Concorsi

Inchiostro a volontà 2017- “Scarpa o stivale?”

di Giuseppe Grieco

 

Erano le 7 del mattino quando le campane del Duomo di Pavia emisero un suono fuori dall’ordinario. Il loro canto si levò nell’ imperitura nebbia pavese e, sorvolando tetti e comignoli, bussò alla finestra di un giovane studente universitario, iscritto al primo anno di medicina. Lo studente in questione, che si chiamava Nicolino Stivale, si svegliò di soprassalto. -Che fortuna- pensò, la sua sveglia chissà come non era suonata, ma le campane comunque lo avevano svegliato appena in tempo per le lezioni.

 Nicolino si lavò velocemente, indossò i primi abiti sgualciti presi dall’armadio, afferrò un quaderno e una penna per segnare qualche appunto e, senza pensarci due volte, uscì di casa. Erano circa le 7:20, forse un po’ presto, ma Nicolino ci teneva particolarmente a sedere fra le prime file. Con lo zaino in spalla, il ragazzo si incamminò verso l’istituto di Anatomia Umana normale.

 Uscito su Strada Nuova vide, sull’altro marciapiede, Luigi, un suo compagno di facoltà. Fece per chiamarlo, ma, al momento dell’emissione del suono, accadde un evento inatteso. La sua voce era più cupa del solito, profonda, grottesca, quasi un’altra voce. Doveva essere stata colpa della sua coperta che, troppo corta e troppo leggera, gli aveva fatto prendere sicuramente un brutto mal di gola. La voce era poi talmente rauca e bassa che non venne neanche percepita da Luigi che, proseguendo, si dileguò nella nebbia. Nicolino, nel frattempo, era rimasto interdetto dall’accaduto, ma prima che potesse schiarirsi la voce, l’amico era sparito alla sua vista.

  Arrivò a lezione che erano le 8. L’aula era ormai gremita di gente, rimaneva solo qualche posto libero in fondo. Di lì a poco il professor Morgagni entrò nell’ aula stracolma di studenti e fu subito una raffica di nozioni. Il professore aveva, tra l’ altro, una peculiarità che rendeva timorosi coloro che lo ascoltavano: fare domande molto difficili ai suoi studenti per metterli in difficoltà.

 Nell’aula c’era un silenzio tombale, solo rumore di penne che scrivevano, quand’ecco che la voce del professore modificò la propria intonazione, assumendo quella tipica di una domanda. Morgagni aveva effettivamente fatto una domanda e adesso cercava lo sguardo del malcapitato che avrebbe dovuto fornirgli una risposta. Nell’aula si respirava tensione. Nicolino, che in quel momento si era accorto di non sentirci neanche bene, molto ingenuamente disse:- Mi scusi può ripetere?-

Morgagni, guardandolo dritto negli occhi gli disse:- Caro Signore, la prossima volta la invito a sedersi nelle prime file per poter udire meglio. Ho appena chiesto una descrizione del triangolo femorale, lei saprebbe ottemperare alla mia domanda?-

L’attenzione era tutta su Nicolino che, timoroso, rimproverava a se stesso la sua ingenuità. D’un tratto, però, avvertì una sensazione molto particolare, come se la sua bocca non gli appartenesse più e, non sapendo come, pronunciò le seguenti parole: -Il triangolo femorale è una fossa dalla forma di piramide triangolare con apice rivolto verso il basso e con la base in alto, nella parte superiore, anteriore e mediale della coscia. Ci passano il muscolo ileopsoas e il nervo femorale, oltre a vasi arteriosi, venosi e linfatici femorali con il linfonodo di Cloquet.  Io lo descrissi per primo, io che mi chiamo Antonio Scarpa-

Grida e schiamazzi si levarono nell’aula, ma Nicolino non riusciva a capirne il motivo, perché lo stupore causato da tutto quello che aveva avvertito dentro di sé, lo aveva distratto dall’ascolto delle sue parole.

 Il prof. Morgagni, furioso per come la situazione si stava evolvendo gli gridò di tutta risposta: “ Ciarlatano, credi di poter venire qui e sbeffeggiare la sacralità dell’Anatomia?! Io qui sono l’unico a conoscere ogni singolo meandro del corpo umano! Ti spacci per Antonio Scarpa, ma  non sei altro che il suo calzino, togliti quella maschera, impostore!”

Morgagni si diresse verso Nicolino che, nel frattempo, immobile e terrorizzato, non capiva nulla di quello che gli succedeva intorno. Giuntogli di fronte, il professore incominciò a pizzicargli il volto, cercando di fare qualcosa che Nicolino non riusciva a capire. – Maschera, ma quale maschera, io voglio solo seguire la lezione- pensava il ragazzo dentro di sé. Svincolandosi dalla presa del professore, che per tutta risposta, cercò di inseguirlo, Nicolino, spaventato, si fiondò dritto verso la porta d’emergenza dell’aula. Era fuori.

 Incominciò a correre con tutta la forza che aveva in corpo. Alle sue spalle il professore infuriato, desideroso di smascherare l’impostore, e i suoi compagni di corso, incuriositi dalla scena singolare, lo inseguivano, quando, ad un certo punto, perse nuovamente il controllo del suo corpo, ritrovandosi a correre su piedi che non gli appartenevano, diretto chissà dove. Il ragazzo era sempre più vicino al centro della città, quand’ecco che inseguito dalla folla impazzita, si lanciò fra i quadriportici dell’università. Nascosta fra le colonne vide una porta che dava su un corridoio buio, addobbato da lucenti vetrinette e cimeli strampalati; era il museo della storia dell’università. Ci entrò senza pensarci due volte e lì, nel fondo del corridoio, la vide, ferma, immobile: la propria testa conservata in formalina. Nicolino, trasalendo per l’orrore, l’afferrò istintivamente e nel farlo si specchiò nella teca. Non si riconobbe. Invece del suo solito volto c’era un  viso che ricordava di aver visto una volta da bambino in quello stesso museo, perché al posto della sua testa c’era quella di Antonio Scarpa!

Non fece in tempo a realizzare questo pensiero che, appena rimossa la sua vera testa dalla teca, una voragine si aprì sotto di lui, inghiottendolo insieme ai suoi inseguitori. La matassa di persone cadde in un anfiteatro maestoso; si trattava della famosa Aula Scarpa. Lì Nicolino chiuse gli occhi per un istante e, riapertili, si ritrovò nella sua vecchia testa che però mancava del suo corpo!

Finalmente poté vedere il corpo nel quale era stato per tutta la giornata, perché grassottello, con doppio mento e vestiti d’epoca, Antonio Scarpa troneggiava sul tavolo del teatro anatomico e guardando tutti con aria compiaciuta gridò: -Amici, sono lieto di comunicarvi che la mia ricerca è giunta a termine. Prima di morire, sapete, espressi un desiderio. Chiesi che la mia testa venisse conservata in formalina con gli occhi aperti perché desideravo vedere!  Vedere la scienza crescere e il mondo con essa, ma con gli anni il mio cristallino si è opacizzato, mi è venuta la cataratta, e ciò che prima era luce si è trasformato in oscurità. Allora i giorni si sono fatti tetri e la noia ha regnato sovrana, ma oggi, io, Antonio Scarpa, grazie al mio amico Nicolino Stivale, per un meccanismo a me ignoto, sono ritornato a vivere per un giorno in questo mondo. Io e Nicolino ci siamo mischiati e abbiamo incominciato a vivere insieme, non sapendo dove iniziasse l’uno e dove finisse l’altro. Ora devo andare, ma ricordate, la scienza è vera solo se guidata dal rispetto per l’uomo-. Detto questo scomparve. Tutto fu inghiottito dalla nebbia.

 Nicolino aprì gli occhi, si trovava nel suo letto, era tutto sudato. Si alzò di scatto, corse davanti allo specchio per accertarsi delle sue sembianze. Tirò un sospiro di sollievo e infilati dei vecchi indumenti si fiondò alla sede centrale per guardare la testa di Scarpa. Era lì, impassibile, immersa fino ai capelli nella formalina a guardare tutti i visitatori che passavano. La visione della testa era, per Nicolino, motivo di certezza, la certezza che tutto ciò che aveva vissuto era stato solamente un sogno. Si stava per allontanare, aveva fatto pochi passi, quando, rivolgendo l’ultimo sguardo al viso del maestro, notò che questi gli aveva fatto l’occhiolino! Nicolino scappò fuori dal museo terrorizzato, sforzandosi di dimenticare tutta quella strana storia, imputando l’accaduto alla suggestione. Le campane del duomo suonarono proprio in quel momento, era quasi ora di andare a lezione.

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