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Il branco – Intervista a Giulia Gibelli

Giulia Gibelli è una giovane scrittrice. Di recente ha pubblicato la sua prima opera Il branco (ed. Divergenze, 2019), un racconto che vuole indagare la quotidianità, scritto in una prosa elegante che rivela le pregevoli capacità della sua autrice.

Per chi non ti conosce, partiamo dall’essenziale: chi è Giulia Gibelli, autrice de Il branco?

Sono una studentessa di Scienze e tecniche psicologiche, laureata da poco. Lavoro, ho sempre lavorato, anche con i bambini. Ho fatto l’allenatrice di pallavolo. Scrivo da quando ho quattordici anni, quindi non da tanto tempo. Prima, confesso, non ero molto interessata alla scrittura. Al liceo scrivevo ispirata da quel che mi proponeva la mia professoressa di italiano e da lì ho iniziato a capire che attraverso la scrittura ero in grado di esprimermi bene e meglio. Certamente all’inizio non avevo in mente un romanzo, un racconto. Poi, verso la fine del liceo, ho scritto sei capitoli, ancora lontani dal risultato finale che ha attraversato un lungo processo di elaborazione durante il quale ho avuto anche un periodo di blocco: continuavo a leggere, rileggere e correggere senza mai essere troppo soddisfatta. Alla fine, dopo un viaggio estivo (quello di cui racconto nel mio libro), ho ripreso riuscendo a dare al mio lavoro una forma compiuta.

In verità non sei l’unica autrice! Scherzi a parte, nel libro compaiono alcuni disegni opera di tua sorella (Chiara Gibelli); quanto la sua presenza ha influito nella stesura del libro?

Non avevo pensato che i disegni di mia sorella potessero far parte del lavoro finale. Parlando con il mio editore e mostrandogli dei disegni, siamo giunti alla conclusione che poteva essere bello inserirne alcuni. In totale mia sorella ha prodotto dodici disegni dei quali solo quattro sono stati inseriti. Mi è dispiaciuto un po’ per gli altri.

Si è soliti dire che, nella sua opera prima, ogni autore inserisca più che altrove parte di sé. Le vicende che tu narri sono quasi tutte autobiografiche?

Sì, esatto. Prendiamo per esempio il viaggio estivo di Aura: questo è, come ho già detto, un evento che ho vissuto in prima persona. Ma non tutto è strettamente biografico. Per esempio, ad Aura manca una mano, mentre io, come puoi vedere, le ho ancora entrambe.

Allora, come mai hai scelto la maschera di un nome (Aura) diverso dal tuo?

Dietro questo nome c’è una storia carina. Mentre stavo lavorando in un ristorante, una bambina continuava a voler salire sul bancone. Nonostante i rimproveri e i richiami della madre, non mollava, così, presa dalla situazione, le ho chiesto il nome e la piccola mi ha risposto di chiamarsi Aura. È cosi che ho scelto il nome. Pensavo fosse quello giusto. In fondo, quel che più mi piaceva di questo nome era il suono e il significato.

Hai mai pensato di scrivere il libro in prima persona?

Il romanzo era in prima persona, ma l’editor non ha voluto. Mi ha detto che, scrivendo in prima persona, il lettore non si immedesima facilmente, a meno che tu non sia famoso. Confesso che non mi trovo molto d’accordo con ciò, ma pazienza

Aura non è l’unico personaggio che appare. Vi sono molti altri soggetti, tantissime presenze maschili (Federico, Lorenzo, Giovanni, ecc…), tutte funzionali al percorso di Aura. Senza Aura, sarebbero personaggi un pochino poveri. Se ti fossi data più pagine, avresti approfondito anche la loro psicologia?

Sinceramente penso che sarebbero rimasti tali. È il mio modo di scrivere, e in questo caso mi serviva solo toccare alcuni personaggi per quel che mi era utile, cioè la storia di Aura. Riconosco che avrei potuto approfondire i loro pensieri, ma sentivo che non era necessario, almeno per questo racconto.

Elementi chiave della tua prosa sono l’ironia, l’umorismo e una certa dose di satira. Perché hai scelto di muoverti lungo queste vie?

È il mio modo di parlare con le persone, e Aura risponde con ironia, umorismo e satira, perché sono le risposte che darei io. Ma sono anche questi i mezzi che trovo vadano impiegati di fronte a situazioni problematiche o fastidiose. Essere ironica in quelle circostanze in cui gli altri ti provocano, essere ironici per non essere cattivi. Devo dire che ho anche esagerato con l’ironia, perché mi piaceva questa forma e il taglio che dava al romanzo.

Del resto Aura con ironia risponde a Federico nel libro e non solo a lui. C’è talvolta un tono didascalico nella tua prosa, come se volessi fare la morale a qualcuno. È parte di questa esagerazione?

Anche il mio editore ha notato questo tono e mi ha fatto intraprendere un lungo percorso di revisione, dal quale, per altro, il libro è uscito accorciato. Avrei scritto un po’ di più, lo ammetto. Io, però, non voglio fare la morale a nessuno. Semplicemente, sulla base di quello che ho appreso, esprimo il mio punto di vista, ma non direi mai agli altri di fare come farei io o dire quel che direi io.

Dopo la pubblicazione, hai riletto il tuo libro?

All’inizio tante volte e mi dicevo che questo andava rifatto, che questo non era venuto bene. Adesso mi sono detta basta, è fatta. Non riesco a godermelo, è una tortura.

Oggi scrivono praticamente tutti, non sempre con buoni risultati. Eppure tu sei riuscita a elaborare un buon prodotto. Cosa ti spinge in particolare verso la scrittura?

Mi piacerebbe poter dire che per me la scrittura è un bisogno primordiale, un esigenza assoluta e tante altre cose belle, ma non riesco. È una spinta. Di fronte ad alcuni avvenimenti sento la spinta di scrivere. Scrivo praticamente tutti i giorni qualcosa. Confesso che questa è sempre la domanda più difficile a cui rispondere e ogni risposta mi sembra non centrare bene il punto. Scrivere mi sembra l’unico modo di poter dire quello che penso. Ecco, diciamo che le mie riflessioni più serie, quelle che non riesco a fare a voce, le riservo alla scrittura.

Qualche modello letterario in particolare?

Susanna Tamaro è la mia scrittrice preferita e, dunque, è un mio modello. Alcuni mi hanno detto che il suo influsso si vede chiaramente nel mio modo di scrivere. Nei libri della Tamaro non avviene nulla, è tutto nella testa e a me piace così. Mi piace la riflessione nel libro, quella che poi fa riflettere anche il lettore. Il mio ideale assoluto di scrittura è, però, Oriana Fallaci.

Infine, qualche prossima pubblicazione vicina?

Non lo so… Io spero sempre che qualcuno mi dia il via per pubblicare le mie poesie, ma è difficile. C’è qualcosa in pentola, ma non penso si possa, per ora, definire un libro. È una storia ambientata in carcere e un carcerato particolare è il protagonista. La sua peculiarità è di non riuscire a dimenticare mai i dettagli di ciò che ha fatto. È una patologia detta ipertimesia, per cui un soggetto ricorda tutto, specie gli avvenimenti legati alla sua sfera emotiva. Ancora però c’è un pochino di disordine. Vedremo.

Tommaso Romano

Redattore per «Inchiostro». Studente di «Antichità Classiche e Orientali» presso l’Università di Pavia, è appassionato di troppa roba. Cento ne pensa, cento ne fa, cento ne scrive (o vorrebbe).

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