CulturaLetteratura

Il mio epitaffio porta un verso di Shakespeare

Fu fra le stelle più splendenti della Belle Époque e attraversò buona parte del Novecento. La sua figura poliedrica vibrava di mistero. Era la marchesa Luisa Casati Amman, nata milanese, frequentatrice di Parigi, Venezia, Londra. Era nota in tutta Europa per i suoi costumi eccessivi e disinibiti. La chiamavano “la Casati”, semplicemente. Sedusse D’Annunzio e Man Ray, e ispirò le opere di Marinetti e dei Futuristi.
Ad aprile Vanna Vinci ha pubblicato un graphic novel biografico dedicato a Luisa Casati intitolato La musa egoista. Il racconto in prima persona della marchesa si intreccia con le testimonianze di coloro che l’hanno incontrata: genitori, sorelle, marito, amanti, conoscenti. Un effetto straniante accompagna tutta la narrazione, fino alla morte della protagonista: “Il mio epitaffio porta un verso di Shakespeare…”
Luisa Casati era un guscio vuoto, eterno ritratto di se stessa. Visse per essere ammirata, per diventare un’opera d’arte. Tuttavia era dotata di una straordinaria personalità e di grande talento artistico. Ebbe il coraggio di rifiutare gli stereotipi dell’aristocrazia europea, per costruirsi un personaggio fatto di ville faraoniche, spiritismo, animali esotici, libertà sessuale. Tra follia e solitudine, la Casati approda nel mondo che noi conosciamo, quello del secondo dopoguerra, dove si respira un’aria nuova e carica di ottimismo, e le ragazze hanno “l’aria pulita alla Audrey Hepuburn”. A quel mondo, in cui è solo un magnifico cadavere, dice addio stroncata da un’emorragia celebrale, schiacciata da droghe e debiti.

 

 

“L’età non può appassirla, né l’abitudine rendere insipida la sua infinita varietà” è impresso sulla sua tomba al Brompton Cemetery di Londra. Non fu un modello di vita, ma è impossibile non lasciarsi ispirare da lei. Così come dai magnifici disegni che Vanna Vinci le ha dedicato.

Un pensiero su “Il mio epitaffio porta un verso di Shakespeare

  • Amore per l’arte, vita “spericolata” e morte per emorragia cerebrale… Curiose, queste somiglianze con D’Annunzio (non c’è da stupirsi della loro relazione). E’ un tipo di esteta a cui non sento di somigliare (anche perché l’estetismo è una cosa che bisogna potersi permettere 😉 ), ma che attrae nonostante il suo “vuoto” (di affetti solidi…). O, forse, proprio PER VIA di quel vuoto. Chi diceva che l’abisso attrae? 😉

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *