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Interviste AIESEC – l’Azerbaijan di Beatrice Bavestrelli

AIESEC è un’associazione interamente gestita da studenti, che mira allo sviluppo delle capacità umane e in particolare della leadership attraverso delle esperienze stimolanti all’estero, come lavoro di volontariato, di scambio o tirocinio. Ogni progetto ha come base la cooperazione tra le persone, creando ambienti liberi di confronto e collaborazione reciproca e soprattutto guarda in direzione della crescita e della sostenibilità. Per l’associazione è importante stimolare e accrescere la volontà individuale di rendersi partecipi, avere un ruolo attivo nel rendere il mondo un posto migliore, informarsi su ciò che avviene a livello globale, rendersi quindi cittadini del mondo.

In quanto organizzazione globale, apolitica, indipendente e no profit, AIESEC, presente in 122 paesi, permette ai giovani di formarsi in un contesto internazionale e multiculturale aperto al confronto tra punti di vista differenti e sensibile alle tematiche di rilievo mondiale.

Nel 2015 AIESEC diventa ufficialmente partner delle Nazioni Unite ed è in Italia uno dei maggiori promotori dell’agenda 2030 a livello giovanile; i suoi progetti sono supportati da istituzioni quali MiUR e SPRAR e da poco AIESEC Italia fa parte di ASviS, Alleanza molto attiva in termini di sensibilizzazione e azioni concrete rispetto agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

Abbiamo intervistato Beatrice Bavestrelli, studentessa di 22 anni preso l’Università di Pavia nel corso di laurea magistrale in International Business and Entrepreneurship. Beatrice ci racconta la sua esperienza di crescita e di viaggio in Azerbaijan, resa possibile dall’associazione AIESEC.

 

Come hai conosciuto AIESEC e cosa ti ha spinto ad intraprendere questa esperienza?

Il primo anno di università per me non è stato stimolante, forse anche per questo motivo desideravo fare qualcosa di più, qualcosa di completamente diverso da quello che già stessi facendo nella mia quotidianità. Credo di aver avuto voglia di dare una svolta alla mia vita, fare qualcosa di coraggioso, forse proprio per lavorare sulla mia crescita personale, abbattuta dall’anno trascorso esclusivamente a seguire le lezioni. Ho sentito parlare dell’associazione in aula durante una presentazione e da lì ho deciso di informarmi. Il mio interesse era forte e con il giusto supporto mi sono convinta a partire per questo viaggio, anche grazie alle numerose testimonianze di chi prima di me aveva intrapreso questa avventura con AIESEC.

 

Cosa ti ha portato a scegliere l’Azerbaigian come meta della tua esperienza?

Questa è una domanda interessante che mi è stata posta più volte! La premessa che voglio fare è che sono una persona che si fida molto del suo istinto. Per scegliere i progetti in AIESEC esiste una piattaforma online, necessaria per registrarsi e mettersi in contatto con i ragazzi del comitato estero. Una volta vista la foto della città sono rimasta affascinata dalla modernità delle strutture. Incuriosita da questo luogo sconosciuto ho fatto una ricerca, inutile dire che la “terra del fuoco” mi ha conquistata.

 

Che sensazioni ti ha trasmesso la gente del posto?

Mi sono sentita subito a casa, data la loro indole estremamente cortese e rispettosa nei confronti dei turisti. Anche dai responsabili del mio progetto ho percepito le stesse vibrazioni, ogni giorno era una gioia arrivare nell’ambiente lavorativo. Non mi sono mai sentita giudicata, anzi, credo che fossero tutti entusiasti di conoscere meglio la mia cultura e quella degli altri volontari.

 

Come hai percepito la situazione politica del paese?

Impossibile non notare le foto di Haydar Aliyev in giro per la città, un presidente che ha dominato la vita politica azera per oltre un trentennio, tutte le informazioni riguardo alla sua vita sono esposte in modo dettagliato nel Haydar Aliyev center nel cuore della città; si tratta di un palazzo estremamente moderno che testimonia la vita dell’adorato presidente, che sembra onnipresente, grazie ai cartelloni pubblicitari ovunque. In Azerbaijan è anche difficile non notare le bandiere locali, simbolo comunissimo nella città! È sicuramente un paese patriottico, molto legato ad alcuni paesi limitrofi, come la vicina Turchia e la Russia; è difficile trovare nativi che non sappiano parlare anche le lingue di questi due paesi.

Qual è stato il primo impatto con il luogo?

Appena arrivata, l’impatto sembrava non esserci stato, ma ha solo tardato un paio di giorni, quando mi sono trovata in bagno a piangere da sola. La mia accomodation era una cosiddetta umile dimora, avevo una stanza condivisa con una ragazza russa e una tunisina, unica camera di un appartamento con un ragazzo di circa 30 anni. Questo ragazzo, di nome Taleh, è stato sin da subito molto accogliente e premuroso, preoccupandosi di noi tre come un padre. Il resto della casa era composto da un salotto, luogo di passaggio e dove Taleh dormiva, una cucina molto risicata e un bagno diviso in due stanze. La particolarità della casa era il pavimento, morbido in parte per la mancanza di una struttura sottostante. L’impatto quindi non è mancato

 

Quali sono stati i momenti più difficili da superare?

“Scegli la strada in salita, è quella che ti porterà alla felicità.” (Jean Salem)

Inutile dire che i momenti difficili ci sono stati, ma sono stati fondamentali per permettermi di affrontare i miei limiti. Ho scoperto che alcuni volontari che vivevano assieme in un’altra casa sono stati minacciati con un coltello alla porta, questo perché nel quartiere non volevano che ci fossero maschi e femmine nello stesso appartamento. Questo mi ha reso cosciente di quanto la cultura sia diversa dalla nostra e da come l’essere umano venga influenzato dal luogo in cui vive e in cui cresce. L’impatto di questo avvenimento è stato molto forte. L’altra grande sfida per me è stata impedire che alcuni studenti lasciassero il progetto a metà, perché le difficoltà quotidiane non mancavano. Era diventata quasi una sfida personale, soprattutto quando le ragazze con cui avevo legato di più avevano considerato di andarsene, la sensazione di solitudine che questa possibilità mi scatenava era talmente forte da scatenarmi la grinta di un leone per convincerle a rimanere. I legami che si istaurano in così poco tempo sono notevoli, perché essendo da soli in un posto così lontano da casa, gli amici diventano la tua famiglia e il pensiero di perderli nel corso del viaggio fa male.

 

 

Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

Sicuramente la mia valigia di ritorno è stata più pesante di quella dell’andata, soprattutto in senso figurato. I volontari con cui ho lavorato erano di paesi diversi, questo mi ha permesso con un solo viaggio di essere in stretto contatto con la cultura tunisina, russa, algerina, turca, rumena e albanese. Oltre alla fortissima amicizia che si è creata tra tutti noi, ho scoperto modi di vivere diversi che sicuramente mi hanno aperto a modi di pensare altrettanto differenti. Credo che la flessibilità sia stata la sfida più importante per me e la mia vittoria personale preponderante. Credo di aver imparato a cambiare le mie abitudini e modellare gli schemi mentali che ho sempre utilizzato, ho imparato a cogliere la bellezza di ogni momento, vivendo ogni istante in modo intenso e costruttivo. Tutto ciò perché ho imparato ad ascoltare i miei compagni di viaggio, rispettando i loro modi diversi di vivere le giornate sfidando la mia organizzazione quasi maniacale.

 

Come ha accolto la tua decisione la tua famiglia? Consiglieresti questa esperienza?

Ovviamente i miei genitori mi hanno spinto a prendere alcune precauzioni, ma senza opporsi alla mia partenza. Hanno capito sin da subito che questa esperienza era qualcosa a cui tenevo e che avrebbe sicuramente modellato la mia mentalità. Quello che è successo è stato proprio questo, sono tornata diversa da come sono partita, ho avuto modo di abbattere alcune mie certezze per dare spazio ad un pensiero di ampie vedute. È stata una palestra per smettere di giudicare ma capire le ragioni che ci sono dietro alle azioni delle persone che mi trovavo davanti. Credo che questo tipo di esperienze a questa età siano fondamentali per aiutare noi giovani ad essere più aperti verso il diverso, che è ancora una sfida per molti, forse proprio perché non c’è sempre modo di andare sotto la superficie. Per questo motivo secondo me AIESEC andrebbe sfruttato ed ora mi sto impegnando dall’interno dell’associazione a fare conoscere questa opportunità.

C’è qualcuno che ti senti in dovere di ringraziare?

Tutto questo è stato possibile dai ragazzi di AIESEC Pavia, che hanno lavorato sodo in quel periodo, con la unica motivazione di far conoscere questa opportunità al maggior numero di persone possibili. Forse non tutti voi lo sanno, ma ci sono degli studenti che dedicano anima e corpo solo per far conoscere questa associazione, senza nessun ritorno economico, ma spinti dalla soddisfazione che provano nel sentire i racconti degli studenti una volta tornati a casa.

 

Quale consiglio daresti ai lettori di Inchiostro?

Se siete arrivati a leggere fino a qui cari lettori, spero che sia nato nato in voi il desiderio di essere i prossimi a raccontare la vostra storia, ma se ancora non ne avete una, ora sapete a chi potete rivolgervi per cominciarla!

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