CulturaUniversità

Il mestiere del filosofo oggi

di Dimitra Giannoulidis e Teresa Bava

veca_21

Come promesso nel numero 109, nei dispenser in questi giorni, riportiamo l’intervista completa al Professor Salvatore Veca.

Intervistiamo Salvatore Veca, filosofo “di professione” che ha fatto dell’impegno civile una ragione di vita! Attualmente è vicedirettore dello IUSS, Rettore del Collegio Giasone del Maino, e direttore del Centro di Studi e Ricerche di Filosofia sociale, a Pavia.
Inchiostro – Professore, partiamo da una delle sue ultime pubblicazioni “Dizionario minimo. Le parole della filosofia per una convivenza democratica”,uscito nel 2009.
Tra i termini che introduce ci ha particolarmente colpito ciò che lei chiama “solitudine involontaria”.  Che cosa intende con questo termine?
Salvatore Veca- Mi fa piacere che tra le 12 parole chiave abbiate scelto proprio questa, che appare la più bizzarra! La solitudine non  ha a che fare direttamente con istituzioni  politiche, ma con gli effetti che istituzioni socialmente accettate possono avere sulle prospettive di vita delle persone.
Mi ispiro nel libro alla definizione che dà Hume della solitudine come il peggior castigo inflitto all’ umanità.
L’obiezione che si potrebbe muovere è che tante persone stanno bene da sole: ma in realtà esse sono ricche di connessioni con altre. Ci sono persone invece che vengono strappate da una rete di connessioni intessute con altri, che hanno a che vedere con la loro stessa identità: ad esse vengono sottratti i riconoscimenti altrui, non c è più nessuno che  possa assegnare loro un certo nome .
Noi abbiamo molti “nomi” derivanti dal genere, dalla professione, dall’appartenenza etnica ecc. e abbiamo una cerchia di “riconoscitori” che contribuiscono a determinare la nostra identità. Dobbiamo immaginare che tutto ciò venga cancellato: restiamo allora in isolamento rispetto agli altri.
È con il processo di modernizzazione che identità stabili e predeterminate vengono meno: le persone “vengono gettate” nella solitudine delle realtà urbane.
Pensiamo alla questione “immigrazione”, essa è forza generativa di micro-condanne alla solitudine tipiche del multiculturalismo: gli “altri” vengono percepiti come non familiari e quindi ghettizzati.
Il problema è se le istituzioni politiche sono in grado o meno di rispondere alla “domanda di compagnia” delle persone.

Un altro termine “curioso”è quello dell’ incompletezza.
In che senso deve essere inteso il suo “elogio all’ incompletezza”?
Su questo tema uscirà  tra poco un mio libro- “Un’ idea di incompletezza”- che sviluppa il capitoletto del “Dizionario minimo”. Ebbene, l’incompletezza è un elemento essenziale di qualunque forma di vita democratica.
Se accettiamo che esista un certo pluralismo di valori, cioè che i valori che condividiamo sono molteplici, e spesso  uno invade il campo dell’altro, allora è impensabile la pretesa di un sistema sociale saturo, in cui esistono valori immutabili e coerenti tra loro:  un potere politico di tipo totalitario ne sarebbe la conseguenza diretta.
L’Incompletezza è allora quello “scarto” indispensabile, e ha a che fare con l’idea che la politica non ha l’ultima parola sui fini a lungo termine di una società, ma è quest’ultima che, mutando di pelle, fa emergere interessi e aspettative nuove che la politica deve essere in grado di accogliere.

Lei ha avuto un ruolo di spicco nella diffusione in Italia del pensiero di  John Rawls, il più importante teorico di filosofia politica del secolo scorso.
Nel suo capolavoro, “Una teoria della giustizia” (1971), l’autore espone il suo “modello di società giusta” pensato per società pluraliste e stratificate come le nostre. Quale pensa sia la lezione più significativa che possiamo trarre dal filosofo americano?

Io ho tenuto in Italia la prima conferenza su Rawls nel 1981 con Norberto Bobbio, a Torino.
Lo considero un classico; in qualità di eredi possiamo trarre da Rawls tre insegnamenti: in “Una teoria della giustizia” ci insegna che in un sistema democratico, le libertà fondamentali delle persone e una qualunque forma di equità sociale, (p.e. delle risorse), devono necessariamente essere congiunte; inoltre il “sistema delle libertà fondamentali” ha priorità sull’equità sociale.
Il secondo insegnamento è tratto dall’opera degli anni’90 “Liberalismo politico”, che si misura col problema del pluralismo; l’ idea è che il pluralismo è figlio dell’ esercizio delle libertà fondamentali: se infatti le “libertà di base”devono essere garantite in modo prioritario, è ovvio che i cittadini avranno idee diverse su ciò che vale. La sfida è riuscire, in presenza di un disaccordo persistente, a trovare un consenso sui fondamentali della convivenza.
Il terzo insegnamento è tratto dall’ opera “Il diritto dei popoli” del ’99, che si interroga sulla possibilità di estendere i principi di giustizia distributiva oltre i confini di una realtà politica singola, cioè l’idea di una teoria di giustizia internazionale, che però alla fine  non viene portata a compimento.

A questo proposito, lei nell’ultimo decennio ha ampliato la sua ricerca estendendola a livello globale. Elaborare una teoria di giustizia globale è oggi possibile?
Il primo tentativo di risposta a questa questione è presente nell’ opera “La bellezza e gli oppressi”, dove ho lavorato per definire quattro idee fondamentali che facciano da prolegomeni a una teoria di giustizia globale.
Il presupposto da cui partire è che qualunque teoria di giustizia globale deve superare due obiezioni fondamentali; la prima è quella del “realismo politico”: ciò che è possibile nell’ ambito territoriale dello Stato non è pensabile nell’ arena internazionale, perché, come ci ricorda Hobbes, i diversi “leviatani” stanno tra loro in postura gladiatoria! Prevalgono quindi gli interessi particolari dei singoli Stati.
La seconda obiezione è quella mossa dal “comunitarismo”: la validità dei nostri principi di giustizia dipende dal contesto e dalle tradizioni a cui fanno riferimento, non è quindi possibile esportarli!
Il mio è pertanto un tentativo di elaborare delle idee fondamentali che cerchino di indebolire queste obiezioni:
-la prima idea è di trovare un criterio di valutazione etica degli Stati del mondo che sia il più possibile indipendente dal contesto, e lo individuo nel criterio dello “sviluppo come libertà delle persone”: esso fa perno sulla connessione fra qualità di vita delle persone e scelta, tenendo presente che le ragioni di eleggibilità di una vita sono plurali.
-la seconda è l’idea di giustizia procedurale di base: essa si fonda sul principio di imparzialità aperta; nessuno cioè deve essere escluso  dal processo di negoziato che mira a conseguire accordi equi.
-la terza è quella di utopia ragionevole: essa lavora per esplorare possibilità alternative, siano esse politiche, istituzionali, giuridiche, entro lo spazio che il mondo ci concede.
È proprio dal realismo politico, una volta messa da parte la sua pretesa di completezza riduzionistica, che possiamo ricavare i vincoli entro cui tali possibilità giacciono.
-la quarta idea, nata alla luce di una discussione con Thomas Nagel, autore di un fondamentale articolo: “È possibile la giustizia globale?”, è quella della densità maggiore o minore di connessioni: economiche, culturali, etiche ecc
Se la terza idea ci indica che prospettiva adottare : ricercare spazi di possibilità, la quarta ci indica dove andare a cercarli: dove le connessioni sono più dense.

Professore, lei è anche direttore di“Socrate al caffè”, giornale pavese di cultura e conversazione civile. Da questo progetto è nata da poco l’Associazione Socrate al Caffè.
Ci parli di questa iniziativa.

“Socrate al Caffè” nasce nel 2003, ispirandosi al “Cafè Socrate parigino”, ideato da Sautet, un collega francese. L’ idea era di promuovere una serie di incontri che riguardavano i più svariati temi, dall’ urbanistica, all’economia, alla bioetica.
Nello stesso anno con Sisto Capra si progetta il Giornale, uno dei pochi free press culturali esistenti!
La neonata Associazione invece nasce per l’esigenza di dar voce ai bisogni e ai sogni dei cittadini pavesi. Ora stiamo lavorando su un’iniziativa che cerchi di realizzare il cinema a Pavia, data la situazione catastrofica a riguardo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *