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Il promemoria di Frank Capra: “La vita è meravigliosa”

La neve cade sull’immaginaria cittadina americana di Bedford Falls: una banca, un istituto di credito, un cimitero, una taverna e poco altro, se non tanta gente, persone comuni, cittadini medi, i soggetti preferiti di un regista che ha sempre cercato di mettere in scena una critica sociale con una forte adesione alla realtà creando quelle che sono come delle fiabe, delle commedie a lieto fine, ma con delle tracce indelebili lasciate dal contesto in cui vivono i suoi personaggi con la Grande Depressione e la Seconda Guerra Mondiale che pur rimanendo sullo sfondo, proiettano le loro ombre sulle vite delle persone.

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Gli echi delle preghiere di un amico, di una madre, di una moglie, di una figlia si alzano verso il cielo nella speranza di ricevere aiuto per un uomo, George Bailey, l’appello viene accolto da alcuni angeli: si deve impedire che il “Dono più grande di Dio” venga gettato via. Da questo momento lo sguardo della macchina da presa ci rievoca alcuni scorci della vita di George: momenti cruciali per lui e i suoi cari, attimi dell’infanzia, di gioventù, di decisioni e gesti determinanti, di sogni abbandonati in favore di un amore e di una battaglia idealistica contro le ristrettezze della crisi economica e l’avidità di un uomo – Henry F. Potter – che cercherà di prosperare sulle difficoltà delle persone comuni, tanto care a George e al regista.

Il protagonista, vittima di alcune circostanze che porteranno sul lastrico lui e la sua compagnia e senza più fede in se stesso, sentendosi schiacciato dal peso delle responsabilità tradite, sembra aver deciso di arrendersi, di sacrificarsi, come a compiere un ultimo estremo atto di solidarietà. È qui che avviene l’intervento dell’angelo Clarence, un “angelo di seconda classe”, ancora senza ali al contrario dei suoi simili, un angelo modesto che aiuta un uomo comune. Clarence mostrerà a George un mondo alternativo, una Bedford Falls in cui lui non è mai nato. Grazie a questa visione George riuscirà a capire il valore della sua esistenza per i suoi cari e la sua cittadina, la catartica corsa liberatoria attraverso le strade innevate è come uno slancio vitale oltre il vuoto del ponte da cui George voleva dichiarare la sua resa.

Il lieto fine è solo parziale: Henry Potter tesse ancora la sua tela sulle vite degli abitanti di Bedford Falls, George dovrà comunque andare in prigione a causa della bancarotta della società, tutto questo sembra però passare in secondo piano rispetto alla riconciliazione tra il protagonista, i suoi affetti e la vita.

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La vita è meravigliosa” un titolo semplice, quasi ingenuo, senza orpelli da cui traspare l’essenza comunicativa dell’opera. Caratteristiche che sono attribuibile anche al cinema di Frank Capra, regista che a cavallo tra gli anni ’30 e ’40 ha saputo rappresentare e quasi creare il sogno americano. Egli stesso ne è quasi l’incarnazione: figlio di migranti di origini siciliane, trasferitisi negli Stati Uniti a fine ‘800, prima di diventare uno dei pilastri del cinema classico americano, è passato attraverso una lunga gavetta iniziata come aiuto-regista e tuttofare sui set dopo aver conseguito una laurea in ingegneria chimica.

Forse proprio per queste sua origine anti-intellettuale, Capra affida l’espressione delle sue idee quasi esclusivamente alla storia che racconta, senza fare troppo affidamento alla componente estetica, prendendo le distanze dai registi dell’epoca che esprimono la loro personalità artistica attraverso raffinati movimenti di camera e inquadrature ricercate. Il suo obbiettivo è il coinvolgimento emotivo del pubblico, per ottenere la maggiore identificazione possibile tra spettatore e quanto egli sceglie una rappresentazione il più aderente possibile alla realtà.

Terminato il film, la sensazione più vivida che rimane è quella di un ottimismo di fondo, tipico del cinema di Capra, rivolto soprattutto alla componente umana dell’esistenza che addolcisce la visione comunque amara della realtà che traspare dal ritratto di Bedford Falls che ci viene mostrato. Il male, incarnato da Potter, appare come qualcosa di necessario per far emergere il bene dalle persone, l’uomo medio prende le distanze da questo male e cerca in qualche modo di contrastarlo.  

Ad essere messo in risalto è il valore del singolo individuo, ogni essere umano, pur nelle sue difficoltà, nei suoi errori, nelle sue tragedie è in grado di generare del bene attraverso i suoi gesti. È questa importanza data alla singola persona che forse conferisce la grande carica emotiva che caratterizza questo film, ogni spettatore può quindi potenzialmente rivedersi in George Bailey e nell’impatto e nel valore positivo che egli ha nelle vite dei suoi cari, dando in questo modo dignità, possibilità e speranza di riscatto ad ogni esistenza.

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