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Intervista a Carla Stracci: la comunità LGBTI (seconda parte)

Ecco la seconda parte dell’intervista di Inchiostro alla Drag Queen Carla Stracci, protagonista indiscussa del palcoscenico nazionale non solo per la sua indole artistica e d’intrattenimento, ma anche come portavoce ed esponente in prima linea della comunità LGBTI. Per affrontare e far chiarezza su tematiche attuali che sono vive nella nostra società, le abbiamo posto i nostri interrogativi. (Se vi siete persi la prima parte dell’intervista, correte a leggerla!)

Iniziamo col fare chiarezza ai nostri lettori: cos’è la comunità LGBTI?
Dovrebbe essere quella famosa “sorellanza” che fa stare insieme persone che hanno dei percorsi di vita simili, o comunque assimilabili, che vengono da un contesto culturale analogo che non è sempre quello accogliente. L’Italia è uno di quegli stati in cui, per cultura, leggi e diritti, essere LGBTI non è facile. La comunità fa stare bene e insieme le persone: è il luogo sicuro dove poter creare degli spazi nei quali le persone possono parlare, incontrarsi, dialogare e innamorarsi. Ma anche fare battaglie insieme, parlare di sé e dei diritti, elaborare concetti comunitari e identitari che poi diventino battaglie culturali, politiche e legislative. Comunità è tutto questo, è sentirsi non da soli dato che spesso le famiglie escludono le persone LGBTI in base al loro orientamento sessuale o alla loro identità di genere. Una seconda famiglia, un posto sicuro dove poter essere se stessi senza porsi dei limiti.

Una grande associazione libera ed accogliente, ma secondo te ci sono dei problemi all’interno della comunità LGBTI?
Ci sono e ci son sempre stati. Non riuscire ad ascoltare le nuove istanze, le nuove identità di chi magari non riesce a identificarsi nelle definizioni classiche e canoniche e chi vuole solo distruggere le definizioni classiche e canoniche che esistono per un motivo: due moti di pensiero che non sempre riescono a dialogare tra di loro. La cosa più importante è proprio quella di ascoltarsi e capire cosa l’uno dice nei confronti dell’altro, capire che forse l’infinita varietà del mondo è la cosa più bella: il mondo è bello perché è vario. Ci sono tante sfumature. Noi siamo un arcobaleno fatto di sfumature, oltre che di colori chiari e forti. Come ci diceva Kinsey nella sua scala della sessualità, se l’eterosessualità e l’omosessualità sono ai due poli opposti, esistono tante varianti nel mezzo. Ci sono degli orientamenti sessuali, delle sfumature o delle varietà di genere che non devono far spaventare chi cerca di scardinare alcuni stereotipi dovuti ad una cultura etero normativa. D’altro canto, le definizioni “classiche” ci aiutano a identificarci e a definirci in modo chiaro e non possiamo negare l’importanza di elementi quali orientamento sessuale, identità di genere, espressione di genere, sesso biologico nella definizione più complessa e composita dell’identità sessuale e affettiva di ognuna e ognuno di noi. Se non possiamo più definirci allora facciamo il gioco di chi ci odia e di chi dice che non esistiamo.

Oltre ai pro e i contro della comunità stessa, qual è la situazione e com’è vista la comunità LGBTI nel nostro paese?
Potremmo avere molto di più e dobbiamo ancora combatte per averlo. Siamo in una sorta di apartheid giuridica perché la Legge sulle Unioni Civili ci rende dei pària per legge, che sì hanno dei diritti ma non quelli di tutti gli altri. Non abbiamo tutela per le nostre famiglie e non abbiamo accesso ad alcuni istituti come l’adozione, non abbiamo legge o istituti contro la violenza e contro l’omotransfobia in modo efficace come altri stati. Non abbiamo una legge interpretata in modo coerente per quanto riguarda la transizione di genere che dovrebbe essere aggiornata. Non abbiamo adeguate tutele e formazione per l’intersessualità, per lo meno dal punto di vista della conoscenza medica e scientifica: non tutti i medici infatti sanno come reagire di fronte ad un’intersessualità. Altri stati hanno fatto molto di più per le pratiche inclusive nel mondo del lavoro, dei diritti e della cultura. Noi abbiamo ancora tanta strada da fare. Il fatto che ci siano sempre più giovani in piazza ai Pride mi fa ben sperare che la voglia di combattere non sia esaurita dopo l’approvazione della legge sulle unioni civili, ma ci sia ancora voglia di dire la propria: questo è importante.

Una situazione difficile, che sicuramente si trascina delle recenti lacune sociali, ma secondo te quali sono le differenze tra le nuove e le vecchie generazioni della comunità LGBTI?
Ci sono delle enormi differenze. I “Millennials” e le generazioni successive, sono le generazioni digitali, nate con lo smartphone in mano, Facebook, YouTube e Internet accessibile a tutti, cosa che quelle precedenti non hanno mai avuto. Quindi, il modo d’incontrarsi tra vecchie e nuove generazioni è completamente diverso. Un tempo era indispensabile trovare luoghi d’aggregazione con persone simili mentre oggi basta scaricarsi delle applicazioni sul cellulare. Ma se un tempo creare luoghi d’aggregazione sicuri era la mission della comunità e faceva stare assieme davvero le persone, ma anche facendole combattere, ora le app non sopperiscono a questa funzione, dando vita a un nuovo modo di ragionare la socializzazione. I giovani fanno “coming out” molto prima, chiedono di essere visibili e portano delle nuove istanze che prima pensavamo fossero solo dei miraggi: la visibilità delle scuole medie e superiori, azioni più concrete delle persone in transizione nelle università e nelle scuole superiori e di poter parlare di sé senza definirsi negli acronimi classici LGBTI. Questo è ciò che vedo di diverso. Il rischio è che i giovani non studino la storia del movimento e quindi, come spesso succede, non sappiamo perché siamo arrivati a fare determinate cose in un certo modo. Una sorta di white washing, di appropriazione culturale: un altro grosso problema. Abbiamo tanti giovani e giovanissimi etero alleati. ma di noi dobbiamo parlare noi. Siamo noi che dobbiamo metterci la faccia e parlare della nostra comunità agli altri. Evviva gli etero alleati e chi ci supporta, perché non saremo mai una maggioranza. Però, se gli altri devono imparare a conoscerci, noi dobbiamo continuare ad esser rappresentati da noi e dalla nostra comunità.

Cos’è l’omofobia?
L’omofobia è la paura che diventa violenza, la paura che si concreta in azioni forti. La paura per quello che non si conosce oppure la paura di qualcosa che un po’ si conosce e si ha paura di trovare in se stessi, ossia di riconoscersi come persone potenzialmente LGBTI e quindi scaricare tutta questa paura con odio verbale, psicologico e violenza fisica, bullismo nei confronti di chi si sa o si suppone essere una persona LGBTI. Violenza contro chi incarna, con il proprio corpo, quell’essere diversi e quella diversità che disturba, perché potrebbe essere la stessa diversità di cui è composta la persona che odia o semplicemente perché si è portatori con un corpo diverso e di un amore diverso rispetto alla norma statistica.

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