Attualità

In Yemen una catastrofe silenziosa

“La furia del virus illustra la follia della guerra. È questo il motivo per cui oggi chiedo un immediato cessate il fuoco globale in tutti gli angoli del mondo. È ora di fermare i conflitti armati e concentrarsi, tutti, sulla vera battaglia delle nostre vite. Alle parti in conflitto, io dico: ritiratevi dalle ostilità. Accantonate diffidenza e animosità. Fermate le armi, l’artiglieria, i raid aerei. “. Questo l’appello del Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, di pochi giorni fa. Il cessate il fuoco dell’ONU è fondamentale, perché il COVID-19 non conosce frontiere e se dovesse arrivare in zone già colpite da altre epidemie come il colera, e sfinite da guerre e crisi umanitarie, sarebbe disastroso.

E lo hanno spiegato bene anche i volontari di Intersos in diretta facebook martedì 24 marzo. Intersos è un’organizzazione umanitaria indipendente, fondata nel 1992 e attiva in 19 Paesi del mondo, offre soccorso alle popolazioni colpite da crisi umanitarie fornendo cure mediche, beni di prima necessità, ripari d’emergenza, istruzione e assistenza legale. Uno di questi è lo Yemen, un paese in ginocchio, dove si sta compiendo la peggiore crisi umanitaria degli ultimi 30 anni. La guerra iniziata nel 2015 e ha provocato, secondo fonti ONU, 100 mila morti, 3 milioni e 660 mila sfollati e 24 milioni di yemeniti (l’80% della popolazione) che necessitano di assistenza umanitaria.

Foto di Alessio Romenzi

Le origini del conflitto: il petrolio

Le ragioni del conflitto sono prima di tutto economiche ma anche politiche, sociali e culturali, e basta osservare una carta geografica per rendersene conto.

Fino al 1990 lo Yemen era diviso in due stati: la Repubblica popolare dello Yemen socialista a sud, e lo Yemen del nord arabo. Questo è un precedente importante e significativo. La guerra ha rianimato infatti le vecchie tensioni tra il nord e il sud dello Yemen, e l’obiettivo dei separatisti è infatti quello di fare di Aden la capitale di uno Stato indipendente dallo Yemen.

Lo Yemen si trova all’estremità della Penisola arabica, tra il Golfo di Aden e il Mar Rosso. Lo stretto di Bab el Mandeb ha un’importanza strategica enorme. Tutti i Paesi rivieraschi, dall’Arabia Saudita a Israele vivono anche grazie alle importazioni che passano per quello stretto: qui scorrono milioni di barili di petrolio al giorno, milioni di tonnellate di merci e gli interessi geopolitici di tutte le potenze mediorientali e internazionali.

La primavera araba

Oggi lo Yemen è controllato da tre diversi schieramenti: una parte dai ribelli Houthi (il nord), una dalle forze che fanno riferimento ad Hadi e detengono gran parte delle province occidentali del paese, tra cui Sana’a, e gli altopiani vicino al confine saudita, nonché una parte della costa del Mar Rosso dello Yemen (centro ed est, al confine con l’Oman) e un pezzo da al-Qaida.

Tutto ebbe inizio durante la primavera araba del 2011 quando i manifestanti scesero in piazza, rivendicando democrazia e riforme contro il presidente Ali Abdullah Saleh e chiedendo le dimissioni del suo governo durato trent’anni. Saleh concesse parziali riforme economiche ma rifiutò di dimettersi. Nelle elezioni del febbraio 2012 Abd Rabbu Mansour Hadi divenne presidente. I tentativi di riforme costituzionali proposti da Hadi furono ostacolati dai ribelli Houti, fedeli all’ex presidente Saleh e concentrati nel nord del paese, appartenenti a un ramo dell’Islam sciita e sostenuti militarmente dall’Iran.

L’inefficacia del governo di Hadi ha portato gli Houti a guadagnare sempre più potere, fino a occupare la capitale, costringendo Hadi a fuggire in Arabia Saudita.

L’occupazione della capitale da parte degli Houti, ha scatenato negli Stati del Golfo il timore per l’espansione dell’influenza iraniana sui loro confini. L’Arabia Saudita nel marzo 2015 ha risposto lanciando un intervento militare (riunendo una coalizione di nove paesi) per estromettere gli Houti e ripristinare il governo dell’ex presidente Hadi. Gli Emirati Arabi Uniti hanno guidato l’offensiva di terra e gli Stati Uniti hanno fornito supporto logistico, e rifornimento in volo, accelerando le consegne di armi. Da questo momento è iniziata la guerra. Oltre agli Stati Uniti, sono altri i Paesi che fanno affari con l’Arabia Saudita: l’Inghilterra, la Francia, il Canada e l‘Italia. Alcune delle bombe prodotte dallo stabilimento della RWM Italia S.p.A Produzioni munizioni e testate di calibro medio-grande, in Sardegna, a Domusnovas, sono state usate dall’aviazione saudita in Yemen.

I conflitti interni

La guerra in Yemen è molto complicata: spesso viene interpretata come una “guerra per procura” tra Iran e Arabia Saudita, due nemici nella regione del Golfo Persico; ma è anche uno scontro violento basato sulla rivalità tra gruppi yemeniti che fanno riferimento a diverse personalità politiche nazionali (Saleh e Hadi) e a differenze religiose (sunniti i sostenitori di Hadi, sciiti quelli degli Houthi). A farne le spese sono anche le minoranze religiose. Una di queste è la minoranza Bahai. Sono state denunciate da Amnesty International trattamenti, detenzioni arbitrarie e torture contro i Bahai per mano dei ribelli Houthi. I Bahai sono una religione monoteista (2.000 persone circa in Yemen), nata dall’islam sciita nella Persia di metà Ottocento: Bahaullah, il fondatore, credeva nell’unità delle religioni e nella rivelazione progressiva (per cui Maometto non sarebbe l’ultimo Profeta come sostiene l’islam), affermando anche la parità fra uomini e donne. I Bahai sono discriminati anche in Iran, poiché credono nella separazione fra Chiesa e Stato, un affronto per la Repubblica Islamica. Anche la minoranza ebraica yemenita è molto colpita, ma ciò non sorprende leggendo lo slogan degli Houthi “Dio è Sommo, morte all’America, morte a Israele, maledizione sugli ebrei, vittoria per l’Islam”.

Foto di Alessio Romenzi

Perché non si parla dello Yemen?

Le ragioni sono tante e il Post ha provato a spiegarle in questo articolo https://www.ilpost.it/2016/10/03/guerra-yemen-siria/. Una giornalista di Intersos ha spiegato che le informazioni sono filtrate perché i governi le controllano e limitano la libertà di espressione, l’Arabia Saudita impone numerosissimi blocchi alle frontiere e per questo è molto difficile entrare in Yemen. Per essere trasportati illegalmente dal nord al sud del Paese occorrono 7500 dollari e questo pone dei problemi anche da un punto di vista deontologico per i giornalisti: ne vale la pena? Intersos cerca di intervenire in tutto il territorio cercando di mantenere l’imparzialità per negoziare con tutte le autorità e portare aiuto alla popolazione civile, e per quanto possibile, raccontare al mondo questa tragedia.

Antonio Gramsci scriveva nel 1916 su “Il Grido del popolo”:

Perché un fatto ci interessi, ci commuova, diventi una parte della nostra vita interiore, è necessario che esso avvenga vicino a noi, presso genti di cui abbiamo sentito parlare e che sono perciò entro il cerchio della nostra umanità. È un gran torto non essere conosciuti. Vuol dire rimanere isolati, chiusi nel proprio dolore, senza possibilità di aiuti, di conforto. Per un popolo, per una razza, significa il lento dissolvimento, l’annientarsi progressivo di ogni vincolo internazionale, l’abbandono a se stessi, inermi e miseri di fronte a chi non ha altra ragione che la spada.”

Queste parole sono più attuali che mai. Il nostro mondo occidentale, improntato all’etica del profitto, come molto spesso accade, dimentica gli ultimi, i miseri e gli emarginati.

Proprio per questo è importante parlare di questa tragedia, scrivere, riflettere, conoscere e non censurare la realtà, anche la più crudele, è necessario “allargare il cerchio della nostra umanità” se vogliamo mettere a tacere mitra e kalashnikov.

Fonti:

https://espresso.repubblica.it/internazionale/2019/09/19/news/il-gioco-al-massacro-delle-potenze-vicine-1.339019
https://www.ilsole24ore.com/art/yemen-guerra-dimenticata-vendere-armi-sauditi-AE0b2m5G
https://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2019/10/11/news/yemen-238251083/

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