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Inchiostro intervista D’Avenia: nuovi eroi nel mito della scuola.

Dottore di ricerca in Lettere classiche, professore di Lettere al liceo, scrittore, gestore del blog “Prof 2.0” e, in seguito al successo del suo penultimo libro “L’arte di essere fragili”, ideatore di un racconto teatrale esportato in tutta Italia, Alessandro D’Avenia dialoga con Inchiostro.

Lei dedica grande cura ai ragazzi, tanto nel suo mestiere di insegnante, quanto in quello di scrittore, arrivando di frequente, nel corso delle sue opere, a citarne storie ed esperienze («Non possiamo interessare, se non siamo interessati: a ciò che insegniamo e soprattutto alla vita dei ragazzi» scrive in un suo articolo). Si vede che crede profondamente nel valore della letteratura e, come testimonia palesemente il suo penultimo libro L’arte di essere fragili, nel modello costituito dagli autori che “possono salvarci la vita” costantemente. Non è forse questo il significato di “classico”: un qualcosa di eternamente valido, incessantemente attuale, costantemente tangibile, infinitamente moderno? 

Rispondo con parole di Giacomo Leopardi a me care, tratte dallo Zibaldone “Della lettura di un pezzo di vera poesia, in versi o in prosa, si può dir quello che di un sorriso diceva lo Sterne; che essa aggiunge un filo alla tela brevissima della nostra vita” (Febbraio 1829). Mi sembra una perfetta definizione di classico: ciò che non solo chiarifica la trama esistenziale della nostra vita, rendendola più trasparente, ma in qualche modo può arrivare ad aumentarne l’ampiezza, la durata… chiaramente non in senso quantitativo ma interiore. Solo se impariamo ad abitare la condizione umana possiamo essere felici, la letteratura ha questo compito: farci dimorare nell’umano, in ogni piega dell’umano, anche la più oscura. Senza le parole non abbiamo neanche le cose, senza le parole la vita non si traduce in esperienza e in memoria, cioè non esiste. Questo però senza dare idolatria dei libri, lo stesso Leopardi diceva che la lettura di libri non aveva messo in lui qualcosa che non ci fosse già, ma ne aveva identificato lo stato del processo di maturazione e ne aveva accelerato i tempi. Come si vede Leopardi aveva chiarissimo che lettere e vita sono consustanziali, oggi invece abbiamo reso tutto “funzionale” ad altro. Purtroppo proprio a scuola.

downloadCostanti tipiche dei suoi scritti sono un’accurata ricerca etimologica e con questa una non infrequente riscrittura: l’esito è il gioco verbale. Per esempio ne L’arte di essere fragili scrive: «La speranza è desiderio (de-sidera, distanza dalle stelle), la sua mancanza è un disastro (dis-astro, assenza di stelle)»; in un articolo, La noia scolastica (12 settembre 2017): «Interesse vuol dire essere (esse) dentro (inter), essere sorpresi e quindi presi da qualcosa che per via esperienziale (cioè con tutto l’essere) percepiamo come vitale».Oggi, in una società fondata sull’immediatezza, sul contenuto stilizzato di un messaggio, all’interno del quale parole ed espressioni risultano sensibilmente condensate, qual è l’importanza della parola, singolarmente intesa, nella ricerca della sua semantica?

La parola, per giocare ancora con l’etimo, è ciò che è gettato nei pressi (viene da parabola, che viene da paraballo in greco, gettare nei pressi), è ciò che ci consente di accostare il mistero della vita, di sostare attorno a cose e persone dando loro il giusto peso. Il gioco sulle parole è un modo di ridare dignità a parole abusate e quindi usurate. La parola ha il compito di ridare dignità all’esperienza, perché senza parole l’esperienza evapora, e tutto diventa effimero. La rapidità di comunicazione di oggi però non è un problema, non è un caso che nella domanda si parli di contenuto “stilizzato”. Il problema non è la rapidità o la condensazione, ma proprio l’assenza di stilizzazione. Ha stile solo la res che giustifica i verba, nomina sunt consequentia rerum, diceva Dante. Il problema non sono le parole inadatte, ma l’assenza di vissuti veri, profondi, essenziali. L’assenza di parola è assenza di vita.

Ha spesso parlato a proposito del futuro dei giovani: esemplificativo il confronto da lei sostenuto con la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli (da La stampa, 12 Aprile 2017), durante il quale si è dibattuto sulla condizione degli insegnanti (e dell’insegnamento) e il nuovo sistema ad alternanza scuola-lavoro. A cosa risulta imputabile, secondo lei, la difficoltà degli studenti a immettersi a pieno titolo nella dimensione dell’adultità e della piena maturità (mentale, fisica, economica): perdita di passione, interesse e volontà di apprendimento da parte dei ragazzi oppure lacune e manchevolezze dell’impianto statale ed istruttivo?

La maturazione è parola che rimanda all’ambito della crescita vegetale. Richiede quindi un seme, un campo, un lavoratore, i tempi giusti. Solo quando la scuola tornerà a mettere al centro la cura di questi ambiti avremo i frutti che ogni ragazzo si merita. I ragazzi vengono indottrinati e non educati. Educare è invece scoperta della propria vocazione esistenziale, e quindi trovare il coraggio di esplorare il mondo a partire dal nuovo che speriamo di potervi immettere, sulla base di una conoscenza reale dei nostri talenti e punti deboli. I ragazzi vivono la conoscenza come un optional, non come qualcosa di necessario a “diventare”, sì così “diventare”, in senso assoluto. Tutto questo comincia in famiglia e continua a scuola solo se c’è una armonia di intenti educativi e al centro la crescita del ragazzo. Oggi al centro ci sono le prestazioni e poco più. Una guerra di tutti contro tutti: come se un contadino se la prendesse con il seme perché ci mette tanto a diventare grano, ma magari non ha dissodato bene il terreno, non ha rispettato i tempi giusti…

Parliamo del suo ultimo libro, Ogni storia è una storia d’amore: elogio d’amore, attraverso 36 storie vere. Qual è l’obiettivo? Forse restituire a questo sentimento, spesso “inflazionato” e ridotto a mero luogo comune, un po’ della sua essenza più nobile ed autentica?

Tutti sappiamo che l’amore è l’unica grande promessa della vita, capace di portare luce o almeno un barlume nella penombra dei giorni, nella scatola del mondo. Ma poi non siamo all’altezza di questa promessa. Come mai? Su quali strade sbarrate oggi l’amore continua a intestardirsi? L’amore romantico ci illude facendoci credere che l’altro sia un dio che mi salverà e risolverà tutti i miei vuoti e problemi. L’amore cinico al polo opposto fa diventare me un dio e l’altro è un mio servitore e adoratore finché ne avrò bisogno. Queste due illusioni, che chiamiamo amore, sono in realtà il suo opposto, il disamore, come molte delle storie che racconto dimostrano. L’amore così come è ha bisogno di un’altra strada, da aprire o riaprire. La risposta l’ho trovata nel mito di Orfeo ed Euridice, il filo che collega le 36 storie d’amore, perché il mito è ciò che non vogliamo, possiamo, perdere, per sapere chi siamo e come vivere. È il racconto che rende trasparente la vita, anche quando ha dirci cose spiacevoli. Qui la cosa spiacevole è che l’amore è un paradosso: salva solo quando sacrifica, e non l’altro per me, ma me per l’altro. Ma chi è disposto ad accettarlo? Nuovi eroi servono. Come quelli che racconto, tra fallimenti e successi. Ne va della nostra felicità.jpeg978880468157HIG

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