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Intervista a Dimitri Milleri – Poeti degli anni ’80 e ’90 (IP, 2019).

Continua il ciclo di interviste agli autori pubblicati all’interno di Poeti degli anni ’80 e ’90, da Interno Poesia per le cure di Giulia Martini, con l’autore Dimitri Milleri. 

Dimitri Milleri nasce nel 1995 a Bibbiena (AR). Dopo la formazione presso il liceo musicale di Arezzo, inizia il triennio di chitarra alla Scuola di musica di Fiesole sotto la guida del maestro A. Borghese. Nel 2017 esce, per la casa editrice Rocco Carabba, Frammenti Fragili (vincitrice del primo premio per il libro di poesia edito al concorso Tagete 2017). Suoi interventi poetici sono usciti sul sito Pioggia Obliqua.

Dimitri Milleri: Quando ho iniziato a scrivere poesie, mi sentivo spesso colpito da un certo senso di colpa. Non solo sapevo benissimo che non sarebbe stato utile a nessuno (forse nemmeno a me), ma mi rendevo conto che il mio gesto assomigliasse molto a una richiesta d’aiuto. Come tanti altri ho iniziato a scrivere senza strumenti, per igiene personale, e soprattutto senza credere molto nella stessa poesia. Mi sentivo come chi si affida al santone di turno per disperazione. A quel tempo i miei riferimenti erano soprattutto Montale e Leopardi: gli unici poeti che potessi dire di aver letto. Era una poesia simile a tanta altra poesia degli esordi: facile lirismo, immaginario di maniera, drammaticità, assenza di forma. Non passò molto tempo dall’uscita del mio primo libro, perché io me ne accorgessi e mi trovassi di fronte a un bivio etico ed estetico a un tempo: piantarla con questa pagliacciata della poesia o farla diventare qualcos’altro.

Demetrio Marra: penso sia normale assumere a modelli, all’inizio, i più studiati o per lo meno i più frequentati al liceo. E non penso si possa biasimare un esordio (seppur privato) del tipo che hai descritto, cioè nella direzione della sentenza o del dramma (simulato o meno). Piuttosto: sei andato oltre? Anzi: mi sembra tu abbia fatto ampiamente un passo oltre.

Dimitri Milleri: Non so se ho davvero scelto il secondo sentiero [ndr. «piantarla con questa pagliacciata della poesia o farla diventare qualcos’altro»] ma sta di fatto che sto tentando di percorrerlo. Iniziai dedicandomi allo studio di metrica e versificazione, materie di cui non sapevo nulla e di cui non comprendeva nemmeno il senso. Allo stesso modo iniziai a leggere volentieri la poesia del novecento e quella contemporanea. Pian pano mi fu chiaro il senso della ricerca formale e non, anche grazie alla lettura di Ceni, De Angelis, Caproni e Zanzotto, per me fondamentali. Sentii che per fare una poesia che non fosse colma di me, dovevo eliminare l’osservante dall’osservato e, cosa ancora più importante, allontanare lo scrivente da se stesso, raffreddarlo un po’.

Demetrio Marra: mi sembra che quello che dici possa in qualche modo essere in accordo con ciò che Davide Castignone dice su di te, nella prefazione: «Ogni poesia che punti a una gnome non sloganistica – e cioè alla distillazione, in forma di massima o sentenza, di una qualche saggezza non imprestata – deve aver attraversato e rielaborato la propria materia ispiratrice, sia essa storica, biografica, percettiva o psichica». Il superamento (anche se non conosco i lavori di cui parli) mi sembra possa avvalersi di un procedimento: in tutti i testi ospitati nell’antologia c’è uno slittamento (mi pare) da una visione “normale” (un’inquadratura diritta) a uno scorcio, a una retorica che permetta di parlare di qualcosa in modo anomalo. Penso a “Corrispondenze”, per citare un testo disponibile anche online. Ti riconosci in questo “modo”?

Dimitri Milleri: Decisamente. L’utilizzo di campi semantici tecnici o specifici, la frammentazione del tu colloquiale o la sua riduzione ai minimi termini, l’utilizzo della terza persona (anche quando la terza persona e lo scrivente si identificano) e di una metrica non isosillabica derivata dalla lingua inglese sono gli strumenti che mi hanno accompagnato in questa ricerca. Non credo che si possa eliminare il soggetto, perché alla fine esiste sempre un autore empirico, ma si può tentare di reificarlo e mutilare per far abbassare le difese del lettore e poi colpirlo dritto sul muso.

Demetrio Marra: un po’ un dialogo inevitabile (per noi almeno – me e te) con la “lirica”, e forse anche per il resto della Antologia. Credi che la “generazione” si mostri in questo volume anche nel tentativo di dissimulare o giocare con l’«Io»? Forse vale quello che Landolfi diceva di sé: «sono condannato per sempre a questa prima [persona]» (La biere du pecheur). Parlo con tutta la cautela possibile.

Dimitri Milleri: Io prendo molto sul serio il soggetto e non mi disturba l’idea che sia ineliminabile, ma credo risulti ingombrante, retorico, se non lo si sottopone a un processo critico. Direi che la nostra è una generazione segnata dal “problema Io” e dai vari stratagemmi che si adottano per superarlo, nell’ottica non di una cancellazione, ma di un restauro. In questo quadro, essere all’interno dell’antologia curata da Giulia Martini è moto importante per me: mi inserisce dentro una comunità e mi fa sentire che la poesia può essere molto di più di un’attività onanistica.

 

In allegato, il terzo testo (inedito) apparso in Poeti degli anni ’80 e ’90 (IP, 2019).

Ragazzi

Restano là, nel buio ingiallito
di un lampione
a riciclare come possono bottiglie
proiettandole lontano,
fino ai frantumi.

Loro è il fondo della spesa non fatta,
l’esule dolciume che non nutre,
il vuoto in mezzo al pieno.
-filmano intanto, tentano
la gloria oltre il gesto-

La madre loro è il virus
a trascrizione lenta
incastonato nel terreno fertile,
il padre è la trascurata
infinita faglia nella bambagia.

Occorre ruminarli a lungo,
per dirli con grazia e compassione,
immaginarli finire miseri
nel privilegio,
dopo superflue grida,
di colpo: come il viaggio del bucato
a fine ciclo.

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