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Il cielo per soffitto

Vi proponiamo “Il cielo per soffitto”, scritto da Giulia Pozzoli, racconto che si è particolarmente distinto tra tuti quelli pervenuti per il concorso letterario “Inchiostro a volontà – Dopo la terza birra”, indetto quest’anno da Inchiostro, il giornale dell’Università.

 

Tristano posò gli occhi sul calice mezzo vuoto, mentre Martina spiegava lentamente ad Alberto quali fossero le implicazioni morali di aver votato Berlusconi nel 2008, manco fosse un ritardato.

La taverna dove sedevano era un locale accogliente, con un ampio caminetto che ospitava un fuoco scoppiettante, nutrito regolarmente con dei ceppi di legno di rovere da Giovanni, il titolare, il quale distribuiva sorrisi e battute a chi lo tormentava ancora con la finale di Champions persa dalla Juve.

Giacomo dal canto suo cercava di capire qualche cosa dell’ultimo provvedimento regionale in materia di sanità, chiedendo a Valeria qualche spiegazione, ma il risultato fu quello di ottenere un articolato monologo sulla necessità per il sistema sanitario di assorbire sempre più fondi, così da aumentare le già povere parcelle dei suoi colleghi specializzandi in medicina (1.800 euro netti al mese).

Tristano tastò il bicchiere per cinque minuti buoni, immaginando che fosse cera, per modellarlo come voleva e cercare di dare un senso alle chiacchiere degli amici e del resto degli avventori della taverna. S’immaginò di lanciare il calice della sua Carolus Triple per terra, come fosse un vichingo e ordinarne un altro a gran voce per poi partire a razziare qualche villaggio francese. Sfortunatamente per lui, sia la Francia che i vichinghi erano piuttosto lontani, quindi cominciò a fissare un vecchio pastore maremmano accasciato sul pavimento in legno, pensando a che razza di vita dovesse essere quella di un cane da osteria.

Una voce familiare trascinò Tristano di nuovo sulla sedia, fra gli odori del tabacco e gli effluvi di Poison Dior emanati da Valeria.

«Oh Tris»

«Eh…»

«Cazzo fai, ti sei incantato?»

«No, no…»

«Dai svegliati che son le dieci, dove andiamo?»

Federico era arrivato in quel momento, irrompendo nella serata come piaceva fare a lui: facendo cagnara e svegliando tutti dal torpore di conversazioni a volte banali. Tutto in lui faceva pensare ad un temporale in estate: il fisico atletico, la voce forte e audace, l’odore di montagna che lo caratterizzava e scolpiva i suoi ricordi di lui.

Si appollaiò al volo sulla sedia che Martina stava cercando di svuotare e regalò a tutti un sorriso.

«Te non ce la farai mai ad arrivare in orario vero?» fece Alberto scherzosamente.

«Eh, ero con dei ragazzi inglesi che son qua per lavorare con Gino per la stagione, sapete che il vecchio non si combina con l’inglese, mica posso lasciarlo là a raccontargli la storia dell’orso!».

“Dio caro, è incredibile che in trent’anni di lavoro con gli inglesi tuo padre non abbia imparato mezza parola di Inglese» sogghignò Giacomo, mentre scartava la pellicola di un pacchetto di Marlboro 100’s.

«Cazzo se è incredibile, Gino è un bomber d’altri tempi, pensate che s’era messo pure ad affettare il San Daniele che gli avevamo regalato per Natale, ma quegli stronzi non lo lasciavano neppure cadere sul piatto!» tutti risero, mentre Giovanni s’avvicinava di gran carriera, forse richiamato dal nome dei ferri del mestiere.

«Grande Vecio! Com’ela?» seguì una sonora pacca sulla schiena di Federico, avvertita probabilmente anche fuori dal locale. Federico assorbì il colpo e fece finta di cadere dalla sedia, manovra che liberò una risata generale, avvertita pure questa al di fuori del locale.

«Su su vecio vai tranquillo! Carolus Triple anche per te? Mi tirate su Tristano per favore che dio bon, non g’ho mica voglia di tegnerlo qua a dormire ‘sta sera»

Fu presto detto e Giacomo infilò una sigaretta in bocca all’amico: «Andiamo a dar da mangiare ai polmoni valà, così ti ripigli un attimo». Tristano si infilò il piumino con la stessa flemma di un orso in letargo, poi si rianimò man mano che si avvicinava alla porta, svegliandosi completamente vicino al braciere dove il vecchio Marcone spiegava a Gustavo che avrebbe dovuto smettere di fumare o di fare il figo comprando 80 € di Vespaiolo di Bastianich che ne valeva la metà e comunque per le sue papille gustative affumicate sarebbe andato bene anche del Tavernello. Pur sempre argomentata, l’invettiva contro il fumo non superò l’ubriachezza di Gustavo, che campeggiava lì dalle cinque del pomeriggio e si era appena preso una settimana di ferie.

«Oh ma con la tipa?» fece Giacomo.

«Eh… Dio bon, spero che vada in porto» Tristano aspirò a fondo un tiro di Marlboro poi aggiunse: «Credo che ci sia un buon potenziale, la settimana scorsa era a preparare un ritiro di capodanno per i ragazzi del Don Bosco, dovevi vederla… Bella come la mattina di Natale per i bambini»

Giacomo sorrise e guardò il cielo, profumato, terso e brillante come poteva essere solo il 21 Dicembre.

«La chiamerai?”»

«Sì, ma ci sentiamo eh»

«Ah bon»

«Pensavo anche di andare alla messa della Vigilia lì, mi ha detto che sarà al banco del brulé alla fine» disse Tristano abbassando leggermente la voce.

«Occhio che Giovanni s’incazza però eh!» replicò Giacomo ridendo.

«Per cosa s’incazza Giovanni?» la voce dell’oste arrivò alle spalle di Tristano, che tese i muscoli in attesa di una sonora manata, fu sorpreso invece da Giovanni che presentò loro due calici di Carolus Triple.

«’Sto stronzo ci tradisce per la messa della vigilia, Giova digli qualcosa!» suggerì Giacomo.

«…è figa almeno?»

«Che?» disse Tristano smarrito.

«Se ci molli la vigilia dopo 8 anni sperò almeno sia per una figa, sennò te dago…» Giovanni accennò il gesto di un manrovescio in direzione del ragazzo, fingendo un’espressione rabbiosa.

«E’ figa… E’ figa…» chiosò Giacomo.

«Eh portala qua allora, che così mando via Marcone! Mica si può star sempre dietro a ‘sti veci» fece Giovanni, Marcone subì l’affondo e biascicò qualcosa come: «Vara che qua te mando avanti mi il locale, rispetto ai veci».

L’oste uscì di scena come era arrivato, lasciando ai due ragazzi il tempo di apprezzare gli 8,5 gradi di liquido ambrato che fioriva in molteplici suggestioni notturne.

Tristano fiutò l’aria, si riempì i polmoni d’inverno e si lasciò trasportare dal leggero aroma di legna bruciata.

«Oh Jakie»

«Eh»

«Sai cosa sarebbe figo? Se Fede fosse venuto in furgone, potremmo berci il penultimo in montagna»

«Cazzo come l’anno scorso quando è tornata la Panci, chissà se anche stanotte si vede Venezia!»

«Finisci la cicca che andiamo a proporlo!» disse Tristano, risvegliatosi definitivamente dal torpore della serata.

Fatta la proposta, Alberto interruppe i discorsi di Martina su Berlusconi dandole della Giacobina e dicendole che comunque al tavolo l’avevano votato tutti almeno una volta, tranne Valeria che però nel frattempo era stata rapita da un discorso di Federico sul suo viaggio in Bretagna e quindi non ascoltava.

Tristano andò a pagare il conto, ricordandosi che era il suo compleanno: due giri di birra e otto crostini con prosciutto cotto e cren, no i crostini no, Giovanni alla proposta di pagarli lo mandò a fare in culo e come regalo di compleanno gli lasciò a metà prezzo un giro di Barbar Vinter al miele, da portarsi in montagna, per godersi il panorama. «Vegnaria su anca mi se potessi, tanti auguri bel, fate i bravi» disse l’oste con l’aria di chi vorrebbe, ma non può andarsene.

Seguì un teatrale carico delle birre celebrato da Federico, Alberto si sedette in parte a lui per inserire la colonna sonora dei pirati dei caraibi: «Ci vuole epicità per festeggiare un quarto di secolo!» sostenne. Giacomo raccontò delle barzellette politicamente scorrettissime alle quali Martina e Valeria fecero finta di resistere per qualche istante, salvo poi cominciare a ridere a crepa pelle, mentre Tristano assaporava gli sguardi e le emozioni di tutti.

«Visto che ci vuole a vivere vecchio mio?» disse Federico a Tristano, facendo cin con le bottiglie, mentre guardavano le luci delle case a valle, cercando di scorgere il mare.

Tristano sorrise in risposta e appoggiò la mano sulla spalla di Fede, il quale fece cenno di girarsi mentre gli altri li raggiungevano con un grosso pacco regalo.

«Non ci vuole niente! Hai tutto qua: tre birre di qualità, il cielo per soffitto e una banda di fioi finiti ma con l’anima in festa. Tanti auguri fratello.»

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