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Il punto letterario (9) – Nel mondo che non vorrei (part 2)

di Elena Di Meo

Potrei essere uno di quegli studenti muniti di taccuino e con tanta voglia di scarabocchiare ogni detto facilmente dimenticabile che si gode un tour (di cui avrebbe fatto volentieri a meno) all’interno dell’edificio degli orrori. Sarei testimone del progresso della scienza che ha reso disumano il mondo. Di come gli ovuli conservati in una provetta vengano liberati e immersi nel liquido dove sguazzano spensierati gli spermatozoi. Di come le uova fecondate ritornino alle incubatrici e di come si dia avvio alla selezione dei componenti delle caste, munite ciascuna di una tutina di colore diverso che le avrebbe contrassegnate fino alla fine dei tempi: un uovo, un embrione, un adulto destinato ad ingrossare le fila delle classi più umili, sottoposto al processo di clonazione attraverso l’arresto del normale sviluppo. I più sfortunati perderebbero la loro individualità per acquistare la qualifica di “tipo” e verrebbero prodotti in serie, come le macchine e i biscotti. Le loro caratteristiche sarebbero predeterminate, così come il loro ruolo all’interno della comunità. È il prezzo da pagare quando si persegue la stabilità sociale.
«Questo mondo non conosce altra forma di popolamento di un’area» annoterei sul mio taccuino.
Ma non è finita: ad attendermi al varco ci sarebbe il tunnel dell’odio. Al sicuro sul mio vagone, attraverserei la landa sulla quale viene fatta scorrere l’elettricità per osservare come bambini di otto mesi vengano rivoltati contro fiori e libri. Sulle prime i piccoli sarebbero entusiasti di fronte a una tale esplosione di colori: le loro mani cercherebbero di afferrare i petali e le pagine, ma basterebbe una scarica elettrica accompagnata dallo squillo di una sirena per fare in modo che le loro menti aboliscano per sempre ogni forma di creatività e di immaginazione. La natura non è considerata redditizia per il solo fatto che le fabbriche faticano a estendere su di essa il loro monopolio; la letteratura rischia di risvegliare il pensiero e di fare acquisire agli automi un’ identità propria.
Io, senza parole, mi limiterei a cancellare con una ics lo schizzo di una rosa e di un tomo sul mio taccuino.
Come facciano gli abitanti di questa realtà a essere felici nella loro condizione, si spiega solo facendo ricorso a una droga sintetica. Nessun effetto collaterale, se non la perdita di qualche anno di vita, ma che sarà mai dopotutto? Un solo svantaggio contro innumerevoli pro. Grazie al soma, non si avverte nemmeno la necessità di indagare il valore dell’individuo in una società altamente organizzata o di valutare fino a quanto i sacrifici e le difficoltà siano essenziali nell’esistenza umana. La libertà è un bisogno avvertito solo in un luogo dimenticato da Ford, il dio delle automobili: un mero villaggio vacanze abitato da indigeni dove la scienza non è riuscita a impossessarsi del controllo sugli istinti primordiali e sulle emozioni. E chiunque sia cresciuto in questa zona e venga catapultato nella dimensione industriale, non potrà resistere a lungo. Punto!

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