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#INDIE 19 – IDENTITÀ E GENERE

Parlare di donne e della loro identità e restare lontanissimi dal femminismo, inteso come quote rosa e femen, è già un sollievo, farlo poi nella sala di un cinema attraverso due film ben riusciti migliora ancora le cose. I due film sono l’italiano Vergine Giurata dell’esordiente Laura Bispuri e Still Alice, che ha valso l’Oscar a Julianne Moore come miglior attrice protagonista. Le pellicole si costruiscono intorno allo stesso tema, ma la prospettiva non potrebbe essere più diversa. È, anzi, quasi opposta. Da una parte c’è la costruzione di un’identità, o meglio il lento riappropriarsi di un’identità che prima era stata rifiutata, e dall’altra c’è una perdita, inesorabile, di ciò che si è.

In Vergine Giurata la protagonista Hana rinuncia ad essere una donna. Fa un giuramento di castità, nasconde il seno, taglia i capelli e diventa una Burnesha, l’unica alternativa che il Kanun, il codice arcaico del villaggio dove vive, riconosce ad una donna che non vuole essere sottomessa. Per anni vive come un uomo, può fumare, lavorare come un uomo e – pensa – avere la stessa libertà. Ma, adulta, si rende conto che avere la possibilità di decidere cosa fare, dove andare, ma non quella di essere chi è, è comunque una trappola. E non può che lasciareil villaggio stretto dalle fredde montagne dell’Albania e da un sistema di valori troppo rigido per una donna che vuole la stessa indipendenza di un maschio, ma non la stessa identità.

Alice Howland, la protagonista di Still Alice, invece è già tutto ciò che vuole essere: una professoressa affermata di linguistica, la moglie di un marito splendido e la madre di tre bellissimi figli. Poi, durante una lezione, perde il filo del discorso, poco tempo dopo le capita di perdere l’orientamento, poi inizia a perdere i ricordi. È una forma di Alzheimer a esordio precoce. Poche malattie sono più debilitanti. Forse per lo spirito nessuna lo è di più, perché cancella cosa definisce una persona, la sua intelligenza, il carattere che si è costruito negli anni. E nel film tutto questo viene fuori vividamente, dall’interpretazione come dalle parole di Alice: “Tutto quello per cui ho lavorato con tanto impegno, ora mi viene strappato via. Ma c’è di peggio: chi ci può più prendere sul serio quando siamo così distanti da quello che eravamo? Il nostro strano comportamento, il nostro incespicare cambia la percezione che gli altri hanno di noi e la nostra percezione di noi stessi. Ma non è questo che noi siamo, è la nostra malattia. […] Vi prego, non pensate che io stia solo soffrendo. Seppure sto soffrendo, io mi sto battendo”. L’identità è vero, si sfalda inevitabilmente. Ma resta, per quanto sembri banale, la dignità di affrontare ogni giorno una malattia tanto grande e il ricordo di chi si era, negli altri.

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