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Intervista a Mario Cervi

di Francesco Rossella e Stefano Sette

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Lo scorso 11 dicembre, presso l’Aula Scarpa dell’Università si è svolto un interessante incontro del ciclo “Quattro chiacchiere con…”, che periodicamente propone incontri con personaggi di spicco della cultura e dell’informazione. Stavolta l’ospite d’eccezione era Mario Cervi, storica penna del giornalismo italiano e cofondatore del “Giornale” assieme a Indro Montanelli. Proprio al grande maestro scomparso sono dedicati alcuni dei ritratti più belli del suo ultimo libro, dal titolo volutamente ambiguo “Gli anni del piombo”. Il piombo è naturalmente quello usato un tempo per stampare le copie cartacee, ma anche un riferimento inevitabile agli anni bui del terrorismo, che tra l’altro colpì lo stesso Montanelli.

Era presente anche il coautore del libro, il giornalista Luca Mascheroni, ma naturalmente l’attenzione e la curiosità dei numerosi presenti erano tutte per Cervi, un arzillo vecchietto di ottantotto anni che nel suo curriculum vanta collaborazioni con due grandi quotidiani italiani: il “Corriere della Sera” per il quale è stato testimone diretto di alcuni dei principali avvenimenti internazionali recenti come il golpe cileno o la dittatura dei colonnelli in Grecia, e il “Giornale”, che ha diretto dal 1997 al 2001 e per cui tuttora scrive nelle vesti di editorialista.

“Inchiostro” è riuscito a intervistarlo a margine della conferenza, e ne è scaturito un colloquio tanto breve quanto significativo che riassumiamo qua di seguito.

[Inchiostro] Potrebbe darci un giudizio su Marco Travaglio, da molti considerato la vera star del giornalismo attuale, visto che lo ha avuto come collega prima al Giornale e poi a La Voce?

[Mario Cervi] Travaglio ha successo e io ho molto rispetto per chi ce l’ha, a prescindere dai suoi orientamenti politici. E’ innegabile però che vive e guadagna facendo leva sull’anti-berlusconismo diffuso tra la popolazione. I libri che pubblica più che libri di inchiesta sono raccolte di atti giudiziari fatte con dedizione e attenzione ai particolari. È stato mio collega prima al Giornale e poi a La Voce: ha tante capacità e anche molti difetti, come tutti nel suo campo, è un giornalista interessante e molto intelligente ma giudico la mitizzazione del suo personaggio eccessiva. Non so fino a che punto sia autentico e fino a che punto invece debba recitare la parte di intellettuale di sinistra che si è cucito addosso da tempo; secondo me adesso si sta guastando per eccesso di successo. Debbo comunque riconoscere che Travaglio sa usare benissimo la spregiudicatezza.

[I.] Lei condivide l’opinione diffusa secondo cui in Italia da tempo si assiste a una crisi profonda dell’informazione libera?

[M.C.] Nient’affatto. Mi spiego: se uno guarda le graduatorie che collocano l’Italia al 70° posto per la libertà di stampa pensa che non ce ne sia. Invece secondo me non si deve dar conto a quelle classifiche, sono tutte balle! In Italia ogni giornale segue la propria linea editoriale, ed è normale che sia così: il Giornale ne segue una vicino a Berlusconi, la Stampa una vicino alla Fiat e agli Agnelli, Repubblica una vicina a De Benedetti e così via. L’Italia è un paese che avrà pure tanti difetti, non lo nego, però il settore dell’informazione non è in crisi. Il lettore che va in edicola ha una vasta gamma di opzioni tra cui scegliere, cosa che in passato non esisteva, e sta a lui decidere quale giornale acquistare.

[I.] Oggi ci sono giornalisti preparati e validi come in passato? Ci sono dei nuovi Montanelli, degli eredi di Biagi?

[M.C.] No, oggi non ci sono giornalisti come in passato perché prima c’era un ampio livello di cultura, si dava molta più importanza alla forma e alla scrittura, mentre oggigiorno contano più i contenuti della forma e per questo abbiamo un livello medio piuttosto basso e molti giornalisti non sono preparati come invece lo erano quelli di una volta.

[I.] Ci può parlare del suo rapporto con Berlusconi al Giornale? Lei si è sempre sentito libero nelle sue scelte?

[M.C.] Mi sono dimesso il 25 marzo 2001 perché era in corso la campagna elettorale per le elezioni politiche. È facile dirigere il giornale vicino ad un partito che sta all’opposizione perché chi governa fa tante stupidaggini e quindi non c’è il rischio di passare per “servi del potere”, ma dirigere lo stesso giornale quando l’editore è Presidente del Consiglio non è semplice, quindi ho preferito fare un passo indietro, anche perché mi avvicinavo alla soglia dei fatidici ottant’anni. Il rapporto con l’editore Berlusconi è sempre stato libero, sia prima che dopo la mia direzione. Un esempio per tutti: Montanelli non appoggiava il governo Craxi, che si sa aveva fatto un favore a Berlusconi legalizzando le sue televisioni, eppure non c’erano mai state pressioni dell’editore sul giornalista.

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