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“Inception” di Christopher Nolan

Per chi con il cinema ha un rapporto come il mio, Christopher Nolan è un primo amore, con la differenza che il primo amore non si scorda mentre Nolan sì.

Questo non toglie che l’enfant prodige americano – o meglio, inglese naturalizzato americano, come vi dice Wikipedia affianco alla proverbiale foto del sito che non rende mai giustizia a nessuno – sia un genio in quello che fa: blockbuster complessi e mai banali, costruzioni narrative audaci e cast formidabili, ma quasi sempre blockbuster: film visibilmente pensati e composti per una fruizione il più vasta possibile.

Quando è uscito Memento, nel 2000, Nolan aveva trent’anni ed era al suo secondo lungometraggio e primo vero e proprio successo internazionale. Il copione di Inception allora era già nel suo cassetto dei sogni, ma solo dieci anni dopo il film è stato realizzato: nel mentre, le pellicole cupe di Insomnia, The prestige e i film della trilogia di Batman. Tutti film con una densa spettacolarità, costruiti perfettamente sulla carta prima di essere girati: la punta di diamante dell’incontro fra marketing e arte.

Denso, sofisticato, costruito su più livelli che si intrecciano, scontrano e risolvono, elaborato sui concetti di spazio e tempo, Inception è sotto questo punto di vista un’evoluzione di quella che è la struttura labirintica di Memento. Il soggetto non è del tutto nuovo; già altri autori prima (David Lynch, un nome per tutti) hanno provato ad addentrarsi nella mente umana e a darne la propria resa estetica e concettuale. I risultati, come si può vedere, sono totalmente diversi, e ciò che di Nolan colpisce è la capacità, anche di fronte ad una tematica così oscura, di mantenere una certa sistematicità e rendere la sua pellicola un grande meccanismo efficace e complesso fino ad arrivare ad un paradossale action movie, con immancabili americanate come scene tremendamente lunghe di spari e macchine che esplodono.

Il finale è anch’esso costruito su misura per il pubblico: un classico utilizzo del colpo di scena, lo svelamento di un elemento chiave che sovverte la percezione di noi spettatori della vicenda fino ad allora, lasciandoci con una riflessione preconfezionata da portarci a casa.

Scadere nel kitsch in operazioni come questa è molto facile e qui si vede la capacità registica del nostro giovane londinese: sorvolando su dettagli come l’ascensore che porta ai vari livelli di sogno, il film mantiene una sua dignità intellettuale fra i blockbuster.

D’altronde, Christopher Nolan nella sua arte, spesso, non è un regista interessato ad un’analisi della profondità ma ad una descrizione intrigante della superficie.

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