Università

INTERVISTA CON RITRATTO / Annibale Zambarbieri

di Federica Anna Amini

 

Inizia un nuovo appuntamento di Inchiostro : INTERVISTA CON RITRATTO !

Saranno periodicamente pubblicate sul nostro giornale una serie di interviste che avranno per protagonisti i professori del nostro Ateneo.

Il primo colloquio si è svolto in un ufficio del Palazzo San Tommaso. Ad aspettarmi, seduto alla sua scrivania e circondato dai molti volumi riguardanti la materia che insegna, c’è qualcuno che mi sorride e aspetta la prima domanda.

È “il mito”, come lo chiamano molti suoi allievi, alcuni dei quali hanno persino fondato un fan club su Facebook. Alla facoltà di Lettere e Filosofia basta dire “Storia del Cristianesimo” che un coro di voci subito vi risponderà: Annibale Zambarbieri!

 

Inchiostro –  Come si è avvicinato ai percorsi via via delineati nei Suoi studi?

Zambarbieri – Alla base metterei un gusto irresistibile per la storia. Rivivendolo in retrospettiva, ho compreso come non fosse che la conseguenza, o l’alibi, dell’inclinazione (“un penchant”, direbbero i francesi) che spinge a scoprire forme di conoscenza diverse da quella speculativa o dialettica. E così, pian piano, mi sono incamminato sulla strada della ricerca. In due direzioni principali: innanzitutto quella della storia delle idee e successivamente un’altra, vista come necessariamente complementare: un tipo cioè di analisi definibile genericamente mediante il registro della storia sociale, sulle tonalità della cultura nel senso più ampio del termine, a comprendere anche le cosiddette condizioni materiali di esistenza, il tutto focalizzato sull’asse delle vicende cristiane. La scelta, progressivamente maturata, puntava, attraverso lo studio di sentimenti, comportamenti, istituzioni, evidenze icastiche classificabili come religiose, a comprendere molti aspetti, magari etichettati in modo diverso, dell’avventura umana. L’ambito era, ed è, spesso assai circoscritto: la pars pro toto, per dirla con Friedrich Theodor Vischer, ma comunque rivelatrice di circuiti di maggior ampiezza, e significativi. Per uscir dal generico, Le accenno frettolosamente alcuni contenuti. Il primo tema affrontato riguardò il modernismo italiano, ossia quella corrente di ricerche e di proposte teoriche che intese affrontare, tra Otto e Novecento,  il problema del rapporto tra modernità, cultura generale,  metodi storico-critici, e il cristianesimo. In seguito ho investigato sul tardo giansenismo, e, allargando l’angolo prospettico, sui modi di esprimere la fede, intrecciati con le condizioni di esistenza dal basso medioevo fino all’epoca contemporanea. Un panorama nuovo mi si è infine dischiuso attraverso la ricostruzione dell’incontro tra la religione e la civiltà occidentali da un lato e il Giappone dall’altro.

 

D. quali le persone hanno avuto maggiore influenza, proprio sulla sua formazione?

Direi che l’iniziazione la devo al professore di latino e di greco del Liceo Verri di Lodi, Alessandro Caretta che, oltre alle lettere classiche, coltivava studi di storia prevalentemente locale, specie per l’antichità e il medioevo. Costituì è stato per me un esempio, e una guida, per l’addestramento ad una rigorosa filologia, alla scrupolosa inventariazione e alla conseguente analisi accurata delle fonti. In seguito avuto la fortuna di incontrare altri maestri. Difficile elencarli tutti. Facile dire che avrei dovuto imparare molto di più da loro, e questo è un motivo di grande rimpianto. Vedo tante lacune in quello che ho detto… Ma qualche nome va fatto. Ricordo Emile Poulat, accostato all’Ecole des Hautes Etudes, a Giacomo Martina dell’Università Gregoriana, al belga Roger Aubert. Ma non posso tralasciare l’esperienza vissuta come borsista all’Istituto di Storia sociale e religiosa di Vicenza, diretto animato ispirato da Gabriele de Rosa. Indimenticabili sono i seminari cui partecipai. Insieme a giovanissimi compagni di studio ascoltavamo, per periodi a volte di una settimana,  esposizioni di studiosi provenienti da varie scuole, reagendo con immediate discussioni, in circoli vivaci con loro, spesso fino a notte fonda e…non semel inter pocula. Furono momenti di entusiasmo, incancellabili nella memoria. Bastino alcuni nomi, a evocare insegnamenti e suggestioni: Massimo Livi Bacci, Jacques Revel, Dominique Julia, Carlo Ginzburg, Keith Thomas, Peter Brown,  Michel Vovelle, Pierre Bolle, Bernard Vogler, Giorgio Cracco, Cinzio Violante, Giuseppe Galasso, e ne dimentico certo più di uno… Fu una stagione straordinaria, per me, ma credo non solo episodica nel panorama accademico italiano. Un maestro indiretto fu Mario Bendiscioli, che insegnò storia moderna, qui a Pavia. Non fui esattamente un suo allievo, ma parlavo molto con lui, già ritirato dell’insegnamento universitario. Era anche un testimone di rilevanti svolte della vicenda nazionale e internazionale durante il XX secolo. Sempre all’Ateneo ho potuto avvicinare il magistero di docenti dall’alta statura intellettuale, come Cesare Segre, i linguisti quali Silvio e Anna  Ramat, un filologo come Luciano Gargan, i docenti del Dipartimento di filosofia, assai importanti per gli stimoli ed  i contenuti ideali che hanno regalato alla nostra università e alla comunità intellettuale. Tra tanti apporti, basti citare la bellissima rivista “Studi settecenteschi”, diretta con passione, competenza e acume da Gianni Francioni (autore fra l’altro di rilevanti ricerche su Beccaria e su Gramsci). Va da sé menzionare gli amici del Dipartimento Storico,  capeggiati da Giulio Guderzo e gli antichisti… In un’intervista è difficile citare tutto, come vorrei: dico solo che da tutti…potevo apprendere molto, anche sul piano umano. Se non ci son riuscito, è colpa mia.

 

D. Quali sono state le sue prime esperienze nel campo dell’insegnamento?

Per parecchi anni ho insegnato storia moderna all’Università Cattolica di Milano. Ricordo, nel lontano periodo del ’73 –’74, che io e i miei primi allievi facevamo spesso delle riunioni per discutere su tematiche allora all’ordine del giorno, ma sempre attuali, quale la periodizzazione, appunto, della storia moderna. C’è, infatti, chi ritiene che essa abbia inizio con la scoperta dell’America, chi con l’invenzione della stampa…o con l’emergere di altri fattori. A proposito, ricordo che esaminammo, in vivaci dibattiti, il  volume di Elizabeth Eisenstein, “La rivoluzione del libro”.

Comunque, l’esperienza più palpitante è proprio quella pavese. Insegno qui dal 1987 e, con i colleghi, non solo mi sono avvalso di proficue collaborazioni e, come detto, notevolissime lezioni,  ma ho stabilito amicizie che resisteranno. Mi piace sottolineare l’opera di chi, oltre i pregevoli lavori scientifici e l’efficace didattica, ha operato nelle strutture istituzionali, addossandosi, con sacrificio, il compito ingrato di muoversi in strette maglie burocratiche: i presidi Giorgetto Giorgi e il già ricordato Gianni Francioni, ora prorettore alla Didattica, Elisa Romano, il direttore del nuovo dipartimento di studi umanistici Silvana Borutti e, nell’accidentato campo dei programmi e dell’organizzazione didattica, Clelia Martignoni. E i rettori Roberto Schmidt e Angiolino Stella. Soprattutto devo segnalare l’apporto degli allievi: è dal dialogo con loro che un docente apprende come insegnare, cosa approfondire, da quale ottica riguardare la pulsante attualità. E per me è risultato arricchente il rapporto con esponenti del personale tecnico amministrativo: spesso, persone stupende, da cui imparare… Credo che nel mio lavoro sia fondamentale stabilire un rapporto di comprensione a vasto raggio, sull’abbrivo della simpatia, nel senso etimo del termine, e dell’amicizia. L’assioma nemo nisi per amicitiam cognoscitur resta imprescindibile anche per capire davvero quell’avventura umana, che rimane l’affascinante oggetto della storiografia.

 

D. Tra le opere che ha scritto, quale ricorda con particolare affetto?

Difficile rispondere! sono molto legato ad ognuno dei libri che ho “prodotto”, come si dice oggi, quantunque ne veda sempre più nitidamente i limiti. Una sola reminiscenza: durante la stesura di “Terra, uomini, religione nella pianura lombarda – il Lodigiano nell’età delle riforme asburgiche”, ho dovuto sottoporre ad una pazientissima rivisitazione il catasto teresiano, smarrendomi spesso nella selva di numeri e percentuali, particolarmente complessa! Ma, riandando alle mie colpe librarie, non posso fare a meno di parlare di Ernesto Buonaiuti, un professore di storia del cristianesimo dell’Università di Roma, che fra l’altro nel 1931 non prestò il regime fascista. È un personaggio difficile da rendere per la fluidità, pur attraente, del suo modo di far storia, e questo ha determinato una sorta di rapporto di amore/odio durante la stesura del mio “Il cattolicesimo tra crisi e rinnovamento”, e nella redazione di altri saggi. Mi chiedono di redigerne una biografia. Ce la farò?

 

D. Senza rovinarci la sorpresa, vuole darci qualche anticipazione sul libro che sta realizzando?

Certamente! Sto svolgendo una ricerca su una missione diplomatico-religiosa che nel 1613 dalla località giapponese di Sendai si diresse verso il Messico, poi raggiunse la Spagna di Filippo III e infine arrivò a Roma da Paolo V. Questioni religiose, commerciali e diplomatiche si intrecciarono portando ad un confronto tra diverse culture. È una stesura coinvolgente, che voglio completare al più presto, considerando poi che è vicino il quattrocentesimo anniversario della missione!

 

D. Molti suoi studi sono stati rivolti al Giappone. Da cosa nasce una scelta così particolare?

Mia moglie è giapponese ed è stata proprio lei a svegliare in me un grande interesse per questa terra, un interesse che poi è stato coltivato anche attraverso soggiorni appunto in Giappone, frequentazioni di archivi e biblioteche locali, oltre ai contatti con professori quali Susumu Shimazono, Junichi Isomae ed Hidetaka Fukasawa. Ancora una volta devo dire che l’amicizia tra colleghi è un fattore prezioso, e aiuta a comprendere il “diverso”, il che un traguardo, non agevolmente raggiungibile, proprio di chi fa il mestiere di storico.

 

Termina così la prima intervista. È stato un colloquio molto piacevole, concluso con un’acuta osservazione del prof., a margine di un aspetto di quello che tenta di fare. Voglio riportarvela: “Lo storico sa che la storia è una catena, non frammentata né frammentabile, però sa anche che non tutti gli anelli hanno lo stesso valore, quindi, deve sapere individuare e mostrare i momenti di svolta”.

 

 

NdR. Quest’intervista sarà pubblicata anche sul cartaceo di Inchiostro numero  121, prossimamente in uscita

 

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