BirdmenSerie TV

Il mondo non è pronto per gli Inumani (e viceversa)

Quando arrivi in una sala cinematografica IMAX vuota di sabato pomeriggio capisci che qualcosa non deve essere andato per il verso giusto nei quartier generali dei Marvel Studios. Gli Inumani in effetti non hanno mai ricoperto un ruolo di primissimo piano nella mitologia fumettistica, ma ciò non ha influito negativamente sulla qualità delle loro storie né sul carisma dei loro personaggi. Partoriti dalla prolifica mente del sempre buon Stan Lee e disegnati dall’immenso Jack “The King” Kirby, la famiglia reale inumana approda nell’universo Marvel nel 1965 sulle pagine dei Fantastici Quattro, per la precisione nel numero 45. Ma già nel numero successivo agli Inumani fu dedicata un’intera copertina destinata a diventare iconica tra gli appassionati e tra questi evidentemente c’era anche Gene Simmons (non lo sapevate? Il costume di scena del cofondatore dei KISS è ispirato a quello di Freccia Nera).

046

Da allora le apparizioni saltuarie degli Inumani hanno spaziato da episodi in cui erano coprotagonisti di primo piano insieme ad altri personaggi a miniserie ambientate nel pianeta dei loro cugini meno evoluti (cioè noi). Nel 1999 Paul Jenkins e Jae Lee creano una miniserie di dodici numeri che ancora oggi è insuperata non solo per la grande qualità narrativa ma anche e soprattutto per la coraggiosa scelta di tematiche politiche e filosofiche; tematiche che come lettore di fumetti speravo di ritrovare nella serie TV firmata Abc Studios. Ma così non è stato, almeno per questi primi due episodi.

inhumans_post_master-960x540

Fin dalla sigla iniziale si avverte una regresso qualitativo di immagini e suoni, fin troppo material design le prime, e decisamente poco convincenti i secondi. La vicenda si apre in maniera troppo diretta e confusionaria, improntando lo svolgimento degli eventi tutto all’azione e poco al contesto, il quale, per chi è a digiuno del materiale originale (la maggior parte quindi), risulta poco chiaro in termini di cause e motivazioni. La scena si sposta sul lato oscuro della luna (no, non quello di Roger Waters) dove conosciamo (sempre troppo frettolosamente) la famiglia reale inumana al completo. Il tutto però è condito da un abuso ingenuo di CGI che speravamo fosse superato dopo gli scivoloni de “La Minaccia Fantasma” (George Lucas, 1999). Non esistono luoghi ma solo sfondi pre-reindirizzati e tra l’altro poco vari tra loro. Scopriamo la natura politica di Attilan vera e propria città-stato retta da un monarchia “genocratica”: in altre parole ogni membro della società viene sottoposto a un rituale di respirazione di “nebbie terrigene”, la cui inalazione conferisce poteri casuali risvegliando il proprio patrimonio genetico latente. A seconda dei poteri risvegliati si ricopre un ruolo diverso nella società: banalmente se sei un poveraccio ma sviluppi poteri notevoli hai un posto garantito nell’alta società, ma se il tuo potere non è abbastanza “figo” ecco che ti ritrovi a sgobbare in miniera. Suona come una banalizzazione e in effetti lo è, ma non lo era nelle storie di Jenkins e Lee che pur fungendo da evidente ispirazione almeno per la trama di questi primi due episodi, serbava in sé anche una natura volutamente provocatoria e matura che a quanto pare non è uscita dalle pagine di celluloide. Ogni membro della famiglia reale poi, pur rimanendo fedele alle proprie controparti fumettistiche, ci viene presentato al limite della macchietta e della stereotipia. Nessuno infatti presenta un minimo di personalità e l’empatia con essi ci è impossibile anche provando a sospendere al massimo la credibilità che è lecito sospendere in un’opera fantascientifica. Il tutto concorre a questo fallimento, dalla pessima scrittura, alla recitazione decisamente sottotono, alla sceneggiatura scadente e semplicistica. Anson Mount ci prova a interpretare il re silenzioso, ma è limitato dalla sua mono-espressività; Iwan Rheon, il cattivo di turno (come lui stesso si definisce) è un Maximus banale e prevedibile al dettaglio e non va bene dato che nel fumetto la sua caratteristica principale consiste nell’essere tutto il contrario.  Eme Ikwuakor e Isabelle Cornish (rispettivamente Gorgon e Crystal) sono pressoché inutili e il tanto atteso Ken Leung e il suo Karnak, pur regalando qualche momento notevole, non sorprende mai veramente. Si salva solo un po’ Serinda Swan e la sua Medusa che, pur manifestando gli stessi sintomi di una generale scrittura scadente, sa quasi emozionare in alcuni passaggi. Per il resto non aspettatevi una trama all’altezza delle altre produzioni Marvel: gli intrighi di corte, gli psicodrammi familiari e i super problemi tipici della Casa delle Idee sono qui presenti non come parte della storia ma come parte della produzione. Più di ogni altra cosa quello che sembra mancare a Inhumans è una visione chiara di dove si vuole andare a parare. È come se il regista, nonché produttore esecutivo e showrunner, Scott Buck (Dexter, Six Feet Under) non si curasse di almeno far piacere il suo prodotto.

gallery-1499704882-inhumans-black-bolt-lockjaw-marvel-anson-mount-imax-abc

Nei fumetti la caratteristica principe degli Inumani è il loro disadattamento verso la civiltà umana, questo perché il mondo non è pronto a interagire con una specie naturalmente superiore, ma in questo caso sembra più il contrario: non siamo noi non preparati (men che meno potremmo esserlo con ben quattro stagioni all’attivo di Agents of S.H.I.E.L.D.), ma sono loro a non essere pronti per un mondo e un pubblico fin troppo ben abituato alla qualità televisiva Marvel. Non ci resta che aspettare l’arrivo televisivo il prossimo 11 ottobre su FOX, sperando che un qualche miracolo terrigeno risvegli il potenziale latente della famiglia reale inumana.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *