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#ijf16 – Day Four: Raqqa is Being Slaughtered Silently

Piazza Duomo, Perugia, la fila, i discorsi sentiti a metà delle altre persone, i dubbi se pioverà o meno prima dell’ingresso in Sala dei Notari, l’attesa. La gente si chiede che cosa diranno i due giovani uomini siriani ospiti (super) speciali di questa edizione del Festival Internazionale del Giornalismo. Pare abbiano la scorta, sono ricercati, sono fuggitivi (o forse sono fuggiti?), si mormora, l’attesa si fa sempre più elettrizzante. I due giovani saranno seduti a pochi metri da un pubblico che ha solo un’idea vaga di cosa significhi vivere in Siria oggi, un’esperienza che invece loro conoscono fin troppo bene. La distanza tra il palco e la prima fila è breve, il contatto è diretto senza mediazione, si possono vedere in carne e ossa, senza uno schermo televisivo o nel riquadro dei video online, si sentono le loro voci, il loro accento, gli errori nel loro inglese quasi perfetto.

Raqqa, Siria, gennaio 2014, la bandiera nera inizia a sventolare sui palazzi, la vita cambia radicalmente. La città era già stata in passato una capitale, durante il Califfato abbaside di Harun al-Rashid. La città era il confine dal quale poter combattere i bizantini e avere un accesso diretto al cuore dell’Anatolia; una città dunque storicamente strategica.

A pochi mesi dall’inizio della rivoluzione siriana, Raqqa è stata la prima città ad essere liberata, strappata al controllo di al-Assad da parte dell’Esercito Siriano Libero (ESL). I ribelli anti-governativi hanno però dovuto affrontare da subito l’ala militare di al-Qaida in Siria, il Fronte al-Nusra, che tentava di costituire la propria base logistico-organizzativa proprio nella città. Nel 2013 però, al-Nusra ha iniziato a cambiare, a virare pericolosamente in favore delle milizie irachene dell’autoproclamato Califfo al-Baghdadi. I soldati dell’ESL si sono ritrovati a doversi difendere da una doppia minaccia: quella dei combattenti del jihad siriani e della loro graduale, ma comunque spedita, trasformazione in soldati dello Stato Islamico (cosiddetto). I membri dell’ISIS erano notevolmente più spietati e convinti di quelli di al-Nusra e l’ESL ha iniziato a subire gravi sconfitte. Rapimenti, attentati, macchine cariche di esplosivi, armi. Armi grosse, armi potenti, armi che l’ESL non poteva permettersi e dalle quali poteva difendersi sempre più difficilmente.

A pagare lo scotto di questa crescente tensione è stata la popolazione. Anche se nel 2013 il controllo dell’ISIS non era ancora ufficiale, fuggire dalla città era diventato sempre più difficile e le regole sociali sempre più rigide. Le scuole sono state gradualmente chiuse, i bambini dapprima lasciati a giocare senza una reale meta nelle strade, sono stati attirati in istituti di chiaro carattere religioso, mentre nelle moschee gli imam erano via via sostituiti con altri più confacenti alla dottrina particolarmente integralista del Califfato.

Nel 2014, questo progressivo irrigidimento delle regole si è concluso con un’esecuzione pubblica di combattenti catturati durante le tensioni con l’ESL. Le loro teste sono state impalate ed esposte come monito sulla piazza centrale di Raqqa, una pratica che si è purtroppo consolidata. Da quella prima esecuzione, lo Stato Islamico ha preso il vero e proprio controllo della città e imposto senza alcuna alternativa possibile la shari’a, la legge islamica, nella sua interpretazione più radicale. Alle donne è stato imposto l’obbligo del niqab, il velo nero integrale; fino a quel momento dovevano portare il hijab, il capo doveva rimanere coperto è vero, d’altronde era una paese musulmano, ma potevano almeno scegliere il colore, la fantasia, la stoffa. Sono state introdotte nuove regole di segregazione, di emarginazione, mai subite fino a quel momento. Ai giovani e ai bambini, che erano stati progressivamente invitati a nutrire le fila dei combattenti attraverso dei doni, dei giochi e della tecnologia nuova di zecca che le famiglie non potevano più permettersi, venne imposto l’obbligo dell’addestramento militare. La società di Raqqa non aveva più colori e nemmeno una qualsivoglia diversità. La città, per la facilità con cui l’ISIS era riuscito a stringere la propria morsa e per la sua posizione favorevole, è diventata la capitale dello Stato Islamico (cosiddetto), con tutto ciò che questo comporta a livello simbolico, interno ed esterno.

È proprio questa trasformazione, avvenuta nel più grande silenzio mediatico internazionale (paradossalmente l’arma di propaganda più efficace dell’ISIS è proprio l’uso dei social networks), che i due giovani siriani Abdel Aziz al-Hamza e Hussam Eesa raccontano a Perugia nel loro intervento.

Il loro sito “Raqqa is Being Slaughtered Silently” (RBSS, “stanno massacrando Raqqa silenziosamente”) è stato fondato con la precisa intenzione di documentare, denunciare, la realtà della vita sotto il dominio imposto dall’ISIS; un’inchiesta fatta da dentro, a beneficio di chi sta fuori. L’attività dei due giovani è iniziata tramite la piattaforma Twitter, dalla quale quotidianamente condividevano le foto delle persone uccise, con i loro nomi e i motivi della condanna a morte, accompagnate da immagini che mostravano come i defunti vivessero prima della guerra, prima dell’ISIS.

RBSS si è in seguito trasformato in un gruppo di citizen journalists, giornalisti non professionisti, mossi dal desiderio di fornire una documentazione oggettiva delle trasformazioni che sono avvenute in Siria, a Raqqa. Abdel Aziz al-Hamza è dovuto scappare a gennaio 2014 perché era già ricercato per dei lavori svolti sul conflitto tra ESL e ISIS, Hussam Eesa è rimasto fino a giugno, fino quando non ha capito di essere a sua volta ricercato. La distanza non li ha demotivati, tutt’altro. Per la loro attività, essi sono diventati un pericolo, non solo per loro stessi per il lavoro che avevano deciso di intraprendere, ma per lo Stato Islamico (cosiddetto) stesso. Il loro attivismo li aveva portati in precedenza alla cattura e alla tortura da parte del regime siriano, ma senza subire conseguenze ulteriori, dicono. Affrontare l’ISIS, invece li ha portati a subire gravi perdite nelle proprie famiglie e cerchie di amici. I collaboratori, gli amici, i familiari, sono diventati tutti vittime potenziali di una politica di denigrazione, di coercizione che aveva l’unico scopo di farli smettere. I loro amici sono stati uccisi e giustiziati, lasciati lì a beneficio silenzioso dei passanti. Il loro lavoro è diventato tanto più difficile da quando l’ISIS ha iniziato a chiudere gli accessi ad internet forniti fino a quel momento dai bar, dai caffè. La legge vietava il collegamento satellitare ad internet e la città è stata costellata di telecamere di sorveglianza (mostrate in fotografia), in modo tale da permttere alle forze islamiche di monitorare gli spostamenti dei pedoni e tra di loro scoprire e riconoscere gli attivisti. La polizia del Califfo ha inoltre rapito i padri, i fratelli di alcuni dei giornalisti di RBSS, ricattandoli, tentando di indurli ad interrompere il lavoro clandestino. Nonostante sapessero che gli ostaggi, nonché persone a loro care e vicine, erano sottoposti a quotidiane torture per ottenere delle informazioni, i giornalisti hanno continuato imperterriti. Si sono evoluti, hanno migliorato le proprie tecniche, si sono nascosti meglio. Sempre più convinti, mossi dal fatto che l’ISIS non avrebbe avuto questo meticoloso impegno nel tentativo di sopprimerli, se non fosse che tale attività minava la debole base del governo oltremodo irrigidito della città.

«Our friend was stronger than them, he said “They made me stronger than before, if they were thinking a better way to stop this work, I will not stop for ever, I’ll keep fighting until I get my revenge” »

(Il nostro amico era più forte di loro, ha detto “mi hanno reso più forte di prima, se dovessero pensare ad un modo migliore per fermare il mio lavoro, io non mi fermerò mai, combatterò finché non avrò la mia rivincita”) racconta Abdal Aziz al-Hamza riferendosi ad un loro amico a cui hanno torturato e giustiziato il padre e due amici intimi. Testimonianza dell’impegno costante di RBSS, non solo di loro due, al-Hamza e Eesa, che ormai sono il volto dell’associazione e che ne divulgano il messaggio in Europa, ma di tutti quelli che vi partecipano. Nonostante abbiano causato la morte di persone non collegate direttamente a RBSS e perciò in qualche modo innocenti, entrambi ritengono che la posta in gioco sia più grande. Non si sono mai fermati, non riescono nemmeno più a piangere per quello che avviene, per i morti, per le torture, ma assicurano che non si fermeranno per questo.

Raqqa è la capitale dello Stato Islamico (cosiddetto), un simbolo dunque, un luogo fisico contro cui prendersela, uno strumento tramite il quale mandare un messaggio ad un’organizzazione simil-statale così sfuggente come l’ISIS. RBSS denuncia, infatti, anche le morti e gli effetti devastanti che hanno avuto luogo con i bombardamenti internazionali, in particolare quelli russi. Mostrano dei diagrammi i quali, al pari delle fotografie, restituiscono un’idea precisa di quanti siano i decessi avvenuti per mano del Califfato e quanti a causa degli aerei. Una violazione dei diritti umani che non è ad opera solo dei “cattivi”, ma anche dei “buoni”, se così si possono chiamare quelli che provano a combattere il Califfato dal cielo.

Raqqa non è solo la capitale dell’ISIS, è una città in cui migliaia di civili sono morti, motivo per il quale, rovesciando la medaglia, Raqqa è la capitale della resistenza della società, del popolo minuto (anche se, in effetti, nel conflitto siriano più o meno tutti si definiscono dei resistenti). Un ruolo che RBSS ha deciso di regalarle coinvolgendo gli abitanti, che di fatto rifiutano la presenza statale islamica (cosiddetta), attraverso campagne cittadine illegali di affissione e produzione di graffiti, manifesti e cartoline, in generale promuovendo azioni di controinformazione della propaganda jihadista.

Il lungo discorso di Abdel Aziz, non è quasi mai interrotto da applausi o domande. Si ascolta, si impara e si rimane un attimo sgomenti. RBSS si trasforma nelle orecchie dei partecipanti: da profilo Twitter si è evoluta in un sito web, in una rivista (fatta di fumetti così da raggiungere anche le menti più giovani), in un’organizzazione vera e propria che mira ad informare non solo l’opinione pubblica internazionale ma anche quella interna, quella siriana (se mai tornerà ad essere effettivamente “siriana”), in modo da garantirgli una base dalla quale un giorno poter ripartire.

RBSS dimostra che le prime vittime dell’estremismo sono proprio i musulmani; quei musulmani che vivono in Siria, in Iraq, in generale sotto il controllo-dominio del radicalismo islamico. Il problema più difficile da affrontare è la ricostruzione di una società che non preveda una “new generation of ISIS” (una nuova generazione dell’ISIS). Combattere l’ideologia integralista permette di proteggere i giovani, i figli di Raqqa, dal diventare un giorno dei criminali, dei soldati, dei mercenari. Quando Raqqa sarà liberata, perché un giorno Raqqa sarà liberata, i giovani avranno troppe cose da dimenticare e hanno bisogno, già da ora, di una struttura alternativa nella quale riconoscersi, nella quale credere veramente.

Segue il video della conferenza “Raqqa is Being Slaughtered Silently: il coraggio di raccontare la Siria sotto l’ISIS”, inervengono Abdel Aziz al-Hamza, Hussam Eesa; media Francesca Caferri.

Sala dei Notari, sabato 9 aprile 2016, Perugia.

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