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Il berretto a sonagli: quando la verità fa più paura della menzogna

Dal 16 al 18 dicembre, per la stagione di prosa del Teatro Fraschini di Pavia, è andato in scena Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello, per la regia di Sebastiano Lo Monaco.

L’opera, originariamente scritta in dialetto siciliano per l’attore Angelo Musco, dopo una genesi tortuosa passò per lo più inosservata. Seguirono diverse traduzioni ed altrettanti adattamenti operati da Pirandello stesso, ma l’affermazione del Berretto giunse solo a partire dal 1936. In quell’anno infatti fu portato in scena da Eduardo de Filippo riscuotendo un grande successo, in seguito al quale il drammaturgo napoletano ripropose la piece in 5 diverse versioni.

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Scoperto il tradimento del marito con la moglie del suo fiduciario Ciampa, la signora Beatrice Fiorica decide, con l’appoggio della Saracena (donna malvista per i suoi liberi costumi anticonvenzionali) di convocare a sé il delegato Spanò al fine di sporgere denuncia nei confronti del consorte. Le cose però sono più complicate del previsto: il delegato è reticente ad andare contro il Cavaliere, dato lo scandalo che questo fatto provocherebbe, e lo stesso Ciampa, senza mai affermare chiaramente di essere a conoscenza del tradimento ma alludendovi costantemente, trova disonorevole una soluzione di questo tipo. Beatrice però, ferita, non intende fare passi indietro: spedisce Ciampa a Palermo per una commissione e procede con la denuncia, organizzando, per ottenere prove, una spedizione del pubblico ufficiale a casa di Ciampa durante la sua assenza, di modo da cogliere gli amanti in flagrante. Ciampa prima della partenza, intuendo le intenzioni della sua padrona, arriva addirittura a portarle in casa la propria moglie, al fine di evitare qualunque evento compromettente, ma Beatrice gli ordina di riportare la sua consorte a casa.

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Il secondo atto si apre a fatti già compiuti, ma Beatrice riceverà amare sorprese: in seguito all’arresto degli amanti ed al successivo scandalo ormai esploso in paese, ella si trova in casa della madre assieme al fratello, che la riprendono malamente per i suoi atti da loro giudicati sconsiderati. Nel frattempo arriva anche il delegato Spanò, il quale rivela di non aver partecipato direttamente all’operazione (al fine di non compromettersi col Cavaliere) e, verbale alla mano, sostiene che i due amanti siano stati arrestati, ma non per adulterio, in quanto non trovati fedifraghi, e che quindi il fatto non sussista. Già sconfitta, Beatrice subirà però una ulteriore lacerante umiliazione: fa il suo ingresso in scena Ciampa, stravolto, il quale, per difendere il suo onore, dichiara che ucciderà i due amanti. Il delegato cerca dunque di farlo ragionare, ma lui, richiesta la presenza della sua padrona, ribalta le carte in tavola: non verranno commessi omicidi, basterà sostenere la pazzia della donna, spedirla per un periodo in manicomio e compromettere la sua credibilità agli occhi del paese. Su questa soluzione tutti, tranne Beatrice ovviamente, si mostrano d’accordo. Una delle battute finali di Ciampa, tra le più famose chiose di Pirandello, esplicita a Beatrice come dovrà fare per farsi credere pazza:

«Lei. Per il suo bene! E lo sappiamo tutti qua, che Lei è pazza. E ora deve saperlo tutto il paese. Non ci vuole niente, sa, signora mia, non s’allarmi! Niente ci vuole a far la pazza, creda a me! Gliel’insegno io come si fa. Basta che Lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza!»

Beatrice a questo punto, annientata, esplode in urla d’esaurimento, a cui tutti attribuiscono soddisfatti i primi sintomi della follia che dovrà possederla.

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La regia di Lo Monaco, che, come suo solito riveste anche i panni del protagonista maschile (Ciampa, in questo caso), restituisce fedelmente le atmosfere pirandelliane, condendole però con momenti di comicità per ripetizione, che, se da un lato rapiscono il pubblico del Fraschini, dall’altro, pur volendo enfatizzare il carattere di commedia dell’opera, finiscono per stonare col contorno cupo della rappresentazione, rendendo i momenti tragici sul tema cardine della verità-pazzia puri svolgimenti della trama avvolti da una inefficace membrana manieristica, rischiando di farli passare spesso in secondo piano. Degna di nota, comunque, l’interpretazione di Maria Rosaria Carli nei panni di Beatrice Fiorica, vera e propria anima tragica dell’allestimento, e quella di Rosario Petix, il quale nei panni del delegato Spanò conferma un talento da grande caratterista. Molto efficaci ed espressivi, infine, risultano i reparti della scenografia, delle luci e dei costumi, ad opera rispettivamente di Keiko Shiraishi, Nevio Cavina e Cristina Da Rold.

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