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Il giovedì sera lynchiano a Radio Aut: Mulholland Drive

Giovedì sera ormai, per noi di Birdmen, significa appuntamento fisso con Radio Aut e la sua rassegna cinematografica. Provvisti di una buona birra preventiva e di un posto comodo sul divano – va beh, più o meno, diciamo che abbiamo allargato il concetto di “una poltrona per due” a… tre – io e i miei chaperons eravamo pronti a trascorrere 146 minuti insieme all’amico David Lynch. Infatti, per il secondo appuntamento di novembre Carlotta ci ha proposto Muholland Drive (2001), capitolo di mezzo della – non ufficialmente riconosciuta – Trilogia dell’inconscio, film vincitore a Cannes 54 del premio per la miglio regia (ex aequo con L’uomo che non c’era di Joel Coen). Primo della lista dei 100 film più belli dal 2000 a oggi – elenco commissionato dalla BBC ai critici cinematografici più autorevoli del momento – questo film rappresenta emblematicamente il risultato di tale indagine: “Una cosa è certa: il cinema non sta morendo, sta evolvendo”. Per chi ha familiarità con Lynch, la natura di tale evoluzione è lampante quanto incomprensibile. Ma, con calma.
Cari lettori (più di 25, mi dicono le statistiche di Fb…), domanda: vi ricordate i sogni che fate? Vi capita mai di essere così presi e persi in quel mondo onirico parallelo che è di casa nella vostra mente, da non capire più cosa sia reale e che cosa no? Ci sono sogni che sembrano assorbirci fino all’ultima goccia la coscienza, sogni, incubi che ci fanno tremare di paura e impallidire per l’angoscia… Sogni che ci lusingano, sogni che ci illudono, sogni che ci fanno vivere come e con chi vorremmo essere. Sogni che, al mattino, ci lasciano stremati, confusi, frustrati, vuoti.
Ecco, Mulholland Drive, in maniera leggermente più esplicita di Lost Highways, riprende proprio il topos struggente e disperato del sogno. Anche questa volta torna, preponderante, il tema del doppio; due protagoniste, due anime ciascuna: Betty/Diane (Naomi Watts) e Rita/ Camilla (Laura Harring), amiche, amanti… Il loro rapporto è il motore dell’azione, nucleo bollente, vertiginoso che le porterà ad affrontare vicende intense, sconvolgenti, simboliche. Così, nessun elemento che compare sulla scena (come ciascuno di quelli che punteggiano gli scenari dei nostri sogni) deve essere preso ritenuto casuale, che sia una chiave colorata o la presenza di semplici comparse.
Ma quando – spettatori ebbri di arroganza – crediamo di aver finalmente intravisto e ipotizzato l’epilogo, anche questa volta, capiamo che niente è come sembra; nessuno, anche in questa Los Angeles ridente e gravida di speranze, è chi dice di essere. Nemmeno il mondo di Hollywood, così luminoso e puro all’apparenza, può essere risparmiato dalla corruzione, dal marcio che ne inquina i retroscena. Pare di sentire Lynch, dall’altra parte della pellicola, che ride di noi.
Però noi non ci arrendiamo. Nonostante faccia arrabbiare – soprattutto se siete maniaci del controllo come me – arrivare al centoquarantaseiesimo minuto e non poter dire di aver capito tutto, film come questo espandono l’anima. È come svegliarci da un sogno di cui ricordiamo nitidamente tutti i dettagli, quelli coerenti e quelli no. Se la ragione non ne esce appagata, dopo una visione così è impossibile non sentirsi un po’ diversi, un po’ più (paradossalmente) completi.
Adesso non vedo l’ora di chiudere il cerchio: ci vediamo giovedì prossimo con Inland Empire.
P.S. “Silenzio…”

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