Il sogno di Peppino è a soli cento passi
Voglio iniziare questo articolo sottolineando un parallelismo fra me e Peppino: tutti e due possiamo considerare il nostro “un cognome importante e rispettato in quell’ambiente da entrambi poco onorato”, citando in malo modo i Modena City Ramblers. Direi però una mezza falsità se affermassi di sentirmi come lui o di credermi in qualche modo collegato al suo vissuto solo per questa peculiarità che ci accomuna. D’altronde per un siciliano non è poi così strano avere un parente di cui non si parla mai, o qualcuno che fa una fine da prima pagina sui giornali locali. Sarei più sincero se invece affermassi che la mia stima per il personaggio, prima, e per la persona, poi, sia sorta dopo aver visto l’ormai cult “I cento passi” di Marco Tullio Giordana. Il cinema americano ci ha abituato ai gangster, ad empatizzare con la malavita, a citare a memoria minacce di morte. Il cinema italiano, in particolare in quella pellicola, ci insegna a contare e camminare insieme, a cantare la storia di Peppino e degli amici siciliani.
Per approfondire l’argomento ho incontrato Rosalia Cannuscio, membro dell’Osservatorio antimafie di Pavia e le ho posto qualche domanda guardando la mostra a cielo aperto dedicata proprio a Peppino e tenutasi nei cortili dell’Università.
Cos’è l’Osservatorio antimafie, cosa ci fa a Pavia e perché proprio dentro l’Università?
Nell’ottobre del 2005 si teneva, all’Università di Pavia, la prima edizione di un ciclo di dibattiti e conferenze che aveva ed ha per titolo “Mafie: legalità e istituzioni”. Ad insistere per la sua realizzazione, ragazze e ragazzi che facevano parte della nostra organizzazione, in maggioranza del Dipartimento di Giurisprudenza. Era il 2005, molto prima dell’operazione Infinito, degli arresti di Carlo Chiriaco e Pino Neri, dell’inizio di una presa di coscienza collettiva del fatto che al nord, in Lombardia, a Pavia, la mafia esiste. Era un tempo in cui, a nominare in sequenza le parole mafia e nord, si veniva ignorati nel migliore dei casi, presi per pazzi nel peggiore. Eppure di mafia al nord qualcuno voleva parlare e per questo chiedemmo aiuto a Vittorio Grevi: il grande giurista pavese -scomparso il 4 dicembre del 2010, tra i massimi processualpenalisti italiani e tra gli estensori dell’attuale codice di procedura penale. Colui che, in città, rappresentava per tutti l’unico punto di riferimento nella diffusione della cultura antimafia.
Abbiamo allora deciso di fondare l’Osservatorio nel 2009, dopo esserci resi conto di quanto avessimo bisogno di un gruppo di persone che si occupasse stabilmente dell’organizzazione e della realizzazione del ciclo di conferenze, con l’unico scopo di parlare di mafie al nord e di spezzare l’indifferenza generalizzata che circondava l’argomento.
L’idea che sta alla base di questa nostra attività si può sintetizzare in poche parole: «La lotta alla mafia è compito di ognuno di noi. Ognuno nel suo piccolo, ognuno per quello che può, ognuno per quello che sa. Non ci sono giustificazioni per nessuno, perché ognuno nel suo ambito, ognuno secondo le sue possibilità e capacità deve dare il meglio di se stesso. Ognuno di noi ha un compito ben preciso: guai a non assolverlo».
Queste non sono parole nostre. Sono le parole che usò Paolo Borsellino, il magistrato che lavorò al fianco di Giovanni Falcone e che fu ucciso da Cosa Nostra nel luglio del 1992, a soli cinquantasei giorni dall’orrenda fine del suo compagno e amico a Capaci.
Oggi, dopo più di vent’anni di distanza da quegli omicidi, quelle parole hanno ancora molto da dirci. Ci dicono che ciascuno di noi – non solo perché cittadino della Repubblica, ma perché essere umano –, deve opporsi con ogni forza a tutte le forme d’infiltrazione che la criminalità organizzata adotta per distruggere dalle fondamenta la nostra società.
Essere giovani, vivere in una città come Pavia… Nulla di tutto ciò costituisce una scusante all’indifferenza. Nulla di tutto ciò ci deve fare arroccare sui soliti, vecchi pregiudizi: la mafia c’è, esiste anche tra noi.
La mafia è al Sud come al Nord.
Anche in Lombardia infatti la criminalità organizzata si fa sentire con omicidi, intimidazioni ed estorsioni. Ma soprattutto si manifesta sotto altre spoglie, ancor più subdole e devastanti. L’imprenditoria criminale e la penetrazione nel circuito economico e negli appalti. E poi ancora il dominio sul movimento terra, sul ciclo del cemento e dell’edilizia. Per arrivare fino alla speculazione selvaggia che avvelena il territorio e l’ambiente. Anche in Lombardia la mafia si cela dietro alcuni volti insospettabili, dietro la corruzione e il clientelismo diffusi tra i cosiddetti “colletti bianchi” e i politici. Anche in Lombardia la mafia è dietro verità inquietanti conosciute da molti e omesse da troppi, nascoste dietro i giochi del potere.
Forse, come scrive Roberto Saviano in “Gomorra”, chi entra a far parte dell’Osservatorio «ha la smaniosa sensazione di dover fare qualcosa, e di non riuscire a trovare pace fin quando non la realizza, o almeno tenta di farlo». Ma riteniamo irrinunciabile mettere a disposizione le nostre conoscenze e le nostre parole per aiutare a diffondere il più possibile la cultura della legalità. Fosse anche soltanto per rendere verità e speranza a tutti coloro che hanno pagato ad altissimo prezzo un impegno sfociato nell’eroismo.
Per il momento l’Osservatorio è costituito da un gruppo ristretto di partecipanti, prevalentemente studenti universitari. Ma, con la collaborazione indispensabile del Coordinamento per il diritto allo studio – UDU, stiamo cercando di sensibilizzare la cittadinanza sulla criminalità organizzata. Una questione che troppo spesso viene erroneamente percepita come lontana. Fare lotta alla mafia non richiede necessariamente di essere degli eroi. È sufficiente un minimo di coscienza civile per capire quanto sia fondamentale reagire. E reagire significa anche soltanto vigilare, raccontare, denunciare. Dire di no. E questo è alla portata di tutti. È un imprescindibile dovere di solidarietà umana che abbiamo nei confronti di chi la mafia la guarda negli occhi ogni giorno, e ogni giorno la combatte dalla prima linea. Anche a costo di enormi sacrifici, di una vita blindata. Anche a costo della vita.
Nello specifico qual é l’obiettivo di questa mostra e di questo evento?
L’obiettivo della mostra di oggi è quello di raccontare le pagine della vita di Peppino Impastato , giornalista e attivista siciliano, che esattamente il 9 Maggio di trentanove anni fa a Cinisi, cittadina a pochi chilometri da Palermo, per ordine del boss mafioso Gaetano Badalamenti venne ucciso. Il suo cadavere fu fatto saltare con del tritolo sui binari della ferrovia Palermo-Trapani, così da far sembrare che si trattasse di un fallito attentato suicida. Tramite la nostra istallazione nei cortili dell’Università abbiamo cercato di rappresentare trentanove anni di lotta contro la mafia, da allora ad oggi, passando dal depistaggio delle indagini, alla controinchiesta dei compagni, alle vicende processuali, alla vita di Radio Aut, alla lunga notte di Felicia e la sua ostinata richiesta di giustizia.
Da molti anni operiamo nel pavese al fine di tenere alta l’attenzione sulle tematiche antimafia cercando di farne capire l’importanza in un territorio come il nostro certamente non estraneo a significative presenze della criminalità organizzata. Ed è proprio questo quello di cui si è discusso all’iniziativa “9MAGGIO1978: OLTRE I CENTO PASSI” si è parlato di Peppino, delle sue lotte, della sua attività di giornalista e di tutte le buone pratiche affinché anche in Lombardia la lotta alle mafie, non riguardi soltanto magistrati e forze di polizia.
Il messaggio che vogliamo far passare più d’ogni altro è che non occorre essere degli addetti ai lavori, tanto meno degli eroi, per impegnarsi nella lotta alle mafie. È sufficiente, anzi indispensabile, diventare più consapevoli, riuscire a riconoscere i segni che rivelano la presenza criminale attorno a noi.
L’Antimafia ieri e oggi: cosa fa, cosa ha fatto e cosa vorrebbe fare?
L’ antimafia è un argine fondamentale al fenomeno mafioso. Sia essa declinata in associazioni, partiti politici, movimenti presenti sul territorio che denunciano la criminalità organizzata come portavoce di legalità, correttezza e trasparenza. L’ antimafia ha un ruolo fondamentale non solo nei territori in cui vi è una palese presenza del fenomeno mafioso, ma anche dove non si percepisce, in quanto evita la proliferazione e l’espansione del fenomeno; fa crescere i primi anticorpi. Altro ruolo, forse il principale, è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica e creare una consapevolezza collettiva trasversale, dai bambini ai più anziani. Si è fatto tanto, ma bisogna ancora continuare partendo dalle scuole.
Qual è stato il ruolo di Peppino nella lotta alla mafia?
Peppino rappresenta un paladino della lotta alla mafia. Un esempio di coraggio. Nato e cresciuto in una famiglia in cui il padre era uno dei maggiori e peggiori boss mafiosi del tempo, figlio contro padre, riesce a ribellarsi e denunciare quello che sapeva, quello che aveva visto. Riesce a farlo schernendo e ridicolizzando i boss amici del padre. E i boss la presa in giro proprio non la tollerano. Grazie a “Radio Aut” e al “Circolo Musica e Cultura” riesce a farsi sentire e ad arrivare nelle case di tutti. Fino alla candidatura in consiglio comunale con “Democrazia Proletaria” e all’uccisione la mattina della chiusura della campagna elettorale. Peppino fu comunque eletto, segno che qualcosa di importante alla sua città aveva lasciato. E sicuramente anche a noi visto che continuiamo a ricordarlo e a prenderne esempio
Dato l’impegno politico di Peppino, qual é il ruolo della politica nell’antimafia e cosa sta facendo al momento?
Nella politica attuale abbiamo pochi buoni esempi di legalità. Ahimè, parte della nostra classe politica ha avuto a che fare con denunce e condanne per corruzione o infiltrazione mafiosa. Spesso la giustizia riesce a punire questi episodi. Diversi scrittori e giornalisti fanno con lealtà il loro compito e denunciano casi di corruzione che spesso riguardano la politica. Nonostante ciò sembra che qualcosa in positivo pian piano si muova. Occorre fare di più. Bisogna partire dal basso e creare una coscienza collettiva che riesca ad alzare le barriere alla mafia e a lottare contro la criminalità. Troppo spesso un falso garantismo attende le condanne definitive per trarre le dovute conseguenze politiche che invece andrebbero assunte ben prima della sentenza di terzo grado. Un conto è eseguire una condanna penale, per la quale ovviamente servono tutte le cautele e garanzie processuali, un conto è fare le valutazioni politiche per le quali non si possono attendere anni di processi.
Il messaggio che vogliono trasmettere eventi come questo è dunque chiaro. La lotta alla malavita, alla mafia e a tutte le forme di criminalità organizzata inizia dalla cultura ancora prima che dall’uso delle armi, della legge punitiva, della forza. Ricordare i grandi eroi di questa lotta è necessario se non indispensabile per fare in modo che un futuro senza mafia sia possibile e non posso non concludere con la citazione di Antonino Caponnetto che Rosalia ha voluto richiamare: “La mafia teme la scuola più della giustizia. L’istruzione taglia l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa”.