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Intervista a Enzo Penna, Fotografo

Ho avuto il piacere di intervistare Enzo Penna, fotografo calabrese, per Inchiostro. La sua fotografia è inscindibile dalla sua terra: lo Stretto di Messina.

Mi ha ospitato a casa sua. Ho visto lo studio, le foto stampate, vecchie mostre, nuovi progetti. Mi ha raccontato dei suoi viaggi, della sua fotografia radicata nel territorio, dei concorsi, della sua famiglia. «Per fotografare bisogna scavare». Mi ha confessato la sua ricerca perenne di verità (o unicità?) semplici. E ancora «il linguaggio fotografico, come ogni linguaggio artistico, è un modo, un metodo. Per questo è importante conoscere coloro che prima di te hanno detto tutto e quelli che ancora oggi dicono la loro. Siamo frutto di ciò che è stato e di ciò che continua ad essere». Insomma, terra e tradizione. La Calabria, il mare, la montagna, le persone da un lato – la tradizione artistica, la teoria e il piacere del fruitore d’arte dall’altro.
Ha accettato per Inchiostro di rispondere a qualche domanda, di pubblicare assieme all’articolo qualche foto (per altre, rimandiamo al suo sito ufficiale).

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Enzo, la prima domanda che vorrei farti è la seguente: come è nata, e quando, la tua passione per la fotografia?
Non saprei risponderti con precisione. Forse per caso o forse per necessità, sentivo che avrei dovuto avvicinarmi. Adesso è bisogno essenziale: fotografo praticamente sempre e non necessariamente con la macchina fotografica, si fotografa anche con gli occhi, non faccio altro che catturare immagini, in ogni istante. La mia è una continua elezione della realtà, riquadri quotidiani e puntuali.
Se dovessi dare una data d’inizio, direi quel viaggio di tanti anni fa con degli amici. Avevo con me una Kodak compatta, che ho tenuto sempre al collo, fotografando un po’ tutto. Ricordo successe qualcosa perché quelle foto non le ho scattate per trarne memoria, ma per altro. Qualcosa è successo.
Qualche anno più tardi, su invito di un amico, ho deciso frequentare a Reggio Calabria un corso base di fotografia. Poi mi sono iscritto al circolo di fotografia, dove ho avuto la possibilità di vivere e condividere la fotografia con altri fotoamatori e quindi di ampliare le mie conoscenze. Diciamo che è stato allora che si è ripresentata l’occasione di essere nuovamente a contatto con una macchina fotografica, da allora non l’ho più mollata.

Un colpo di fulmine, diciamo, maturato e compreso a pieno nel tempo. Ti chiedo allora, cos’è per te la fotografia? Cosa vuole ritrarre?
Agli inizi la mia curiosità era rivolta alla macchina fotografica, allo strumento in sé più che alla fotografia. Il nostro era quasi un culto. Capirne le potenzialità, mostrare le differenze tra un modello… il fatto tecnico era fondamentale per il fatto artistico.

Per noi chi intendi?
Il gruppo di fotoamatori. Il circolo di fotografia. Come già detto, è rinato tutto al suo interno. Non avrei mai maturato la mia idea di fotografia senza il confronto con gli amici, anche non fotografi. E poi le letture (Barthes, Ghirri, Basilico, Fontana…) seminari, incontri. Soprattutto la visione di mostre di autori importanti. Tutto questo mi ha portato alla scoperta di un mondo a me fino ad allora sconosciuto, forse più ad un modo di intendere il mondo, un metodo addirittura. Ho conosciuto le regole di una nuova dimensione semplicemente guardando attraverso un rettangolino, l’oculare della macchina fotografica.
Penso che un fotografo non faccia altro che ritrarre sé stesso: un autoritratto continuo, il tentativo di cogliere l’ininterrotto procedere della vita per istanti, lasciando cadere la maggior parte dell’esistenza nel tempo. E ancora sul bisogno di ritrarmi, guardo l’uomo, istintivamente lo seguo, cerco l’essenza nelle sue azioni, nel suo mondo, nella sua identità. Ecco tutto. Guardo l’uomo per capirmi e guardo me per capire l’uomo. Forse neanche capirlo: è una curiosità che si esaurisce nella fotografia e si rigenera il momento dopo.

Parlando di uomini, hai dei modelli?
Non credo di seguire un preciso modello artistico, la mia fotografia è istintiva, di pancia, non è ragionata. Tuttavia, credo che il linguaggio fotografico, come tutti i linguaggi, abbia la sua ragione d’essere Volenti o nolenti camminiamo sulla strada tracciata dagli altri e siamo contaminati dall’essere fotografico contemporaneo. Perciò conoscere i grandi, anche attraverso le opere teoriche, mi sembra un aspetto fondamentale.

Vorremmo pubblicare, in corredo, alcune tue foto: le tue preferite o che hanno significato per te qualcosa.
Sicuro. La mano di mia moglie. Un uomo col cappello, forse un po’ fuori moda. Le finestre del traghetto che incorniciano l’uomo e il paesaggio. Le geometrie dell’uomo e delle sue costruzioni. Sempre l’uomo.

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