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ijf 2013 – La crisi strutturale del calcio africano

di Stefano Sette

Lo scorso 24 aprile, in occasione del Festival internazionale del Giornalismo di Perugia, si è tenuto l’incontro sul giornalismo etnico in Italia, in cui gli ospiti hanno spiegato il modo con cui sono state promosse testate giornalistiche di piccola portata rivolte sia alle loro comunità che al pubblico italiano. Tra questi era presente Jean Claude Mbede (residente in Italia dal 2008) direttore del portale afrikitalia.it ed ex addetto stampa della Nazionale di calcio del Camerun, premiato nel 2012 come miglior giornalista africano. Al termine della conferenza Inchiostro gli ha chiesto alcune considerazioni sul calcio africano, in particolare sul mancato salto di qualità dopo il 1990.

Inchiostro – Dopo Italia ’90 molti han detto che il calcio africano sarebbe diventato il calcio “del 2000”: cosa gli è mancato per fare il salto di qualità?

Jean Claude Mbede – È successo questo: il calcio in Africa è stato usato molto, troppo, anche per pacificare alcuni Paesi. Quindi è stato usato dai poteri politici. Nel caso del Camerun ad esempio la politica ha usato il calcio per farsi una buona figura, però questo non ha permesso alla  politica di fare degli investimenti. Il Camerun ha soltanto due stadi: per un Pease che ha fatto cinque Coppe del Mondo, che ha vinto quattro volte la Coppa d’Africa non ci sono infrastrutture. I ragazzi, che giocano tutti in Occidente, quando devono tornare a giocare in Africa trovano condizioni veramente incredibili per dei professionisti. Questa è la fonte principale dei problemi per il calcio africano. Queste sono le cose che fan sì che il calcio africano non sia potuto diventare quello che era stato previsto. Invece c’è talento.

A proposito di talento: l’anno prossimo, in Brasile, potrebbe arrivare una sorpresa come sono stati Senegal e Ghana nelle ultime edizioni?

Sono pessimista perché l’Africa aveva l’opportunità di fare buona figura già nel Mondiale di casa, che è stato organizzato in Sudafrica. Invece cos’è successo? Abbiamo visto la squadra del Camerun, dove ragazzi strapagati, che a volte non hanno studiato, hanno tanti soldi, quando arrivano in Nazionale non hanno rispetto per nessuno, nemmeno per il tecnico. Quindi sono molto pessimista perché il talento non c’è più e in Africa il calcio adesso funziona un po’ come la mafia: ciascuno vuole metterci dentro il proprio figlio, cugino, pur di guadagnare i soldi del calcio. Non è più il talento. Invece nel ’90 il Camerun si è presentato in Italia come una squadra molto forte, con giocatori che non guadagnavano niente, però giocavano per il tricolore. Non è più la stessa cosa oggi.

È servito alle Nazionali africane essere allenate da CT stranieri, prevalentemente europei?

Ecco, questo è un dibattito: due giorni fa la Federcalcio del Camerun, ancora una volta, ha fatto un bando per diventare allenatore della Nazionale. Quando siamo andati a Sydney, nel 2000, abbiamo vinto le Olimpiadi con un allenatore camerunense. Ci sono due cose: quando c’è un allenatore straniero i giocatori hanno più rispetto. Quando c’è un allenatore locale c’è un problema etnico, perché il Camerun ha 250 etnie: se prendiamo un allenatore della mia regione gli altri si lamenteranno. Quando arriva un allenatore del Camerun non viene pagato come un allenatore straniero, non gli danno gli stessi mesi, lo stipendio è sempre più basso, quindi lui è esposto alla corruzione.

Poi c’è il discorso che riguarda lo staff tecnico e i collaboratori…

Certo, quindi sono tutti corruttibili. E poi non possono dire niente a Samuel Eto’o: lui si può permettere di comprare e pagare tutto. È una questione di volontà politica. Si deve investire perché il talento non manca, il talento c’è sempre. Investire, dare più serietà nel calcio perché adesso ciascuno, come dicevo, vuole vederci dentro un nipotino, che pur senza talento deve giocare. Quando vedo la Nazionale del Camerun di adesso c’è ogni ex calciatore che ha un fratellino o nipotino che gioca, e non si può.

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