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Il curioso caso del merito

La mia compagna di banco del liceo voleva diventare medico ma diventerà, con le migliori probabilità, un buon farmacista. Non ha superato il test di medicina e ora è un’accanita critica di questo metro di valutazione. Il punto che però reputo molto curioso è il caso delle cosiddette “quote mediche”. Il regolamento delle università prevedeva che una minima percentuale dei posti disponibili fosse riservata a studenti stranieri a prescindere dal punteggio da loro ottenuto nella prova: con un punteggio pari ad uno studente straniero, lui probabilmente sarebbe stato ammesso, la mia amica no. Il provvedimento era per lei “ingiusto” perchè le due situazioni erano incommensurabili: non si può stabilire cosa vale di più tra un buon libro e una fetta di torta perché questi sono incomparabili tra loro. Se quindi il test era pensato per valutare le capacità intellettive dello studente, non era con ciò comparabile la provenienza da un paese straniero.

Nel 1996 Ceryl Hopwood, candidata bianca alla School of Law del Texas, contestava legalmente la sua non ammissione alla scuola e, quindi, l’ammissione al “suo posto” di studenti di colore che avevano ottenuto punteggi inferiori ai suoi nei test. I Neri d’America sono, per ragioni di colpa storica, quotidianamente protagonisti degli interventi sulle differenze, i famosi interventi che hanno contribuito alla carriera da farmacista della mia compagna di banco.

Le affirmative action sono atti di discriminazione positiva compiuti non contro un popolo ma per un popolo. Così come gli atti di discriminazione negativa danneggiano particolari categorie di individui, l’affermative action si propone di utilizzare lo stesso meccanismo come forma di aiuto e compensazione. Lo scopo è creare un comune punto di partenza, quindi eguali possibilità, per tutti, e questo ovviamente vale per i Neri d’America come per ogni individuo il cui punto di partenza è vincolato da uno svantaggio oggettivo. Nelle graduatorie per l’insegnamento nelle scuole pubbliche italiane, una buona dose di posti è riservata ai disabili, cosa che immagino avrebbe irritato ugualmente la mia compagna di liceo, mentre sono certa che nulla avrebbe avuto da dire sulle quote rosa in Parlamento.

La mia amica credeva che il posto si meritasse grazie ad un buon punteggio, per questo quel provvedimento era per lei non meritocratico ed è qui il vero problema: sembrava si facesse della nascita e delle abilità cognitive un’unica categoria e difatti è così. Il merito è un rapporto tra azioni e ricompense, per cui tutti i beni vengono ripartiti in base ad esso, fin qui tutto torna. Il concetto di merito però è in realtà un concetto semanticamente neutro: il suo contenuto, ciò che indirizza la ricompensa, va ricavato di volta in volta dal contesto. E dulcis in fundo, la parola gemella del merito è “fortuna”, un concetto altrettanto contenitore.

L’affirmative action ci insegna che I nostri talenti sono fattori moralmente arbitrari, nostri solo grazie al caso come il luogo di nascita e il nostro colore della pelle. Il merito è inoltre sempre legato al fine da perseguire: ogni standard prescelto pone un candidato in una situazione di svantaggio, che si parli di intelligenza o di razza, la discriminazione avverrebbe sempre. L’università italiana voleva promuovere l’integrazione delle minoranze e la varietà dei propri laureati, stando così le cose, sia la mia amica che lo studente straniero potevano meritare il posto.

Possiamo riflettere a lungo sulla giustizia o meno di questa politica, l’importante è evitare di catalogarla a prescindere come ingiustizia perché mossi dalle proprie ragioni. Non credo che la mia amica si sia mai davvero chiesta se lei meritava quel posto, era però pronta a giustificarsi e ad incolpare lo studente straniero. Ora però lei diventerà farmacista e lui medico. Magari un giorno sarà proprio lui a offrirle delle buone cure mediche e lei, ignara di tutto, penserà che quel medico tanto bravo aveva proprio meritato il posto che occupava.

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