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L’Isola delle Rose: il sogno delle micronazioni

Le micronazioni sono un caso geopolitico indubbiamente affascinante. Da due giorni è disponibile su Netflix “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose”, un film che ripercorre la bizzarra vicenda della Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose: diretto da Sydney Sibilia (regista di “Smetto quando voglio”) e con un cast in cui troviamo, tra gli altri, Elio Germano, Matilde Gioli e Luca Zingaretti, il film racconta la storia della micronazione fondata dall’ingegner Giorgio Rosa e spinge a riflettere sulla libertà e sui sogni. Ma le micronazioni sono solo un sogno? E soprattutto: devono continuare ad esserlo?

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Elio Germano nei panni dell’ignegner Giorgio Rosa (foto via Netflix)

Giorgio Rosa, ingegnere con una breve esperienza come soldato nella Repubblica Sociale Italiana alle spalle, nel 1958 decise di costruire una piattaforma in acciaio di 400 metri quadrati al largo della costa Adriatica. I lavori, tra rallentamenti e scontri con le autorità italiane, proseguirono fino al 1968, quando la piattaforma venne ritenuta pronta e l’isola dichiarò l’indipendenza con il nome di Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose. La lingua ufficiale, che dà in parte il nome alla Repubblica, era l’esperanto, la più diffusa e nota delle lingue ausiliarie internazionali, nata con lo scopo di avere una lingua comune a tutti i popoli.

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L’ingegner Rosa al lavoro sulla piattaforma (foto via Twitter)

La giovanissima Repubblica ebbe fin da subito una propria bandiera e provò a sviluppare persino l’idea di una propria moneta, il Milo. Rosa divenne il primo Presidente. L’entusiasmo fu molto, ma durò poco: dopo appena 55 giorni, il 25 giugno 1968, lo Stato Italiano mandò la polizia, i Carabinieri e la Guardia di Finanza a prendere possesso della piattaforma, con l’accusa di essere essenzialmente una truffa per evadere il fisco e, in particolare, per consentire agli evasori di eludere le tasse legate al turismo (dopotutto, la piattaforma era di fronte a Rimini). L’unico abitante continuativo della Repubblica era un uomo che viveva lì con la moglie, semplicemente perché era naufragato e dopo essere stato soccorso aveva deciso di rimanere sull’isola. Rosa chiese aiuto persino a Saragat, all’epoca Presidente della Repubblica, ma senza risultato: entro metà aprile del 1969 la piattaforma che costituiva la Repubblica dell’Isola delle Rose scomparve dal mare. Come testamento della sua esistenza rimangono solo questo film e diversi scritti. Rosa è deceduto il 2 Marzo 2017 a Bologna.

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L’isola delle Rose (foto via Twitter)

L’Isola delle Rose non è l’unico o il più famoso caso di micronazione, ovvero un tentativo di creare dal nulla un nuovo Paese. Per gli anglofoni, ad esempio, l’esperimento di secessione più noto è il Principato di Sealand.
Come l’Isola delle Rose, anche il fantomatico principato nacque su una piattaforma in mezzo al mare, questa volta però all’interno delle acque territoriali britanniche e già esistente. HM Fort Roughts era una delle tante “fortezze marine” sviluppate durante la Seconda Guerra Mondiale, abbandonate ma non smantellate dopo la fine del conflitto. Nel 1967 Patrick “Paddy” Roy Bates, uno dei più noti fondatori di radio pirata (all’epoca in Gran Bretagna virtualmente tutte le emittenti private erano vietate) occupò la piattaforma per poterla trasformare nella base delle sue operazioni, senza però far effettivamente nulla. In compenso, Bates proclamò l’indipendenza delle Roughts Towers, come ormai veniva chiamata la piattaforma, con il nome di Principato di Sealand. Nel 1975 Bates introdusse una Costituzione, un inno e una bandiera propria.

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Roy Bates e sua moglie Joan, Principessa di Sealand, nel 1979 (foto di Martyn Goddard via Alamy)

A differenza di Rosa, Bates poté continuare tranquillamente le proprie attività, almeno fino al 1978. Il piccolo principato infatti, pur essendo su una sgangherata piattaforma in mezzo al mare, ha vissuto eventi degni di un conflitto per l’indipendenza di una colonia. Nel 1979 Alexander Achenbach, l’autoproclamato Primo Ministro di Sealand, essendo in disaccordo con Bates sulla direzione da far prendere al principato, assunse diversi mercenari tedeschi e nederlandesi per assaltare la “nazione” mentre Bates era in Gran Bretagna. Il gruppo assaltò la piattaforma con elicotteri e motoscafi, prendendo pure Michael, il figlio di Bates, in ostaggio, che però riuscì a scacciare gli invasori con delle armi presenti sulla struttura e a catturare Achenbach, che venne accusato di alto tradimento contro il principato. La Germania inviò successivamente un proprio ambasciatore per ottenere il rilascio di Achenbach, essendo lui un cittadino tedesco. Da allora il principato è stato relativamente tranquillo, ad eccezione di un incendio nel 2006 e di uno scandalo che nel 1997 ha costretto a ritirare tutti passaporti di Sealand venduti in vent’anni, perché usati per truffa e riciclaggio. Roy Bates è deceduto nel 2012, e gli è succeduto il figlio Michael.

Il Principato di Sealand (foto via Times.uk)

Legittimità e rischi delle micronazioni
La legittimità di fondare delle nazioni è oggetto di dibattito nel diritto internazionale. Sealand ad esempio, pur essendo nella pratica ignorato dal Regno Unito, non gode di riconoscimento ufficiale, visto che le piattaforme secondo le Nazioni Unite sono di proprietà del Paese che le realizza, indipendentemente dalla distanza che li separa. E’, in effetti, lo stesso principio su cui si basa il fatto che le navi siano ufficialmente territorio del Paese di cui battono bandiera.
Anche supponendo che i Paesi autodichiarati non siano in mezzo al mare ma in un territorio interno, risulterebbe difficile trovare un giudizio ben definito: i nuovi Paesi hanno nel corso dei secoli utilizzato principi quali l’autodeterminazione dei popoli oppure accuse di discriminazione per affermare il proprio diritto di esistere. L’Italia, dal punto di vista giuridico, era un’estensione del Regno di Sardegna. La Gran Bretagna stessa non possiede ufficialmente una Costituzione ed è nata dall’Atto di Unione del 1706 fra il Parlamento del Regno d’Inghilterra e quello del Regno di Scozia. Nella pratica, dall’alba dei tempi vige il più efficace dei diritti divini per la giustificazione di uno Stato: ho le armi, quindi esisto.

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Un foglietto di francobolli dell’Isola delle Rose

Questo però non ha mai fermato i sognatori di tutto il mondo: le comunità dei lavoratori del socialista Robert Owen in America, la Pantisocrazia di Coleridge, oppure il Rojava che ancora oggi resiste in Siria sono esempi di queste aspirazioni utopistiche e libertarie. Tuttavia, queste aspirazioni oggi si scontrano con rischi ben più concreti: quelle di essere scuse per traffici illeciti o discutibili. Questo è un problema per tutti i Paesi, questi riconosciuti ed esistenti, spesso piccolissimi e con poca trasparenza politica. Il fondatore di PayPal Peter Thiel ha teorizzato per il futuro la presenza di piccole nazioni indipendenti in mezzo all’oceano libere da tutto, ed è stato accusato di essere un evasore fiscale, soprattutto di fronte alla sua partecipazione nel Partito Libertario americano (notoriamente ultraliberista) e al suo supporto a Donald Trump. Creando nel complesso un messaggio di supporto per le grandi corporazioni, secondo Thiel le micronazioni dovrebbero essere delle terre libere dalle tasse. Del resto, questa era stata l’accusa rivolta dall’Italia a Rosa, e nessuno sa se le intenzioni dell’ingegnere fossero totalmente benevole. Forse Rosa era una sorta romantico ribelle che desiderava un nuovo mondo, figlio del contesto del ’68, oppure era uno scaltro evasore, un uomo che aveva capito gli attuali trucchetti operati dai ricchi uomini d’affari o dalle grandi multinazionali molto in anticipo sui tempi.

Non si può però negare il fascino di creare una società nuova in cui poter essere liberi dalle costrizioni: la fantascienza ne è piena, si pensi al classico di Heinlein La Luna è una severa maestra, ed i progressi tecnologici nella colonizzazione di spazio e oceano creano almeno l’illusione di un nuovo paradiso in cui essere liberi, senza dei o padroni: meglio regnare all’Inferno o servire in Paradiso?

(La foto in copertina è di Silvia Camporesi)

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