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#ijf13 – Il cacciatore di bufale: intervista a Paolo Attivissimo

 

È nato a York (Regno Unito) nel 1963. Ha trascorso trent’anni in Italia e ora vive in Svizzera, vicino a Lugano. Giornalista informatico, è noto soprattutto per essere un “cacciatore di bufale”: uno smascheratore di false notizie/teorie del complotto in cui è facile imbattersi in rete. Paolo Attivissimo naviga con gran disinvoltura fra serio e faceto, in una “caccia” che è assai laboriosa. A proposito di complottismo, gestisce il blog Il Disinformatico. Al Festival Internazionale del Giornalismo 2013, a Perugia, ha tenuto con Andrea Boda (curatore del blog Bimbo Alieno) e Gaia Giorgio Fedi (vicecaporedattore di TopLegal) una conferenza dal titolo Le teorie del complotto: come e perché si formano e come smontarle (27 aprile, Hotel Sangallo).

 

 

Inchiostro – Come mai lavora così tanto sulle “bufale”?
Paolo Attivissimo – Il mio primo vero lavoro è quello di traduttore tecnico. Scrivo libri di informatica; ogni tanto, mi occupo anche delle notizie false che circolano su Internet. Questa è solo la parte più visibile della mia attività ed è nata involontariamente. Nel 1994, pubblicai uno dei primi libri in italiano sul web, con una pagina “antibufale”. Da lì, nacque un mini-blog… In termini di reddito, questa parte del mio lavoro è la meno importante, ma mi dà occasioni di conoscere storie e persone straordinarie.

I sostenitori delle “teorie del complotto” accusano facilmente chi le smonta di essere “colluso” col “complotto” stesso. Da chi, soprattutto, le vengono questo tipo di accuse?
Quasi mai da militanti di parti politiche, perché non mi occupo di questo. Solo un paio di volte, per collegamenti con l’argomento “Internet”: per esempio, quando uscì la falsa notizia che Berlusconi fosse candidato al Premio Nobel… A volte le accuse di cui sopra vengono da persone comuni con una visione del mondo ben precisa. Più spesso da parte di “guru” del cospirazionismo, dotati d’un aura di autorevolezza che fa progredire la loro carriera politica o commerciale. Sono loro i più aggressivi.

Qual è la prevalente reazione del pubblico all’uscita dei suoi articoli e dei suoi libri?
Quelli che sono d’accordo con quanto scrivo difficilmente vengono a dirmelo, perché non hanno niente da aggiungere. Sono i detrattori a farsi sentire. I miei colleghi, in ogni caso. si dimostrano contenti del mio lavoro. Mi inviano e-mail in cui mi ringraziano per la sua utilità.

Durante la conferenza ha parlato di “lezioni di spirito critico”: qual è secondo lei il ruolo di scuola e università?
La scuola e l’università hanno un ruolo fondamentale. Per esempio, insegnano il metodo galileiano, basato sul rifiuto dell’Ipse dixit e sulla verifica sperimentale. Trasmettono l’approccio di Karl R. Popper alla conoscenza [N.d.R.: Un numero anche elevato di conferme non può bastare a convalidare un’asserzione universale, mentre un solo esempio negativo basta a invalidarla: allora, si ha vera conoscenza solo quando si è arrivati a dichiarare falsa un’asserzione universale]. Sono voci classiche nei programmi scolastici: si tratterebbe solo di dedicarvi più tempo. Sarebbe anche meglio allenarsi nell’analisi del testo, in letteratura: per esempio, quella della distribuzione statistica delle parole, utile a stabilire l’autenticità. Il metodo scientifico è dato un po’ troppo per scontato. È parte della cultura tradizionale, ma non viene sfruttato. Negli Stati Uniti, al contrario, gli studenti dei college universitari si allenano a discutere tesi contrapposte, dividendosi in squadre. Le regole di gestione del dibattito per noi restano un campo ancora da esplorare. Sarebbe utile imparare la lettura critica dei giornali: come sono composti? Quali condizionamenti agiscono su di essi? C’è una separazione tra fatto e opinione? Sarebbe consigliabile anche confrontare versioni diverse di una stessa notizia.

@disinformatico
@EricaGazzoldi

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