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Il cerchio della guerra

«La guerra è odore di sangue, merda e di bruciato; è quando curi due volte la stessa persona durante due conflitti diversi, in due momenti e territori diversi della storia. E’ quando alle due di notte chiami chiunque per cercare la famiglia di una bambina che non trova più nessuno. La guerra è qualcosa che va combattuto costruendo e diffondendo diritti».

Lunedì 8 maggio alle 21, si è tenuta nell’Aula magna del Collegio S. Caterina la prima delle sette conferenze organizzate dal gruppo Emergency Pavia sul tema della prevenzione della guerra, nell’ambito della prima edizione del festival universitario “La guerra è…”. Ospite d’onore della prima serata, la presidentessa dell’ONG, Cecilia Strada, che ha tenuto un incontro dal titolo “Il cerchio della guerra” raccontando l’esperienza di Emergency nei territori dove, da 23 anni, gli operatori dell’organizzazione lavorano per assistere le vittime di guerra e della povertà nei centri e ospedali realizzati e gestiti in autonomia. “Cerchio della guerra” perché, come ha spiegato Cecilia, la guerra va, ritorna e non finisce mai.

Tanti sono i paesi in conflitto dove Emergency opera: nel mondo attualmente si contano in totale 67 conflitti attivi che portano con sé un aumento continuo della spirale di violenza. Vittime, soprattutto civili e soprattutto bambini (un letto su tre negli ospedali è occupato da un minore di 14 anni) e migrazioni sono le maggiori conseguenze; un business da 64milioni per la vendita di armi e di droga la ragione principale per cui, nonostante gli apparenti sforzi di istituzioni e organizzazioni internazionali, invece di cessare, le guerre proseguono e aumentano in numero. In paesi come l’Afghanistan, ad esempio, dove Emergency è presente dal ’99, quando i russi avevano abbandonato quasi completamente il conflitto e i media internazionali si erano disinteressati alla questione, la produzione di oppio è raddoppiata e la situazione degenera nel silenzio. Così come nel silenzio è a lungo degenerata quella dell’Iraq dove l’ONG è presente dal 2003, altro esempio di “cerchio della guerra” di cui l’opinione pubblica ha iniziato a disinteressarsi fino a che, causa gli eclatanti ed efferati crimini commessi dal sedicente Stato Islamico, giornali e telegiornali hanno ricominciato a parlarne, in coda alle notizie riguardanti la Siria, e ne hanno fatto fulcro di dibattiti e notizie. In Iraq, Emergency ha costruito un centro protesi per «rimettere in piedi chi altrimenti, a causa delle atroci ferite riportate a causa di colpi di mitraglia o di bombe (i feriti di guerra non sono i feriti a cui siamo abituati noi, sono mutilati, amputati, biamputati, triamputati), non potrebbe avere più un futuro». E ciò che è davvero stupefacente è il fatto che a lavorare nel centro siano spesso ex pazienti che così possono rendersi utili a chi, come loro in passato, si trova in difficoltà, e nel frattempo guadagnare qualcosa per mantenersi e mantenere le proprie famiglie.

Ma la guerra, sottolinea Cecilia, non è solo quella che si combatte con le armi, in paesi lontani da noi. La guerra è anche quella dei poveri contro poveri, che non capendo quale sia il loro vero nemico, si “scannano” tra loro. Come a Rosarno, nella piana di Gioia Tauro, Calabria, dove esiste un campo profughi in cui vige il sistema del caporalato: trattati come schiavi, in condizioni estremamente difficili e disumane, i profughi vengono sfruttati per lavori duri e faticosi, ad esempio la raccolta delle arance. E nonostante il denominatore comune del problema sia lo stesso che provoca il problema del traffico di migranti, o sia la criminalità organizzata, la guerra tra poveri continua e la popolazione di quelle zone continua a pensare che il problema siano gli sfruttati, e non gli sfruttatori.

Finché non ci si renderà conto di questo, la spirale di violenza continuerà ad aumentare fino ad arrivare a un punto di non ritorno. Sì, perché per ora il “cerchio della guerra” vede conflitti che vanno, tornano, e non finiscono mai. Alcuni ormai dimenticati, ma che continuano a sopravvivere e a mietere centinaia di vittime al giorno; altri al centro del circolo mediatico che ne fa oggetto di dibattito e talk show; altri ancora di cui non si sa nulla perché per adesso in fase di incubazione, ma potenzialmente distruttivi come gli altri. Come fare quindi per bloccare il ciclico andirivieni atroce della guerra? «L’unico modo è far diffondere l’epidemia dei diritti. Togliere le armi ai paesi in guerra non basta, e non è qualcosa che accadrà mai davvero. Bisogna combattere con l’arma dei diritti contro chi i diritti li nega e abbattere muri laddove vengono costruiti. Siate diffusori del virus, bello e altamente contagioso, dei diritti».

Claudia Agrestino

Sono iscritta a Studi dell'Africa e dell'Asia all'Università di Pavia. Amo viaggiare e scrivere di Africa, Medioriente, musica. Il mio mantra: "Dove finiscono le storie che nessuno racconta?"

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