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Intervista a Cettina Donato

Pianista, compositrice e direttore d’orchestra, Cettina Donato conduce parallelamente la sua carriera tra Europa, Stati Uniti, Canada e Giappone, dove continua ad essere acclamata per la grande raffinatezza e versatilità musicale. Da anni i Jazzit Awards la inseriscono nella classifica dei migliori arrangiatori italiani.

Prima donna italiana a dirigere orchestre sinfoniche con un repertorio jazz, Cettina ha ricoperto il ruolo di International President del Women In Jazz del South Florida, associazione volta alla promozione di musiciste e compositrici di tutto il mondo.

A giugno 2020 uscirà, con l’etichetta AlfaMusic, il suo nuovo lavoro discografico che inciderà insieme a un quartetto jazz e un quartetto d’archi.

Nonostante la storia del Jazz sia ricca di straordinarie musiciste, la direzione d’orchestra molto spesso sembra essere appannaggio del genere maschile. Ti sei mai imbattuta in disparità di genere?

Fortunatamente non ho mai avuto alcun tipo di problema. Secondo me le donne hanno una marcia in più e non mi riferisco ovviamente all’arma del sesso. Io provengo da una famiglia numerosissima in cui le decisioni spettavano alle donne. Quando io o i miei fratelli domandavamo a mio padre un consiglio o un permesso, lui ci rispondeva “parla con la mamma”, affidando a mia madre il compito di acconsentire oppure no. Per questo nel mio lavoro traggo ispirazione dal mio modello familiare, cercando di essere autorevole ma non autoritaria. I direttori d’orchestra sono odiati di default, quindi, partendo da questa premessa, cerco sempre di essere gentile e di accontentare i musicisti mediando tutte le decisioni.

Che cosa consiglieresti a tutte le giovani lettrici che in futuro ricopriranno funzioni dirigenziali?

Studiare tanto e possedere le giuste competenze sono due requisiti fondamentali. Se sei preparato e svolgi correttamente il tuo lavoro nessuno potrà farti del male. Io non sono mai stata in competizione con nessuno, ho sempre guardato al mio percorso e non ho mai invidiato nessuno.

Certamente il talento è importante, ma senza lo studio è impossibile raggiungere livelli altissimi. Io non so se sono talentuosa, lascio che questo lo dicano gli altri, ma mi piace tanto studiare e sono molto curiosa di imparare tutto ciò che non conosco. Anche la fortuna, però, ha un ruolo importante.

Siciliana d’origine, ma, dopo i tuoi studi classici e jazzistici, hai arricchito la tua formazione musicale presso il Berklee College of Music. Attualmente lavori tra Europa, Stati Uniti, Canada e Giappone. Il tuo è uno dei tanti casi di cervelli in fuga dall’Italia?

Non credo. Io ho studiato musica classica in Italia, patria della tradizione musicale europea. Dopo essermi perfezionata nel nostro Paese, ho deciso di studiare Jazz e allora ho pensato a quale fosse la scuola migliore del mondo. Nel 2008 ho vinto per caso una borsa di studio mentre mi trovato al festival Umbria Jazz, dove i professori del Berklee College of Music mi hanno offerto una borsa di studio per cui non avevo nemmeno fatto l’audizione.

Inizialmente ero incerta sulla partenza perché già lavoravo e da un po’ di tempo avevo programmato la mia vita, ma le occasioni migliori si presentano quando meno te lo aspetti. Questa esperienza mi ha totalmente cambiato la vita. Probabilmente se fossi rimasta in Italia avrei avuto ugualmente una vita felice e tranquilla senza tutti questi spostamenti.  

Qual è l’accessorio più prezioso della tua sicilianità che indossi durante i tuoi tour internazionali?

Magari è campanilismo, però io sono siciliana e si vede: apro bocca e si sente subito. In molti mi dicono che ho il sole dentro, quindi forse trasmetto una grande energia nel mio lavoro.  

Nel 2019 hai pubblicato con l’etichetta Alfa Music il tuo nuovo album Piano 4Hands, in duo con Stefania Tallini, primo jazz duo pianistico femminile a 4 mani. Che cosa si prova a condividere il pianoforte con un’altra pianista? Qual è il vostro metodo di lavoro?

Io e Stefania per adesso non lavoriamo più insieme perché siamo prese dai nostri impegni artistici, però è stato un esperimento che abbiamo voluto concretizzare. Ci siamo trovate bene, ma al momento non è più la nostra priorità. Ci vuole molto affiatamento per condividere lo stesso strumento.

Il tuo precedente album Persistency-TheNew York Project è uscito nel 2017. Presentato live in anteprima al Blue Note di New York, il disco nasce dalla collaborazione con grandissimi musicisti come il batterista Eliot Zigmund e il sassofonista Matt Garrison. L’intero ricavato della vendita dei dischi è devoluto alla costruzione di VillagGioVanna, residenza destinata ad ospitare in maniera permanente bambini, ragazzi e adulti affetti da autismo. Come nasce questo progetto?

La risposta è molto semplice. Io ho un fratello autistico e mia madre, a cui lui era molto affezionato, è venuta a mancare pochi anni fa. Il pensiero dei miei genitori è sempre stato: quando moriremo chi si prenderà cura di Giovanni? La mia idea è nata così. D’altronde se non sei coinvolto tu stesso non ti vengono in mente certi pensieri.

La residenza custodisce in sé il nome di mia madre Giovanna, chiamata Vanna da mio padre, ma al tempo stesso è molto chiara l’idea di un grande villaggio in cui ci si prende cura di chi è affetto da autismo.

Qualche anno fa ho aperto un conto bancario in cui confluiscono tutte le donazioni. In principio, infatti, pensavo di realizzare il mio progetto esclusivamente con il contributo dei privati, ma ora conto di trovare un’intesa con l’amministrazione messinese al fine di porre più rapidamente la prima pietra.

Quale credi sia il futuro del Jazz in Italia? Pensi che ad oggi il genere abbia perso seguito?

Non credo che il Jazz abbia perso utenze. Anzi, credo anche che il Jazz italiano goda di ottima salute perché ci sono dei giovanissimi jazzisti molto talentuosi che scrivono delle belle cose. Tuttavia, penso che i festival dovrebbero dare spazio ai giovani jazzisti, anche a quelli che non sono così fortunati da avere l’eco che meritatamente hanno i jazzisti più importanti come Fabrizio Bosso o Stefano Bollani. Ci sono tanti jazzisti giovanissimi come Enrico Zanisi o Alessandro Lanzoni che secondo me meriterebbero di essere presenti nei cartelloni dei tanti festival jazz italiani.

Hai in programma progetti musicali futuri di cui puoi parlarci?

Al momento mi trovo in tournée in giro per l’Italia con Ninni Bruschetta, attore e regista teatrale, messinese come me. Lo spettacolo ha il titolo Il mio nome è Caino, con la regia di Laura Giacobbe e la produzione di Nutrimenti Terrestri, compagnia teatrale messinese. Autore del testo è Claudio Fava, figlio di Pippo Fava, giornalista ucciso dalla Mafia nel 1984.

A giugno registrerò il mio nuovo disco dal titolo I siciliani con Dario Cecchini ai sassofoni, Dario Rosciglione al contrabbasso, Mimmo Campanale alla batteria e Ninni Bruschetta alla voce recitate, ma vi rivelo uno scoop pazzesco: Ninni canterà anche. Il disco accoglierà le composizioni di Antonio Caldarella, poeta siciliano scomparso prematuramente.  

Infine, con grande probabilità andrò ad insegnare in India nei mesi estivi presso il Global Music Institute, l’università della musica più importante dell’India in partnership con il Berklee College of Music.

Per saperne di più: https://www.cettinadonato.com/, https://www.villaggiovanna.org/

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