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Interviste AIESEC – il Brasile di Michele Tessari

AIESEC è un’associazione interamente gestita da studenti, che mira allo sviluppo delle capacità umane e in particolare della leadership attraverso delle esperienze stimolanti all’estero, come lavoro di volontariato, di scambio o tirocinio. Ogni progetto ha come base la cooperazione tra le persone, creando ambienti liberi di confronto e collaborazione reciproca e soprattutto guarda in direzione della crescita e della sostenibilità. Per l’associazione è importante stimolare e accrescere la volontà individuale di rendersi partecipi, avere un ruolo attivo nel rendere il mondo un posto migliore, informarsi su ciò che avviene a livello globale, rendersi quindi cittadini del mondo.

In quanto organizzazione globale, apolitica, indipendente e no profit, AIESEC, presente in 122 paesi, permette ai giovani di formarsi in un contesto internazionale e multiculturale aperto al confronto tra punti di vista differenti e sensibile alle tematiche di rilievo mondiale.

Nel 2015 AIESEC diventa ufficialmente partner delle Nazioni Unite ed è in Italia uno dei maggiori promotori dell’agenda 2030 a livello giovanile; i suoi progetti sono supportati da istituzioni quali MiUR e SPRAR e da poco AIESEC Italia fa parte di ASviS, Alleanza molto attiva in termini di sensibilizzazione e azioni concrete rispetto agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

 

Abbiamo intervistato Michele Tessari, un ragazzo di 23 anni studente del Master in International Business and Entrepreneurship a Pavia, partito con AIESEC per un’incredibile esperienza in Brasile, che ha voluto condividere con noi.

 

Quando e perché hai deciso di partire per un’esperienza di questo tipo?

Durante la sessione d’esami alla fine del primo semestre mi sono reso conto che probabilmente mi trovavo di fronte alla mia ultima estate da studente, l’ultimo momento in cui avrei avuto molto tempo disponibile prima di iniziare a lavorare. Come impiegare quest’ultima estate? Tirocinio? Volontariato? Andare all’estero? Non avevo mai fatto nessun Erasmus, mai fatto nessun viaggio all’infuori dell’Europa, mai stato lontano da casa per più di due settimane. Mi trovavo in una situazione nella quale sentivo il tempo esaurirsi e il desiderio di impiegare quel periodo della mia vita in qualcosa che potesse dare una svolta a un passato che percepivo come piuttosto piatto. Durante la triennale a Verona, la mia città di provenienza, avevo già sentito parlare di AIESEC come di un’organizzazione affidabile per questo tipo di esperienze, e il mio primo contatto con l’associazione a Pavia è stato in occasione di un evento che avevo visto sulla mail settimanale di Ateneo. In quel momento ho fissato il mio primo incontro con una rappresentante per discutere di dove e quando sarei potuto andare.

Dove ti sei recato e di cosa ti sei occupato sul posto?

Sono andato in Brasile, a Salvador de Bahia, per 6 settimane. A questo periodo ho aggiunto alcune settimane di viaggio e in totale sono stato lontano da casa per 2 mesi. Prima di partire alla parola volontariato associavo attività non inerenti al mio curriculum da studente di economia, e invece mi sbagliavo. Potevo unire le tre cose: esperienza di volontariato, viaggio all’estero ed esperienza utile a livello di CV. Il terzo elemento per me era fondamentale, ora che sto per uscire dall’università ho bisogno di un CV che sia il più appetibile possibile per le aziende. Per quelle 6 settimane mi sono occupato di analizzare l’attività di marketing e fundraising di un’ONG che si occupa di persone non udenti.

Quali sono state per te le maggiori difficoltà incontrate durante questa esperienza?

Non avendo nessuna esperienza precedente di questo tipo, stavo affrontando una situazione per me completamente nuova e non sapevo cosa aspettarmi. Non sapevo quanto sarebbe potuto essere difficile, ma ho cercato di mantenermi il più aperto e flessibile possibile. Mi avevano detto di prepararmi perché fare un viaggio del genere, la prima volta, può dare un bello shock culturale iniziale. In realtà la difficoltà principale si è rivelata la lingua, nient’altro. In Brasile solo i ragazzi dalla mia generazione in poi parlano inglese, e io ero partito senza sapere una parola di portoghese. Solo dopo 3-4 settimane ho iniziato a lasciarmi andare e a imparare meglio la lingua, ma all’inizio era difficilissimo interagire con le persone, soprattutto se ne avevo bisogno per chiedere qualcosa, non potendo usare le parole.

Cosa ha suscitato in te entrare in contatto con una realtà tanto distante?

Stando in Brasile mi sono accorto che il mondo è molto più grande di quanto non ci sembri da casa. E questo è un concetto che puoi studiare quanto vuoi, ma lo comprendi davvero solo facendo un viaggio del genere, un viaggio lontano e fuori dagli schemi quotidiani. In Italia ci riteniamo molto diversi dagli altri paesi europei, ma una volta che si assume una prospettiva diversa l’Europa appare culturalmente molto più uniforme. Lo stile di vita ed il modo di relazionarsi con le persone sono infatti molto simili tra i Paesi europei, e me ne sono reso conto solo quando ho avuto occasione di vedere un popolo e un Paese così lontani.

Qual è stata la tua impressione dell’attuale quadro socio-politico del luogo?

Il Brasile spesso viene dipinto come un Paese povero e pericoloso. Questi due attributi a volte sono veritieri, ma la realtà si è rivelata anche diversa da come la percepiamo noi europei. Il Brasile è un Paese che ha vissuto un forte sviluppo negli scorsi decenni; ci sono ancora sicuramente fame e povertà, ma in misura decisamente inferiore rispetto a come la situazione doveva presentarsi negli anni ‘90. La crescita economica ha permesso il miglioramento delle condizioni di vita di larghe fette della popolazione. Nonostante ciò il Brasile è tuttora un Paese caratterizzato da una forte disuguaglianza economica, in cui si passa molto rapidamente dalla favela al quartiere ricco, due realtà che convivono a stretto contatto nella stessa città. Mi ha sconvolto inoltre il fatto che, pur essendoci in Brasile tra le più ampie comunità nere e LGBT del mondo, vi sia tuttora un tasso di omicidi di persone nere, transessuali e omosessuali altissimo. Per quanto riguarda invece la situazione politica attuale del Brasile, della quale in Italia si è iniziato a parlare solamente a ottobre in occasione delle elezioni, ho avuto occasione di vedere il fermento incredibile che agitava il Paese la scorsa estate, gli scontri tra chi voleva Lula di nuovo libero e al potere e chi invece sosteneva Bolsonaro, ora al governo. La questione tuttavia non è per niente chiara, neppure per i brasiliani. Personalmente sono molto preoccupato per questo Paese, che ormai è entrato nel mio cuore. Vorrei davvero tornarci al più presto, ma voglio vedere anche che piega prenderà ora con questa svolta nazionalista che sta coinvolgendo un numero sempre maggiore di Paesi, non solo l’Italia o gli Stati Uniti.

Cosa ti ha lasciato questa esperienza, a livello sia lavorativo sia umano? 

Penso che la scelta di partire per questa esperienza sia stata la miglior decisione della mia vita, che avrà un bell’impatto per i prossimi anni su di me, non solo sulle mie soft skills da sfruttare in ambito lavorativo, ma soprattutto sulla mia persona. La lezione principale che ne ho ricavato è stata proprio quella di realizzare che il mondo è più grande di quello che pensiamo, e che per scoprirlo non basta studiare e cercare su internet, ma bisogna fare la valigia e lasciare fuori tutto quello che pensiamo di sapere. Solo spostandoci possiamo imparare davvero e allargare i nostri orizzonti. Un giorno il percorso universitario giungerà al termine ed entrando nel mondo del lavoro sarà difficile avere molto tempo disponibile per fare un’esperienza simile. Per cui consiglio a chiunque stia ancora studiando di iniziare a pensare a fare un’esperienza all’estero al più presto, possibilmente fuori dalla “scatola dell’Europa”, e magari prima di avere la preoccupazione della tesi, prima che sia troppo tardi… mettetevi in gioco!

 

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