esperienza è la mostra che verrà inaugurata il 6 dicembre presso l’area lounge degli Istituti Clinici Scientifici Maugeri di Pavia.

 

AdC foto bn-2De Carli, ci parli della mostra e della selezione delle fotografie.

Jazz in Photo è una mostra che si compone di ritratti di artisti della scena jazz internazionale e italiana. Il progetto è nato 4 anni fa, quando sono tornato, dopo un periodo di fotografia giornalistica attiva, all’ambito della musica jazz. La mostra, con il passare del tempo, si è arricchita di nuovo materiale e, ovviamente, a seconda degli spazi devo ridurre o aumentare il numero delle immagini. Le foto che saranno esposte nell’area lounge sono circa 60. Il mio criterio nella scelta delle foto è sicuramente basato sul mio gusto personale, ma tengo anche conto dell’apprezzamento del pubblico e dei commenti o riscontri dei fotografi professionisti nelle community”.

 

Ha lavorato molti anni per il quotidiano la Provincia Pavese. Come è stato il passaggio ad un ambito diverso come quello della musica?

“Nel periodo in cui lavoravo come fotoreporter i servizi potevano essere di cronaca nera come di spettacolo e mi occupavo di settori della fotografia con tagli molto diversi fra loro. Il lavoro da freelance non mi poteva dare una sicurezza lavorativa e, proprio per questo motivo, negli anni ’90 è iniziato il periodo in cui più mi sono occupato di lavori fra loro molto diversi e alcuni ben lontani dall’ambito giornalistico. E’ da ormai  4 o 5 anni che sono uno dei fotografi più presenti nel locale jazz più conosciuto di Milano e che ospita i maggiori artisti internazionali oltre che italiani: il Blue Note“.

 

Oggi dire “faccio il fotografo” non ha lo stesso valore di un tempo. E’ d’accordo con questa affermazione? Cosa consiglia a chi vuole intraprendere questo lavoro?

“Quello che faccio è un lavoro che amo, un lavoro che, però, subisce una concorrenza sleale in svariate situazioni, un fenomeno non solo di oggi , ma che è sempre esistito. Sicuramente, con il progredire della tecnologia c’è stato uno scadimento di qualità del materiale, soprattutto per quanto riguarda ciò che circola su Internet, così come un abbassamento dei costi: molte persone cedono le loro foto gratuitamente per un biglietto omaggio o anche solo per il gusto di vedere il proprio nome su una pagina web. E allora, cosa consiglio ai ragazzi che sognano di fare questo lavoro? Specializzatevi. Bisogna togliersi dalla testa l’idea che con la semplice passione si possa guadagnare e vivere di questo mestiere. Il loro futuro lavorativo sta nelle nicchie, nella specializzazione in un certo settore della fotografia: bisogna tentare di essere sempre più bravi in un certo campo piuttosto che mediocri in tutto.
Io, nella mia carriera, mi sono occupato di svariati ambiti, dai matrimoni alla cronaca come ad alcuni progetti più significativi. Nel ’91 mi sono occupato della documentazione fotografica ufficiale dell’unica tappa italiana di Dangerous Tour di Michael Jackson, allo Stadio Brianteo di Monza, così come di una rassegna su Nanni Svampa. Dopo 30 anni di esperienza posso dire di aver fatto della mia passione un lavoro”.

 

In un ambito musicale come quello del jazz è lecito immaginare la difficoltà nel dare dinamicità al soggetto. Come affronta questo problema?
“E’ naturale che un soggetto che si muove e che offre pose diverse permette al fotografo molti più spunti. Ricordo ancora quando dovetti occuparmi di un servizio al Blue Note per Al di Meola (chitarrista statunitense di genere jazz fusion, ndr). Lui si siede sul suo sgabello e non fa neanche una smorfia fino alla fine del concerto.Un disastro dal punto di vista fotografico: dopo due scatti puoi andare a casa. Quello che fa la differenza è la luce. Un locale come il Blue Note, per fare un esempio, regala un’illuminazione e un’atmosfera accattivante: le ombre creano sul musicista un gioco continuo di sfumature. Oltre alla luce, quello su cui punto molto è il mio lavoro in post-produzione, realizzando, ad esempio, uno sfondo nero per far risaltare il soggetto. Sicuramente la foto non appare sempre naturale, ma ormai il concetto di foto “così com’è” lo trovo superato. In post-produzione lavoro sulla foto come se fosse un quadro. Una volta un mio amico ha parlato di luce “caravaggesca” in un mio ritratto. Non c’è nulla di più azzeccato”.

 

Bianco e nero oppure a colori? In quali casi preferisce l’uno all’altro?
“Le foto che si vedranno nella mostra, a parte alcune in bianco e nero, saranno quasi tutte a colori. Nella mia esperienza di fotografo posso dire che i casi in cui utilizzo il bianco e nero sono principalmente due : il primo, quando ho già in mente la foto che voglio ottenere e imposto subito la macchina fotografica nella modalità giusta; il secondo caso è decisamente una condizione obbligata: quando l’illuminazione è pessima e bisogna aumentare la sensibilità. Sulla grana che ottengo lavoro meglio in bianco e nero”.

MINI0_D.D. Bridgewater - cornice 03-2

 

Dalle sue parole si capisce che il lavoro in post-produzione è imprescindibile.
“Molte foto della mostra non sarebbero lì senza essere state elaborate minimo da due software. Ripeto, trovo che la fotografia “pura” sia ormai un’idea superata e non solo nell’ambito della fotografia musicale. Quando viaggiavo per conto di alcune delle maggiori testate giornalistiche professionali di turismo mi portavo sempre dietro la mia macchina fotografica e ne approfittavo per scattare qualche foto. Anche in quella che può essere fotografia sociale la luce consente di dare un significato diverso al soggetto. Quando andai in Romania feci una serie di foto di un orfanotrofio: il bianco e nero aveva dato molta più drammaticità. A Bucarest fotografai dei ragazzi di strada che giocavano vicino alla spazzatura: grazie al lavoro in post-produzione potevo dare più rilevanza ad un particolare piuttosto che ad un altro. Per trasmettere un messaggio le foto vanno rielaborate e, a volte, più o meno corrette”.

 

Umberto Eco scriveva “Di quel viaggio non ricordo più niente. Ero troppo occupato a fotografare e non ho guardato”. Lei riesce a godersi i concerti quando fotografa?
“Amici e conoscenti mi dicono che sono molto fortunato , perchè ho la possibiltà di andare ad un grande numero di concerti. In realtà, raramente mi fermo ad un concerto e, se capita, è perché mi piace particolarmente l’artista. Quando sono ad un evento in veste di fotografo mi interessano quasi solo ed esclusivamente le immagini. Le faccio un esempio: la settimana scorsa ho realizzato un servizio ad una ragazza di 23 anni, Jazzmeia Horn. Non era il mio genere di jazz preferito, ma lei era un soggetto bellissimo da fotografare, con degli abiti africani colorati e di buon gusto. Ho pensato “Stasera faccio delle foto eccezionali”.

MINI0_Jazzmeia Horn - cornice 01

Jazz in Photo, mostra fotografica di Adriano De Carli. Aperta tutti i giorni dal 6 dicembre 2017 al 14 gennaio 2018 con orario continuato dalle ore 08:00 alle 20:00. Presso ICS Maugeri, via S. Maugeri, 10 -Pavia. L’inaugurazione sarà il 6 dicembre alle 16,30.
INGRESSO LIBERO

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