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Il punto letterario (17) – C’era una volta…

di Elena Di Meo

La realtà fatica sempre a stare al passo con la fantasia. Come in quelle scene da ballo ottocentesche, dove in cima a una lunga scalinata la mano bianca si doveva poggiare sulla balaustra e, dopo aver atteso che la folla dabbasso trattenesse il respiro per la meraviglia, doveva dimostrare la sua leggiadria scivolando giù fino al pomello d’ottone. Ogni dettaglio era frutto di un’attenta idealizzazione e non poteva che portare nuova perfezione all’interno di uno scenario già di per sé perfetto. Eppure alla luce di riflettori veri e propri, al posto di un’atmosfera sospesa e incantata, hai ricevuto nient’altro che indifferenza da parte di quegli adulatori cui ti eri presa il disturbo di attribuire un’espressione a immagine di un’identica emozione.

Come fare a non soccombere dinnanzi alla delusione quando la ragione non si scopre essere così sviluppata come l’immaginazione? Persino la bellezza, l’intelligenza e la sensibilità di una signora rischiano di tramutarsi in disprezzo, alterigia e disinteresse per se stessi e per i propri simili. Il tipo di donna romantica, viziata e sentimentale dell’immaginario collettivo, assume la forma di un angelo ad ali spiegate quando in realtà bilancia la sua apparente santità con una totale mancanza di sostanza. In questo modo ella ama suo marito fino a quando non ne scorge i limiti; cerca allora una relazione passionale e carnale per zittire il disprezzo che urla dentro di lei ma che non la sottrarrà all’abbandono; si rifugia in un rapporto tutto sentimentale, come ultima ancora di salvezza prima della sua distruzione. E l’ostacolo che la fa inciampare ogni volta è rappresentato da un desiderio irrealizzabile, fonte di frustrazione e dolore senza senso – la scoperta che il proprio amore non ha nulla di terreno sarà letale al pari della consapevolezza dello spreco di energie nella propensione alla perfezione, dato che niente al mondo può spacciarsi per un esemplare unico nel suo genere.

Questo dunque è il rischio a cui vai incontro quando trascorri troppo tempo con il mento tra le mani di fronte al davanzale di una finestra, limitandoti a rendere irreale la tua vita come se ne fossi una semplice spettatrice. Cercare di definirti in base agli uomini che entrano ed escono nella tua vita, poi, non fa che alimentare il sogno di una fiabesca storia d’amore che necessita di un principe azzurro per concludersi con uno sbrigativo «e vissero per sempre felici e contenti». L’indipendenza e l’imposizione del proprio potere, inteso come affermazione di sé, sono gli unici due incantesimi di cui avrai bisogno per farti notare in una sala gremita di gente, senza preoccuparti di quella scarpetta di cristallo che probabilmente verrà distrutta dalla goffaggine di qualche borghesuccio esagitato. Così, allo scoccare della mezzanotte, ad attenderti non ci sarà una zucca improvvisata a carrozza bensì la libertà. Punto!

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