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Interviste AIESEC – l’India di Eugenia Bernardotti

AIESEC è un’associazione nata nel 1948 interamente gestita da studenti, che mira allo sviluppo delle capacità umane e in particolare della leadership attraverso delle esperienze stimolanti all’estero, come lavoro di volontariato, di scambio o tirocinio. Ogni progetto ha come base la cooperazione tra le persone, creando ambienti liberi di confronto e collaborazione reciproca e soprattutto guarda in direzione della crescita e della sostenibilità. Per l’associazione è importante stimolare e accrescere la volontà individuale di rendersi partecipi, avere un ruolo attivo nel rendere il mondo un posto migliore, informarsi su ciò che avviene a livello globale, rendersi quindi cittadini del mondo.

In quanto organizzazione globale, apolitica, indipendente e no profit, AIESEC, presente in 122 paesi, permette ai giovani di formarsi in un contesto internazionale e multiculturale aperto al confronto tra punti di vista differenti e sensibile alle tematiche di rilievo mondiale.

Nel 2015 AIESEC diventa ufficialmente partner delle Nazioni Unite ed è in Italia uno dei maggiori promotori dell’agenda 2030 a livello giovanile; i suoi progetti sono supportati da istituzioni quali MiUR e SPRAR e da poco AIESEC Italia fa parte di ASviS, Alleanza molto attiva in termini di sensibilizzazione e azioni concrete rispetto agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

Abbiamo intervistato alcuni studenti partiti con AIESEC per porre loro alcune domande sulla loro esperienza di viaggio.

Eugenia Bernardotti ha 26 anni, ha frequentato il liceo artistico e si è laureata in Scienze dei Beni Culturali all’Università Cattolica di Milano. Dopo la triennale ha deciso però di discostarsi dal suo percorso di studi precedente e si è iscritta all’Università di Pavia alla facoltà di Economia nel Corso di Laurea in Management, per poi partire sei settimane con AIESEC alla volta dell’India.

 

Come sei entrata in contatto con AIESEC? 

Ho conosciuto AIESEC grazie ad una serie di presentazioni in aula fatte da membri di AIESEC Pavia. Mi ha incuriosito e così ho iniziato a pensare “e se partissi…?”. Dopo una settimana pensavo ancora alla presentazione e a quanto sarebbe stato fantastico dare una svolta alla mia vita, mi serviva una scossa! Successivamente, nella sede di San Tommaso mi sono imbattuta in un banchetto organizzato da AIESEC e dopo una serie di telefonate ho avuto il primo incontro con il mio Tutor. Gli ho spiegato come mi sentivo, cosa volevo ottenere da questa esperienza e da lì abbiamo iniziato a pensare insieme ad ipotetiche mete e progetti che potevano interessarmi.

Cosa ti ha spinto ad intraprendere questa esperienza con AIESEC? E come mai hai scelto l’India come meta della tua esperienza?

Come ho già detto ero alla mia seconda laurea triennale, ero stanca e anche un po’ demotivata nonostante il mio percorso di studi stesse andando avanti regolarmente e senza intoppi, mi sentivo ferma. Dopo mesi questo senso di immobilità non mi abbandonava ed ho pensato che era giunto il momento di una scossa, di un’avventura, e quale miglior modo se non quello di partire per sei settimane da sola dall’altra parte del mondo?

Come è stato il tuo rapporto con AIESEC durante questa esperienza? 

Questo potrebbe essere considerato il punto dolente della mia esperienza, non per quanto riguarda AIESEC Pavia, perché Salvatore, il mio referente, è stato sempre disponibile e volenteroso ad aiutarmi in qualsiasi momento. Il problema principale è stata la collaborazione con AIESEC Nuova Delhi. Accordi e accoglienza erano gestiti con disorganizzazione e ritardi, che infatti erano all’ordine del giorno.

Come hai percepito la situazione politica e sociale del paese? 

Il primo approccio è stato critico perché ci sono state delle rivolte a Delhi, a pochi chilometri da dove alloggiavo, durante la prima settimana della mia permanenza. Durante le rivolte un gruppo di persone ha incendiato pullman e ferito manifestanti e passanti, dunque in ostello ci hanno vietato di uscire per la nostra sicurezza. A parte questo primo impatto un po’ preoccupante, il paese è molto povero e le persone vivono di quello che possono. La cosa che mi ha colpito di più sono stati i bambini e le donne. Dormivano per strada dove potevano, erano sporchi ed affamati. Ogni giorno io compravo dei biscotti da dare ai bimbi che mi fermavano per vendermi palloncini e davo gli avanzi del mio cibo a chiunque me li chiedesse. Diciamo che la sensazione generale è stata quella di forte degrado e povertà. Ma facendo la pendolare per lavoro ho anche potuto osservare come il cambiamento e l’influsso della civiltà occidentale abbiano portato a un mutamento positivo della situazione sociale grazie allo sviluppo di una classe media e di una maggiore emancipazione femminile. Spero che il cambiamento non si arresti!

Com’è stata l’accoglienza da parte della gente del posto? E delle persone con cui hai lavorato?

Ecco questo è stato un punto dolente! Il primo impatto è stato crudele, avete presente la metropolitana di Milano all’ora di punta? Quadruplicate le persone, ecco: questa è la metropolitana di Delhi. Per farla breve, se andate in India, scordatevi del vostro spazio personale. Inoltre, DEVONO parlarti, chiederti come ti chiami, da dove vieni, e non importa se sappiano dire solo quello in inglese, cercheranno di parlarti a gesti e di stringerti la mano e, per finire, ti fisseranno e vorranno farsi dei selfie. Io ero la diversa, non ero scura come loro e non importava se fossi vestita come loro, mi fermavano e mi chiedevano una foto.

Di cosa ti occupavi? 

Ho lavorato per cinque settimane nella startup “Desired Wings” che si occupava di donation-based crowdfunding: ossia della donazione di piccole somme di denaro da parte del crowd (la folla di donatori) a progetti sociali creati da altri individui o società. È una tipologia di crowdfunding molto sviluppata ed utilizzata in India, la cui popolazione crede molto nella donazione e nell’altruismo, sia come questione sociale che religiosa. La piattaforma nella quale ho lavorato attivava progetti di raccolta fondi per costruire scuole e aiutare persone molto al di sotto della soglia di povertà a poter ricevere cure mediche urgenti. Il mio compito è stato quello di fare ricerche di marketing su fenomeni sociali per poi scrivere articoli che sarebbero stati pubblicati sui blog della startup. Il lavoro mi ha interessato molto, soprattutto capire le differenti dinamiche che si vengono a creare in un contesto lavorativo che non è quello italiano. Ad esempio, l’ufficio non era solo di un’azienda ma condiviso da più imprese (una realtà di co-working per intenderci), in esso avevi a che fare con persone che lavoravano in un call-center, oppure con analisti finanziari o con persone che ricoprivano diverse altre funzioni aziendali in società differenti.

Cosa ti ha lasciato questa esperienza? 

Questa esperienza mi ha cambiata completamente! Ho iniziato a guardare ciò che mi circonda con occhi nuovi e mi ha fatto capire quanto sono forte mentalmente e quanto riesco ad adattarmi alle situazioni più complicate e incredibili. Mi ha fatto capire che i confini geografici sono solo una linea su una cartina e che anche dall’altra parte del mondo le persone sono molto più simili a noi di quanto possiamo immaginare. Consiglierei assolutamente l’esperienza che ho fatto, perché permette veramente a chi la vive di mettersi alla prova contando solo ed unicamente sulle proprie forze.

Quali sono state le emozioni tue e della tua famiglia prima di partire?

Appena saputo che sarei partita mia mamma era felicissima, ma poi la felicità ha un po’ lasciato spazio all’apprensione. Ad essere onesta, anche io ho provato la stessa cosa: sono soggetta ad attacchi di ansia e nelle ore di attesa prima dell’imbarco sul volo che mi avrebbe portato dall’altra parte del mondo completamente da sola, ne ho avuti parecchi. Dopo che il volo è decollato però, ho capito di non avere più scampo. La partenza è stata terribile e per un intero giorno non sono uscita dall’ostello, sia chiaro. Ma dopo un po’ ho preso tutto il coraggio che avevo e ho esplorato il quartiere, poi la città e poi l’India!

Quali sono stati i momenti più difficili da superare? 

Diciamo che la difficoltà più grande è stata quella di prendere coraggio e girare per l’India da sola. Molto spesso il popolo indiano è invadente, gli spazi personali non esistono e ovunque un turista dalla carnagione chiara vada, deve mettere in conto che attirerà gli sguardi curiosi di tutti i passanti. Per il resto, non ci sono stati momenti così terribili, ho sempre affrontato la mia esperienza giorno per giorno, ripromettendomi di non precludermi nulla, provare ogni tipo di cibo, fare ogni tipo di esperienza e parlare ogni giorno con persone diverse.

Qual è il ricordo più bello che porti con te da questa esperienza? 

Il ricordo più bello che porterò sempre con me sono le persone che ho conosciuto. Le persone mi hanno dato tanto. Ho conosciuto ragazzi e ragazze che a distanza di un anno sento ancora come se ci vedessimo ancora tutti i giorni a colazione.

Quale consiglio daresti ai lettori di «Inchiostro»?

Viaggiate! Viaggiate più che potete ed aprite la vostra mente a nuove culture e nuove persone! Arricchite voi stessi e la vostra mente in qualsiasi modo possibile. Fate quello che vi passa per la testa, lanciatevi in nuove avventure, superate i vostri limiti sempre! Oltre quella linea sottile che separa la comfort zone da quello che per voi risulta nuovo troverete l’incredibile.

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