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Istantanea di Pavia: visti da fuori

Siamo tutti ospiti di Pavia, noi fuori sede. Questo è il mio primo spazio su Inchiostro e perciò vorrei farne un messaggio importante. Sono arrivata nella cittadina universitaria poco più di un mese fa, come i miei colleghi africani, Sarah e Desmond dal Kenya. Il mio viaggio in treno è durato circa 5 ore, il loro, forse, più del doppio. Quando sono arrivata alla stazione sapevo già dove dirigermi, la mia nuova stanza mi aspettava e la statua della Minerva mi ha dato il benvenuto (ah, saggezza!). Loro, invece, sono stati fin dal primo giorno ospiti dei collegi della città. Mentre io prendevo l’autobus per dirigermi nella mia nuova casa, uno di loro metteva per la prima volta piede in Italia, ma anche in Europa.
Frequentando ogni giorno una classe di studenti provenienti da diverse parti del globo, ho provato per un attimo a mettermi nei loro panni, nelle loro scarpe, nelle loro teste. Qual è stato il loro impatto con Pavia? Alla fine dei conti, io, seppur migrante, resto comunque nel mio territorio: l’Italia. Ecco, ho preferito chiederlo direttamente a loro. Una città universitaria ha bisogno di un confronto faccia a faccia, di essere vista dal di fuori e in questo caso, da persone che vivono una realtà totalmente differente da quella del Bel Paese. Ma qual è l’immagine della cittadella universitaria? Quali le impressioni di chi viene catapultato nella realtà pavese? Ecco due prime impressioni.
La prima cosa che ha colpito Sarah non la indovinerete mai. Sono state  <<le sigarette a terra. Pavia è piena di sigarette a terra e di persone che fumano per la strada o mentre vanno al lavoro. In Kenya abbiamo delle zone per fumare – dice Sarah – e pensavo che l’Italia non fosse un paese di fumatori, visto che è ai primi posti secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un’altra cosa che ho notato è che molte persone parlano solo italiano: amo leggere e i libri della biblioteca in inglese sono pochi; questo ha reso difficile comunicare nei primi giorni. L’università offre molte conferenze, ma la maggior parte sono in italiano e questo complica la vita da studentessa!>>
Desmond ha toccato il suolo italiano alle 4 del mattino di fine Ottobre, arrivando a Roma, per poi prendere un altro aereo per Milano. << Dopo i controlli, abbiamo preso l’autobus per la stazione centrale. Una volta arrivato, ho provato a chiedere indicazioni a una coppia di anziani: si sono girati e sono andati via e allora mi sono detto: beh, non un buon inizio! Fortunatamente poco dopo ho incontrato una signora molto elegante che mi ha fornito tutte le indicazioni e mi sono sentito rassicurato, non tutti sono come l’anziana coppia! Meno di un’ora dopo ero arrivato a Pavia, in un freddo e nebbioso lunedì mattina. La città mi è subito piaciuta per il suo aspetto medievale ma moderno, e soprattutto per i giovani che la popolano;  posso dire fin da subito che Pavia mi ha fatto sentire a casa e quando trovi una città capace di farlo è come se ti parlasse; anche le sue strade lo fanno, un linguaggio universale che ogni persona che vive nella città condivide, non necessariamente perché ci è nato. Per tutti questi motivi so che, alla fine di questa esperienza, Pavia e l’Italia mi mancheranno ma rimarranno nel mio cuore, perché “Travel as I can, makes me the man I have become”. Thank you, Italy!>>
Ecco, posso concludere che, alla fine, non facciamo poi una così brutta impressione. Mi ci metto anche io da italiana non pavese. L’Italia non è il paese dell’accoglienza come vorrebbero farci credere ma neanche il paese arretrato e ricolmo di pregiudizi come molte persone lamentano. In fondo, come Desmond mi ha ricordato, siamo tutti parte di un’unica, grande e interconnessa comunità; l’umanità che ci accomuna è la nostra vera ricchezza e come Christopher McCandless (sulla cui biografia è stato basato il film “Into the Wild”) pare abbia scritto dopo aver a lungo viaggiato solo e in ambienti ostili:  “happiness is real only when shared“.

 

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