Attualità

#InchiostRio – Che aria tira in Brasile?

Parte Prima 

Tutti i riflettori sono puntati su Rio, sui suoi stadi, le sue piscine, le sue piste. Le medaglie fioccano, i podi si susseguono ma la vita politica continua a precipitare indisturbata verso un baratro mai visto prima. La classe politica brasiliana trema per effetto di un terremoto di scandali ed episodi di corruzione di livello nazionale. Una settimana fa, il Senato ha dato il via libera per l’avvio della procedura di impeachment, già confermato dai Deputati, della Presidenta Dilma Rousseff. Una corruzione che non si svolge però solo a livello federale ma anche all’interno degli Stati federati. Nella cidade maravilhosa, sede dell’Olimpiade, sono emersi numerosi problemi legati ad una politica di investimento infrastrutturale manipolata a vantaggio unico dei magnati dell’edilizia, accompagnato da un programma di riduzione della povertà che non porta, in effetti, nessuna soluzione, ma la nasconde. Lontano dagli occhi, lontano dal governo.

Il Brasile, già solo il nome evoca immagini quasi oniriche di un paese dai mille colori della natura incontaminata, dalle spiagge infinite, del calcio di strada giocato nei campetti improvvisati delle favelas. Dall’inizio del millennio, il Brasile, si è effettivamente trasformato in un sogno sia per gli investitori internazionali che per la popolazione. Nel 2002, dopo l’elezione di Luiz Ignacio “Lula” da Silva, il paese è cambiato. Un uomo nuovo, di umili origini e socialista convinto, lo ha preso per mano e portato verso la vera e propria via dello sviluppo. In opposizione alla generale tendenza latinoamericana, Lula ha investito in programmi di sostegno sociale, facilitato l’accesso agli studi mettendo a disposizione numerose borse statali, e creato posti di lavoro grazie all’approvazione di grandi progetti infrastrutturali. Una strategia a vantaggio di circa dieci milioni di abitanti, che ha avuto l’effetto di ridurre il divario esistente tra la ristretta classe ricca (molto ricca) e la più ampia classe povera (molto povera). Un miglioramento economico cresciuto del 5% annuo tra il 2004 e il 2008, che ha posto il Brasile alla guida dei cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) quei paesi economicamente chiamati “emergenti”, ovvero coloro che, grazie al proprio sviluppo, hanno raggiunto livelli di PIL e di benessere pari a quelli dei paesi avanzati (cosiddetti). La crescita affonda le radici soprattutto nelle esportazioni di prodotti locali quali tabacco, soia, cacao, zucchero, caffè, ferro e…petrolio.

Proprio sul petrolio, però, si ferma, con un tonfo, l’impressionante crescita degli ultimi anni. Lo scandalo Petrobras (Petroleo Brasileiro), ha rivelato che quella crescita aveva dato vita ad un a rete di corruzione che ha coinvolto la maggior parte dei dirigenti economici e politici del Paese. Per anni, i principali motori dello sviluppo economico hanno fatto la cresta sui conti e sui contratti delle imprese, quello che però nessuno si aspettava era che questo astuto schemino coinvolgesse anche i politici, tutti, a prescindere da orientamento e colore.

Lo scandalo è iniziato nel 2014, in seguito ad una rivelazione di un dirigente di basso grado di un’impresa correlata a Petrobras presente nello Stato del Paranà. Egli accusava i suoi superiori di usare la propria impresa a fini di riciclaggio. L’indagine, chiamata Lava Jato (Autolavaggio), è durata due anni e ha coinvolto circa trentatré imprese nazionali, nonché i maggiori fornitori di posti di lavoro, e la maggioranza dei loro dirigenti. Senza entrare troppo nei dettagli fiscali ed economici dell’affaire, le accuse seguirebbero due filoni: da un lato ci sarebbero i contratti di costruzione sottoscritti da Petrobras gonfiati del 3% circa, il cui avanzo sarebbe stato destinato alle tasche dei dirigenti o alle casse segrete dei partiti. Dall’altro, le evasioni fiscali: il gruppo edilizio con cui Petrobras collaborava, gruppo Odebrecht (dal nome del famiglia miliardaria che dirige l’impresa dell’impresa da generazioni), deviava i fondi sui propri conti offshore, per non pagarci le tasse, salvo poi farli rientrare in patria per influenzare i politici e altri gruppi concorrenti.

Il 2014, però, è stato anche l’anno in cui Dilma Rousseff, storico braccio destro di Lula (nonché figura chiave della resistenza al regime militare durante il quale è stata imprigionata e torturata) è stata riconfermata, il debole scarto rispetto al proprio avversario sembrerebbe essergli stato garantito dai fondi neri del Partito, che lei avrebbe indebitamente usato per finanziare la propria campagna.

Accantonando un attimo l’indagine, il secondo mandato di Dilma è stato particolarmente complesso. Il paese è entrato in una grave recessione economica a causa del calo della domanda dei suoi beni di esportazione, in particolare la soia, e ha subito gli effetti delle fluttuazioni del prezzo del petrolio imposte dal governo. L’economia è crollata del 3,7% nello scorso anno e le proiezioni per il prossimo non indicano nessun miglioramento. Questo ha ovviamente gravato principalmente sulla classe media, quella “creata” da Lula, i redditi si sono ridotti e l’inflazione crescente (ha raggiunto quasi il 11% lo scorso anno) non ha aiutato a mantenere costante la qualità della vita, senza contare che tre milioni di brasiliani hanno perso il lavoro dal 2014. In piena campagna elettorale, però, la Presidenta aveva promesso di non toccare le misure di austerity e di risolvere i problemi economici del Brasile in modo alternativo. Proprio questa, però, è stata la prima misura che ha disatteso al suo re-insediamento. Ad affondarla definitivamente è intervenuto lo scandalo Petrobras, sia per il fatto che ha messo in evidenza l’appropriazione indebita (non è, per ora, accusata di aver usato la rete di finanziamenti illeciti per arricchimento personale) sia perché ha fatto emergere delle discordanze nei fogli di bilancio statali, i quali sembrerebbero essere stati truccati proprio da lei, la Presidenta.

Il faccendiere di Petrobras, Alberto Youssef, responsabile della firma dei contratti contraffatti, dopo essere stato arrestato e interrogato avrebbe detto che sia Rousseff che Lula sapevano tutto fin dall’inizio; ovviamente entrambi hanno smentito e se ne sono tirati fuori. Lula, che aveva vinto il titolo di personaggio politico più popolare a livello mondiale nel 2011, non è stato immediatamente additato dalla popolazione come corrotto, ma è stato comunque chiamato a rispondere dalle autorità federali in merito all’acquisto di un costosissimo appartamento. La polizia ritiene che esso sia il risultato di una tangente indiretta in quanto sarebbe stato ottenuto ad un prezzo di favore da parte di una delle imprese di costruzione della rete facente capo a Petrobras.

Nonostante le smentite, le cose si sono rese più evidenti quando il giudice del Tribunale di Cutiriba (Stato del Paranà), Sergio Moro, ha pubblicato un’intercettazione telefonica nella quale si sente chiaramente Dilma promettere al suo mentore politico di farlo rientrare al governo, come capo dello staff (diventerà poi Ministro della Casa Civile), in caso di necessità. Da intendersi: “nel caso in cui dovessi essere indagato, c’è una poltrona pronta per te per sfuggire alla giustizia”, strana mossa nei confronti di un innocente ignaro dei fatti.

Dilma, a fronte delle enormi manifestazioni di piazza che hanno chiesto le sue dimissioni, ha cambiato strategia e si è dichiarata vittima di un colpo di Stato ordito dalle élite e dai rappresentati dei partiti, di centro e di destra, per riconquistare, finalmente, il potere. Secondo lei, non sarebbe dunque un caso che a prendere la Presidenza ad interim, vista l’approvazione all’avvio della procedura di impeachment , sia stato proprio Michael Temer.

Temer rappresenta una notevole inversione di tendenza rispetto agli anni del Partito dei Lavoratori. Basta vedere la composizione del governo, tutti i ministri sono uomini, bianchi provenienti dalle fila del centro-destra. Poi, i primi provvedimenti che ha approvato si sono rivolti contro la Bolsa Familia (nonostante avesse promesso, nel suo discorso inaugurale, di non toccarlo), il programma è stato nettamente ridotto, così come i posti di lavoro statali. Infine, il Ministero della Cultura è stato eliminato e le sue funzione incorporate in quello dell’Educazione. Un viraggio a destra che, però, non è condiviso dalla popolazione, la quale vede nelle misure di austerity il modo per costruire un’economia di stampo neo-liberale (cosa che sembrerebbe essere confermata dai numerosi progetti di privatizzazione) e non il mezzo attraverso il quale ridurre il deficit nazionale in costante crescita. In ogni caso, Temer non potrà candidarsi ufficialmente nel 2018 alle presidenziali brasiliane a causa di violazioni elettorali da lui adempiute in passato.

A livello nazionale dunque i motivi di malcontento sono tanti, le figure politiche di rilievo, al progredire dell’indagine, perdono la fiducia dei propri elettori e i benenfici del progresso ottenuto sembrano affievolirsi. Ma forse a Rio, la città che porta il peso del progresso per aver ospitato le partite più importanti della Coppa del Mondo e, poi, le Olimpiadi, le cose sono più traquille. In realtà nemmeno più di tanto dato che anch’essa è stata vittima di episodi di corruzione a danno delle classi più povere. La frustrazione sembra dunque aumentare, proprio a causa del fatto che il Brasile, lo Stato di Rio in particolare, sta sprecando un’opportunità rara di effettivo milgioramento, quanto meno a livello sociale.

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