Cultura

Il viaggio come terapia

“Un mattino partiamo, il cervello in fiamme, il cuore gonfio di rancori e desideri amari, e andiamo, al ritmo delle onde, cullando il nostro infinito sull´infinito dei mari”. Cosi Baudelaire definiva il costante vagare e ciò che lo muove. Oggi in un mondo frenetico, costantemente in moto, in cui a volte sembra di entrare in un vortice senza uscita, si avverte all’improvviso un bisogno incontrollato di chiudere tutto e andare, così come si fa con un libro dopo ore di studio, pensando che con quel gesto si sia messa la parola fine a quel panorama in bianco e nero; in realtà è solo una parentesi momentanea e tutto ritornerà a scorrere come prima. Diversi studi hanno mostrato come il bisogno dell’uomo di andare, di viaggiare, di ritrovare altrove quell’equilibrio svanito, sia insito nella sua natura. L’uomo nella Preistoria inizia a spostarsi dall’originario luogo in cerca di cibo e condizioni migliori che lo soddisfino. La presenza dell’uomo in diversi territori del pianeta mostrano proprio questa voglia di ricercare il meglio per sé. Questo spingersi verso ciò che non conosciamo, l’ignoto, risalirebbe proprio a quell’uomo ricurvo su se stesso, a cui ora l’uomo moderno assomiglia ancor di più rannicchiato innanzi a computer e smartphone.
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Il viaggio per l’uomo rappresenta un momento di evasione, di spensieratezza, di allontanamento dall’immagine di sé. Durante il Medioevo, nel cattolicesimo, si riteneva che i mali del corpo e della mente si potessero curare partendo per un lungo viaggio alla ricerca delle reliquie dei santi da toccare. La chiesa pubblicò addirittura una guida ai luoghi di pellegrinaggio con l’indicazione, caso per caso, del problema e della relativa soluzione. Per esempio, se una donna non riusciva ad allattare, nella sola Francia poteva scegliere tra 46 pellegrinaggi ai santuari dedicati alla Madonna del latte. Ai fedeli affetti da mal di denti veniva raccomandato di andare a Roma, alla basilica di San Lorenzo, e di toccare le ossa delle braccia di santa Apollonia, la santa protettrice dei denti, oppure di cercare i pezzi della sua mandibola nella chiesa gesuita di Anversa. Le donne infelicemente sposate dovevano andare in Umbria e toccare le reliquie di santa Rita da Cascia, avvocatessa dei problemi coniugali, a Napoli nei Quartieri Spagnoli, come mi disse un simpatica signora, presso la Casa della Santerella, vi è una sedia in cui si siedono le donne che richiedono una gravidanza.
Oggi il viaggio non si svolge per le cure presunte del corpo, ma per ritrovare se stessi. Il viaggio porta ad avere un rapporto diretto con il luogo visitato, la popolazione locale, gli usi e le tradizioni. Cadono pregiudizi e le maschere, insomma, si ritrova se stessi e si acquista consapevolezza di sé, individuando i propri veri bisogni. “Un viaggio di mille miglia inizia sempre col primo passo”, scrive Lao Tzu, il passo è fuori da sé per ritrovare se stessi.
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Numerose sono le strade intrecciano il mondo, alcune segnate da percorsi secolari, come il Cammino di Santiago, che giunge in Spagna o il Cammino di Canterbury, che parte dall’Italia e giunge in Inghilterra. Il punto di partenza per il pellegrino è unico, parte dentro di sé.
Jung affermava che le vicende interiori lo coinvolgevano al punto da sbiadire qualsiasi evento esterno, che diventava poco importante. La psicoterapia, corsi strani, esperienze diverse anche nella propria città, sono “viaggi”.
Attività innovative come il treno terapeutico si propongono come cura non farmacologica per l’alzheimer, l’handicap. Terapia che si serve del racconto, della rievocazione di esperienze personali passate per ritrovare quella lontana e viva parte di sé, l’osservazione dei ricordi per dar spazio alla memoria, potenziandola.
Vi sono libri, scritti da globe travellers, che indicano per ogni problema una destinazione, in cui l’importante è individuare cosa si prova e cosa si vorrebbe provare. Poi basta scegliere tra le mete proposte e andare.
Il viaggio diventa una terapia per ritrovare se stessi, per ridefinire i veri interessi e bisogni personali, avendo maggiore consapevolezza di sé. Varie possono essere le ragioni che spingono una persona a viaggiare: avventura, divertimento, voglia di conoscere e imparare, bisogno di evadere e andare alla ricerca di qualcosa che a volte resta sconosciuto, ritornando come prima, restando dentro di sé il più pesante bagaglio. A volte ciò che si trova non lo si vede perché servirebbero altri due occhi per vedere quel mondo ritrovato.

Oriana Grasso

studentessa della facoltà di giurisprudenza 5 anno INTERESSI: cultura, storia, benessere.

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