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Il Jurassic World di Bayona approda al cinema

Che i dinosauri, in qualità di protagonisti cinematografici, siano fonte di interesse per il grande pubblico è ormai praticamente assodato: i ruggiti dei lucertoloni preistorici sono garanzia di richiamo per gli spettatori proprio come il canto delle sirene lo era per Odisseo e compagni. Peccato, però, che ormai quel richiamo paia essere sempre più prevedibile, e buona parte di quello che viene offerto allo spettatore sulle avventure di questi antichi animali ha un sapore di déjà-vu, di già visto. È questo il caso di Jurassic World – Il regno distrutto, lungometraggio diretto dal regista spagnolo Juan Antonio Bayona, e secondo capitolo della nuova trilogia liberamente ispirata al romanzo di Michael Crichton del 1990. Il film, infatti, nonostante inizialmente si sia posto come obiettivi degli ottimi propositi – tra i quali cercare di apportare una ventata di aria nuova all’interno dell’intero franchise, e soprattutto di superare per riuscita il primo episodio della trilogia diretto da Colin Trevorrow (che aveva fatto storcere il naso a critici e fan della saga) –, non è riuscito a mantenere tutte le promesse. Cosa dunque di questo nuovo capitolo può essere promosso e cosa invece merita di essere bocciato o quanto meno rimandato?

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Sicuramente l’elemento più debole è l’intreccio narrativo che sta alla base del film: esso riprende (fin troppo) e combina elementi presenti già nel capitolo precedente (ovvero la creazione di un ibrido geneticamente modificato) con alcuni della seconda pellicola di Spielberg del 1997, Il mondo perduto – Jurassic Park (nello specifico l’idea di trasportare i dinosauri in territori abitati dagli uomini): si è in sostanza superato il debole limite che separa l’inserimento di citazioni ed easter egg dalla mera scopiazzatura. Sono passati tre anni dal disastro narrato nel film di Trevorrow, e il vulcano un tempo quiescente presente su Isla Nublar è tornato a far registrare la propria attività, mettendo a rischio la vita delle creature. Mentre il Senato americano non si cura del loro destino, decidendo così di provocare una rinnovata estinzione delle creature preistoriche, Owen e Claire (già protagonisti del film precedente, ed interpretati da Chris Pratt e Bryce Dallas Howard), sostenuti nella causa dal magnate Benjamin Lockwood, iniziano a darsi da fare per soccorrere gli animali, e condurli in una nuova zona protetta. Ecco che però la comparsa di un gruppo di mercenari, assoldati dall’assistente traditore di Lockwood, scombina i piani dei protagonisti. I dinosauri sono catturati e condotti sul continente per divenire oggetto di vendita in qualità di potenziali armi: facile intuire la tragedia che consegue al trasporto degli animali sulla terraferma, tanto più se fra loro è incluso un esemplare totalmente nuovo creato in laboratorio (non più l’Indominus Rex del 2015, bensì l’Indoraptor).

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A rendere ancora meno efficace una trama già di per sé non azzeccatissima collabora anche, in alcuni momenti clou del dramma, l’uso di una comicità consistente in trovate rocambolesche e salvataggi in extremis, che finiscono per smorzare un ritmo che dovrebbe essere più concitato e serrato. Di contro, risulta interessante la resa di altre sequenze contrassegnate invece da un’atmosfera particolarmente cupa (quasi “horror”, per dirla con un genere già testato da Bayona in precedenza – The orphanage, 2007), e caratterizzate da una prevalenza dell’oscurità sulla luce: la stessa magione californiana di Lockwood, all’interno della quale si svolge praticamente l’intera seconda parte del film, si rivela l’ambientazione ideale per apportare un tono di questo tipo.

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Indiscutibili e incriticabili sotto qualunque punto di vista sono gli effetti speciali e visivi che costituiscono uno degli elementi portanti dell’intera pellicola. L’uso della computer grafica e, soprattutto, un maggiore utilizzo (rispetto al film precedente) degli animatronic ha garantito una riproduzione realistica dei dinosauri, dei quali, mai come in questo film, vengono mostrate le specie più diversificate. Per concludere, Jurassic World – Il regno distrutto appare un film sicuramente godibile agli occhi di chiunque continui a rimanere affascinato dagli immensi bestioni preistorici. Certo, se le aspettative sono quelle di trovarsi dinnanzi un capolavoro simile a quello di Spielberg del 1993, forse conviene correggerle prima di entrare in sala.


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