Italo Svevo agli occhi di un non letterato

Il 19 dicembre di 156 anni fa nasceva uno dei più importanti autori italiani, nonché uno dei più celebri romanzieri del primo Novecento. Sto parlando di Aron Hector Schmitz, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Italo Svevo.

L’autore, nato a Trieste da una famiglia di origine ebraica, sceglie questo pseudonimo con l’accortezza di indicare le due nature tra le quali si trova sospeso, in bilico: quella italiana, che rappresenta la realtà in cui vive, e quella tedesca, che racchiude la sua origine e gli anni dello studio e della giovinezza. Viene ignorata, invece, la componente culturale ebraica; questa sarà una scelta criticata, in particolare da quello che per Svevo fu un amico-rivale, Giacomo Debenedetti. La scelta dello pseudonimo diventerà anche, per l’autore, un’occasione per richiamare la propria patria, Trieste, città portuale multietnica e in grande fermento culturale dell’Impero austro-ungarico, così piena di stimoli per la prosa sveviana da diventare ben più di uno sfondo nei romanzi dell’autore. All’ambientazione cittadina si legano, nelle tre opere di Schmitz – Una vita, Senilità e la celeberrima Coscienza di Zeno – i racconti di vita quotidiana, storie di personaggi comuni della borghesia triestina spesso ispirate ad eventi che hanno influenzato la vita dello stesso Svevo. Proprio nel primo dei tre romanzi, il protagonista, Alfonso Nitti, risulta essere alter ego dello stesso autore: come Svevo, Nitti è un impiegato, che vive il proprio lavoro come una restrizione e ha più alte aspirazioni letterarie. La figura di Alfonso Nitti, come quella di Emilio Brentani in Senilità e di Zeno Cosini ne La coscienza di Zeno, è la raffigurazione letteraria dell’uomo inetto: non adatto a vivere, incapace di giostrarsi nella propria realtà. Questo tema, più di altri, all’interno di una realtà quotidiana caotica come quella odierna, è tutt’altro che relegato a una dimensione di finzione romanzesca del passato. Caratteristico dell’inetto è il sentimento del disorientamento, dell’incapacità di vivere nel proprio mondo. Egli è una figura quasi “persa”, ma con un’identità psicologica piuttosto delineata: nella propria perenne confusione, l’inetto sa benissimo come agire.

È questo protagonista così sprovveduto che si fa amare dal lettore, il quale si assimila al personaggio, cogliendone i drammi e le soddisfazioni. È proprio in questo che sta la grandezza dell’autore.

Una grandezza, quella di Svevo, che non sarà colta subito. L’autore infatti pubblicherà a proprie spese il primo romanzo, nel 1892, senza però riscontrare l’apprezzamento del pubblico. A causa dello scarso successo di Una vita, Svevo si abbatterà e per un lungo periodo smetterà di scrivere. Sei anni dopo il primo romanzo pubblicherà Senilità, ma, poiché anch’esso non riceverà grandi consensi, abbandonerà nuovamente la scrittura, questa volta per ben 25 anni. Sarà dopo la Grande Guerra che Svevo ritroverà il coraggio di scrivere, componendo quella che è, ad oggi, la sua opera più famosa: La coscienza di Zeno, sintesi perfetta dei due romanzi precedenti, mediata dalla catastrofe della Prima Guerra Mondiale. Il libro, che sembrava fosse destinato a cadere nel dimenticatoio come era avvenuto con i suoi due predecessori, verrà invece letto da James Joyce, il più grande autore irlandese, che in quegli anni sarà insegnante di inglese dello stesso Svevo. L’autore di Ulysses riconoscerà la grandezza dei romanzi sveviani, rendendoli noti ai maggiori autori dell’epoca e portando improvvisamente la fama di Schimtz a livello europeo. Poco dopo, in Italia, scoppierà il cosiddetto ‘Caso Svevo’: Montale, lettore e ammiratore di Svevo, lo farà conoscere al grande pubblico. Da lì avrà origine una profonda storia d’amore tra Schmitz e i lettori italiani: ad oggi Svevo è uno dei romanzieri italiani più conosciuti ed amati dal pubblico. L’estrema modernità della sua opera, che lo ha reso “inattuale” – ovvero “venuto troppo presto” –, non gli ha consentito di raggiungere fama immediata, ma lo ha reso uno dei romanzieri italiani oggi più noti ed apprezzati non solo dalla critica letteraria, ma anche da comuni lettori come me.

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