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Il ranocchio che cuoce lento

di Francesca Perrucco

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17 Novembre 2010: gli studenti italiani si alzano in piedi. Non si tratta questa volta di reverenza nei confronti dell’illustre professore entrante e neanche di applaudire la fine di una meraviglia. Si tratta piuttosto di alzarsi per farsi ascoltare, di concentrarsi addosso l’attenzione del pubblico udente, sempre che sia in ascolto, e di iniziare a parlare.

Il 17 Novembre in decine di città italiane sono scesi in pizza studenti medi, studenti universitari, ricercatori, personale universitario e forse anche professori, perchè no, per manifestare il loro dissenso. “Repubblica” parla di Milano, di Roma e poi anche Torino, ci sono i numeri, c’è una sincronia d’intenti: blocchiamo la quotidianità, creiamo quel disagio che induca a maledirci, certo, ma anche a fermarsi a pensare. Perché se a Torino il treno non lo puoi prendere, di certo non potrai ignorare quelle centinaia di studenti seduti sui binari.

Si parla del ddl Gelmini ma non solo, si discute di precariato e di una conoscenza da vendere al miglior offerente. Non importa che sia incompleta, così specifica da sembrarci appoggiata addosso, pronta a dissolversi, non importa neppure che sia spendibile. Ciò che conta è tenere il ritmo, finire per essere fuori perché a questa università affamata costi caro. Il mondo del lavoro invece, a te costa ancora più caro.

Anche qui a Pavia qualcuno è sceso in strada, più timidamente gli universitari, più spensieratamente gli studenti medi. Sono loro i protagonisti della giornata, hanno cantato, hanno sventolato parole e per smentire coloro che li credono ingenui sono si sono alzati e hanno preso il microfono alla fine del corteo. In un cortile dell’Università, ci hanno dato una lezione di politica: conoscono i fatti e non hanno paura di sedersi per terra ad ascoltare, anche per imparare. Eppure Pavia è una città universitaria, una città che raddoppia grazie al numero di studenti fuori sede che ogni anno la scelgono per la loro formazione. Un numero che rende inverosimile la così fredda partecipazione ad un evento vissuto con ben più entusiasmo in altre città e che voleva raccontare un dissenso. A chi dice che manifestare non cambia le cose, chiedo di usare il suo pensiero critico per discuterne insieme, forse servono mezzi diversi da quelli usati dai nostri genitori, ma l’indifferenza è nulla. L’aula magna sotterranea in queste ore è occupata, i ragazzi di Lettere che hanno lanciato l’iniziativa, hanno spiegato che non si tratta solo di un gesto simbolico di contestazione, e neanche di una scelta vintage, vogliono un posto dentro l’Università in cui discutere con quegli strumenti intellettuali così faticosamente conquistati a suon di esami.

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