Birdmen

Il dominio del medium: “Lie to me” e le emozioni umane

L’articolo ripropone uno dei punti fondamentali della discussione sull’episodio Serial killer della serie TV Lie to me, proiettato a Radio Aut (circolo Arci Pavese) il 30 maggio scorso. Il ciclo di proiezioni, gestito dalla redazione di Birdmen, risponde alla logica del medium (“Mediacrazia” è appunto il titolo della rassegna), e del suo “dominio” o “governo” nella contemporaneità.

La “scienza” delle espressioni di Lie to me.

Gli amanti del poliziesco avranno sentito parlare di Lie to me, serie televisiva ideata da Samuel Baum, per la produzione di Imagine Television, 20th Century e Fox Television.

Cal Lightman (Tim Roth) è un esperto della bugia, il suo personaggio è ispirato a Paul Ekman (nato a Washington nel 1934), psicologo considerato dal Times tra le cento persone più influenti del mondo. Le sue ricerche attorno al riconoscimento delle espressioni facciali hanno avuto larghissima diffusione, pur subendo grandi critiche per la mancata verifica scientifica. La tesi principale è che esistano delle espressioni (e con queste delle microespressioni) universali, indipendenti dalla cultura e dunque di origine biologica. Le opere [da Wikipedia]:

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Gli studi dello psicologo in Papua Nuova Guinea e la “ricerca” di talenti naturali (i cosiddetti truth wizards) sono operazioni riprese più o meno letteralmente dalla serie televisiva. Le discipline investite dalla ricerca sono la cinesica, la semiotica e la prossemica, cioè la disciplina semiologica che studia i gesti, il comportamento, lo spazio e le distanze all’interno di una comunicazione, sia verbale sia non verbale. Mi si permetta una parentetica non abitualmente così lunga: fu Edward Hall (antropologo statunitense, suo il termine) il primo ad osservare che la distanza relazionale tra le persone è correlata con la distanza fisica. Secondo i suoi studi, esistono quattro “zone” interpersonali:

– la distanza intima (0-45 cm);

– la distanza personale (45-120 cm), per l’interazione tra amici;

– la distanza sociale (1,2-3,5 metri), per la comunicazione tra conoscenti o il rapporto insegnante-allievo;

– la distanza pubblica (oltre i 3,5 metri), per le pubbliche relazioni.

Il termine “cinesica” (dal greco “kinesis“, “movimento”) venne ideato dall’antropologo americano Ray Birdwhistell negli anni cinquanta del XX secolo. La cinesica è la scienza che studia il linguaggio del corpo. Il “significato” del messaggio non è interamente affidato alla parola, secondo alcuni studi, ma si distribuirebbe tra quest’ultima, le “modalità” della voce e la comunicazione non verbale:

– il 7% verbale, cioè ricavato dalle parole;

– il 38% vocale, elementi del parlato quali inflessioni dei toni, timbro e ritmo;

– il 55% non verbale, tutto ciò che deduciamo dal linguaggio visivo del corpo (gesti, posture e mimica facciale).

Il dato è sconvolgente: il 93% del nostro messaggio viene percepito dal nostro corpo e non dalle nostre parole.

Nel complesso, gli studi citati si legano strettamente col concetto di coscienza e di linguaggio (realtà interdipendenti), che noi con certezza non possiamo affrontare, ma che sono frequentatissimi nel dibattito scientifico-filosofico-linguistico contemporaneo. Sembrerebbe che la coscienza non interessi il discorso, ma quanti di noi hanno mai riflettuto sulla carica informativa delle sole parole? Di quel 7% verbale? Che il linguaggio dell’uomo si distanzi radicalmente dalle modalità di comunicazione animale sembra pacifico, eppure in cosa differisce? L’uomo parlando non comunica unicamente. Prega, desidera, elabora, ragiona, ricorda: il linguaggio (entriamo nell’area di competenza della filosofia del linguaggio) potrebbe così essere inteso come la presentazione di un oggetto (un processo di oggettivizzazione) che interiorizza il distacco dalla sostanza dell’oggetto, dalla realtà che propriamente risulta inconoscibile. Il linguaggio coinciderebbe forse con la realtà stessa, in quel modo di articolazione, con privilegio umano, che reinventa e forma la materia nel suo esistere nel linguaggio. Mi sembra importante fuggire con scelleratezza da ragionamenti di questo tenore, se pur io abbia un’ultima cosa da richiamare: parla in altri termini della stessa percentuale informativa Isaac Asimov, nel suo splendido Ciclo della fondazione. 

Importante precisare come per Lie to me sia fondamentale unicamente la dimensione della verità. Si tratta di decidere in base a un’analisi scientifica delle espressioni e della gestualità umana sulla verità o la finzione. Indubbio che questo presupponga il carattere universale delle espressioni umane (nella generale opposizione all’universalità del linguaggio umano, pensiamo alla progressiva diminuzione della popolarità delle teorie del neurolinguista Noam Chomsky). A seguire il punto cruciale che ribalterebbe non certo la serie TV (pure citata nel libro che menzioneremo) ma probabilmente l’idea vulgata sulle emozioni dell’uomo: Lisa Feldman Barret in How emotions are made, The secret life of the brain, spiega come le espressioni facciali non siano universali. Le emozioni (ugualmente definite linguisticamente) differiscono per attualizzazione da individuo a individuo. Addirittura lo stesso concetto di emozione (interna, superficiale…) varierebbe da cultura a cultura. Insomma, una rivoluzione copernicana sul piano dell’antropologia, della linguistica, della semiotica. Rimando alla lettura del libro (disponibile ancora soltanto nella sua edizione originale in inglese) per ulteriori approfondimenti.

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