AttualitàCulturaLetteratura

InChiostroVeritas (16) – Treno di notte per Lisbona

di Matteo Merogno

La filosofia è trasversale. La filosofia comincia quando tutto le altre scienze finiscono. La filosofia è di natura formale: per questo può agire su qualsiasi contenuto. Filosofia è sinonimo di “abitudine al pensiero”, al pensare. Ma pensare che cosa? La risposta risiede solo nella realtà, in tutto ciò che esiste. In tutto.

Probabilmente anche Pascal Mercier, docente di Filosofia dell’Università di Berna, ha tenuto conto di questa impostazione nello scrivere il romanzo Treno di notte per Lisbona. Un libro, che ora è diventato un film, in cui vengono trattati molti temi. Al centro della trama un professore di liceo che si ritrova sul treno diretto a Lisbona, città in cui ripercorre, attraverso le vite dei protagonisti, le tappe fondamentali – quelle ribelli e intrise di angoscia – della Resistenza portoghese. Guardato con occhio filosofico, il film raggiunge il suo punto più alto quando il professore legge su una lapide una frase: “Quando la dittatura è un fatto, la rivoluzione è un dovere”. Una frase che a un primo ascolto non riesce a spogliarsi della sua veste da slogan dell’anarchia, ma se indagata più a fondo può indubbiamente condurre a una riflessione. Ovviamente pensando anche alla situazione politica che sta vivendo il nostro Paese in questi giorni. Quando la dittatura è un fatto? Si penserà: quando non c’è più libertà di pensiero, quando non puoi più urlare “governo ladro” senza che la polizia segreta entri dalla porta e ti arresti su due piedi, quando muori per aver parteggiato per gli “altri”. Quindi l’Italia con la sua Costituzione, le sue elezioni e la sua veste democratica, sembra essere molto lontana dal comparire come esempio alla voce del vocabolario “dittatura”. Sembra, se parliamo di una dittatura conclamata, totale. Che invece il nostro Stato sia vittima di una sorta di dittatura velata, una di quelle un po’ alla 1984 – dove credi di essere l’individuo più libero e emancipato del mondo solo perché il “sistema” te lo vuole fare credere. A questa dittatura travestita, ci comincio a credere.

Se dunque esiste questa dittatura sotto mentite spoglie, in cui chi governa non è neanche più capace di scegliere e l’unica cosa che decide di fare è delegare, fuggire, rifiutarsi (questo è chiaro) allora bisogna fare qualcosa. Seguendo la frase già citata, allora: la rivoluzione è un dovere. Ma la rivoluzione delle pistole di piccolo calibro, delle liste di nomi segreti e dei nascondigli negli scantinati non ha mai funzionato. E probabilmente aveva già fatto il suo tempo quando era ancora solo un’idea. Perché il duello con lo Stato non sarebbe ad armi pari, sarebbe come la lotta di uno contro cento. Di una squadra di cannoni contro un moschetto. Di una falange oplitica contro un coltello a serramanico. La dittatura deve essere smascherata dall’interno, dalle viscere, da coloro che la popolano e la alimentano: gli uomini. Noi, che prima o poi ci accorgeremo di questa veste dittatoriale – non già se avremo le pietre in tasca e il passamontagna, ma gli strumenti per farlo. Se avremo la cultura per farlo.

Pascal Mercier, da docente di filosofia, avrebbe potuto scrivere un trattato come fanno tanti altri professori che hanno una cattedra all’università. Ha scelto invece la forma del romanzo e ha trattato temi come la libertà, la giustizia, la vita e la morte. Voglio credere che abbia fatto cultura.
Forse l’unico vero modo ormai per dare vita ad una “rivoluzione”!

Non ridere, non piangere, ma comprendi!

inchiostroveritas@gmail.com

3 pensieri riguardo “InChiostroVeritas (16) – Treno di notte per Lisbona

  • Renato

    Hai colpito nel segno. Ormai la verità e molto lontana da ciò che appare. Sullo schermo ci proiettano uno scenario di pseudo libertà mentre in realtà lenenti e le coscienze vengono manipolate dalla dittatura dei poteri forti che perseguono senza ostacoli i loro obiettivi che sono l’auto conservazione e la riproduzione di se stessi nella delirante aspirazione al controllo totale. Orwell aveva preconizzato tutto questo. Non sarei ottimista su la presa di coscienza collettiva ma forse dei singoli illuminati potrebbero riuscire a far voltare molti nella direzione della realtà vera

    Rispondi
  • Io penso che la “libertà” (non addentriamoci, per ora, sulla definizione) possa esserci solo nel momento in cui si esce dallo stato di minorità. Ovvero, quando si accetta di lasciar perdere una “normalità” fatta di pregiudizi, luoghi comuni e icone (anche televisive). Quando non si ha paura di pensare in modo “pericoloso”, al di fuori di ciò che viene insegnato come “perbene” o “figo”. A Perugia, mi è capitato di cogliere il borbottio di un padre di famiglia, in albergo: “Se no, si diventa… emarginati… non integrati…” Avevo tanta voglia di domandargli che diamine significasse essere “integrati”, secondo lui. Di certo, so che ognuno di noi, nel proprio esercizio del pensiero, ha bisogno d’avere almeno un piccolo grado di “disadattamento”. Per salvarsi.

    Rispondi
  • Appena visto il film e stavo giusto cercando l’ origine di questa frase quando inciampo nel blog; è la stessa cosa che ho pensato appena l’ho letta sullo schermo, siamo in dittatura e orma da un bel pò…non siamo più nemmeno capaci di fermarci e osservare chi o cosa ci circonda, schiavi dei tefonini, dei socialnetwork o della tv…schiavi che fingono di essere liberi e piano piano, morbidamente vengono spremuti e usati. Certo che è l’ ora della resistenza ma non morbida; consapevole.

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *