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Intervista a Sabrina Amadori, giovane poetessa pavese

“Frammenti d’aria e grafite” è una raccolta di poesie, edita da Il Foglio Editore, bella già nel suo titolo: “leggerezza fissata su carta”. Sono i versi d’esordio di Sabrina Amadori, una studentessa di Filologia moderna della nostra Università, che sabato scorso ha incontrato il suo pubblico di vecchi e nuovi affezionati presso la Libreria il Delfino. Sabrina ha presentato il suo lavoro, e anche varie poesie inedite, accompagnata dal professore, poeta e traduttore Massimo Bocchiola, e noi abbiamo apprezzato la lettura dei suoi versi accompagnata dalle corde di chitarra in sottofondo.

Il libro raccoglie poesie che riproducono l’affacciarsi alla vita del bambino e l’apprestarsi ad abbandonarla dell’anziano, i due momenti estremi della vita che per Sabrina hanno molto in comune, e che lei ha saputo sapientemente raccontare. Ma soprattutto, le sue sono poesie “semplici”, dove la semplicità è il migliore dei complimenti.

“Non è facile essere semplici, avere una voce”, spiega subito il professore, “ma Sabrina ce l’ha: è rarefatta ma comprensibile, sceglie le parole con cura e attenzione tanto da essere al punto giusto affettuosa o lapidaria. La sua è una voce armonica”.

Saba, Pascoli, Orelli, questi sono alcuni dei nomi che possiamo considerare gli antecedenti illustri delle tue poesie, soprattutto per la vostra comune attenzione ai bambini e al loro linguaggio. Parlaci dei tuoi punti di riferimento.

Gli scrittori che apprezzo molto sono De Luca, Bertolucci, Orelli, Valduga. Mi sono ispirata a Bertolucci, per esempio, per la delicatezza del linguaggio; reputo Valduga straordinaria, ma non credo di avere nulla di loro. Mi piacciono ma non mi somigliano, alcuni hanno influenza sulla mia voce, altri no. Ho scritto di bambini e anziani perché mi affascinano: il modo in cui guardano il mondo, il loro stupirsi e meravigliarsi. I bambini possiedono una sensibilità particolare come quella degli anziani, che apprezzano le piccole cose della vita con stupore infantile.

Com’è nata la tua passione per la scrittura?

Fin da bambina scrivevo piccoli racconti e poesie, poi mi sono dedicata al disegno e alla pittura per poi ritornare alla scrittura nei primi anni universitari. Ho cominciato scrivendo un romanzo sul tema dell’insonnia, in quel periodo non riuscivo molto a dormire, i ritmi di studio nuovi, tante cose erano cambiate, così ho raccontato la storia di un correttore di bozze insonne che quando si addormenta si cala nelle pagine del suo romanzo. Ho scritto poi anche fiabe, racconti e infine poesie.

Perché hai scelto la poesia?

Ho cominciato a leggere e a concentrarmi sulle poesie negli ultimi anni e ho subito sentito che era la forma di espressione migliore per me. So esprimere meglio i miei pensieri e le mie sensazioni, credo sia la forma di espressione più adatta alla mia personalità.

Come si svolge il tuo lavoro di composizione di una poesia? Quante volte hai bisogno di tornare sui tuoi versi?

Dipende, alcune poesie nascono velocemente e vengono bene “al primo colpo”, altre hanno bisogno di più lavoro, anche di mesi a volte. Io scrivo sempre e ovunque, in pullman, camminando per strada, anche a lezione, di sera. Scrivo quando capita perché questa è una cosa che capita, e appunto i miei versi dappertutto, dai fogli ai biglietti degli autobus. Se sento difficoltà nella scrittura mi fermo, penso non sia giusto continuare e forzarmi. Quando lo sento scrivo, altrimenti preferisco fermarmi e aspettare, la poesia per me dev’essere spontanea.

Parliamo ora delle tue poesie inedite: questi versi nuovi sembra siano scanditi da continui momenti di “vuoto” e di “pieno”, tutto da leggere in una chiave di lettura nuova, più amorosa e sentimentale rispetto alla precedente. Cosa rappresenta questo nuovo modo di esperire le cose?

Le prime poesie nascono da immagini quotidiane che io vedo o ricordo, le seconde, invece, nascono da un mio attuale percorso personale e da uno sguardo interiore. Qui vi è la mia esperienza nella poesia, e questa esperienza è fatta di “distacco”, un modo di esperire le cose e gli accadimenti che mi fa sentire piena e anche vuota. Il tema del distacco, nell’emigrazione ad esempio, lo leggo e racconto come un viaggio e un continuo movimento, come la condizione di chi abbandona un luogo, una situazione, per andare avanti e trovare qualcosa di nuovo. Questo distacco porta con sé inevitabilmente una serie di pieni e vuoti.

E’ molto presente in queste poesie inedite la figura e la condizione delle donne, soprattutto nei tratti figurativi e metaforici tutti al femminile che hai scelto di usare. Da cosa nasce questa “strategia” espressiva e, soprattutto, è una strategia o piuttosto è qualcosa che nasce naturalmente?

Il distacco per una donna ha a mio parere un sapore tutto suo, l’ho immaginato come l’abbandono della “terra madre”, come un momento dai tratti tipici della maternità, e per questo ho infatti utilizzato parole come “capezzolo”, “utero”, “cordone ombelicale”. Queste immagini sono state pensate, altre invece, ad esempio la barca che è come una “culla”, sono nate spontaneamente. Chi lascia il proprio paese, a parer mio, vive il viaggio come l’inizio di una nuova vita, e per questo, si sente cullato, come da bambino, verso il suo avvenire.

Queste poesie sono più fisiche delle precedenti, dal linguaggio più strutturato e con un rapporto col territorio più diretto e geograficamente definito. Si sente meno il bambino e più l’adulto.

Si, queste poesie sono più fisiche e concrete, la città, ad esempio nelle poesie di Frammenti d’aria e grafite, non è così visibile a livello lessicale, non è descritta così bene. Prima era implicita, adesso, invece, tutto è più materiale. L’ambiente esiste sempre ma dipende da me e dallo sguardo, da bambina o da adulta, con cui lo vivo. A seconda delle mie esperienze, il mondo e i suoi tratti appaiono connotati diversamente.

Il professore Bocchiola ha parlato della “bella semplicità” delle tue poesie e sono d’accordo, questo è un gran pregio e una sempre più rara abilità. Parlaci tu della semplicità delle tue poesie.

E’ vero, le mie poesie sono semplici e facili da capire. Il lessico non è difficile da leggere ma allo stesso tempo molto difficile da creare Non è facile bilanciare l’intensità di un pensiero con la semplicità con la quale voglio esprimerlo. Bisogna lavorare per trovare la giusta misura, per creare qualcosa che sia intenso ma non povero, profondo ma mai banale.

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