Cultura

I Baustelle, mistici d’occidente. Intervista a Davide Pilla

di Simone Lo Giudice

 

Io e Davide abbiamo frequentato lo stesso Liceo pavese (Scientifico Statale “Niccolò Copernico”). E davanti a una tazza di caffè ci siamo rincontrati. In fondo è stata una rimpatriata all’improvviso, figlia dell’intesa tra le nostre competenze attuali e le nostre ambizioni future. Ci siamo divertiti, come spesso capita quando si fa ciò che si ama. La stessa cosa che è successa tra lui e Paolo dopo un incontro universitario: ne è nata una tesi di laurea triennale prima e un libro poi. In fondo le sorti dei Baustelle non attendevano altro che loro due si incontrassero. E allora adesso godiamoci questa chiacchierata: una zolletta di zucchero a testa, mettiamo in guardia le papille dall’aroma bollente e partiamo. Non vediamo l’ora di “fare di surf” tra le parole: proprio come il ragazzino Charlie cantato dai nostri “mistici dell’Occidente”.

Inchiostro – Proviamo a parafrasare il titolo del libro. Perché la scelta di chiamarsi BAUSTELLE e in che senso MISTICI DELL’OCCIDENTE…
Davide Pilla – Baustelle è un termine che è stato scelto, almeno così dice la band, prendendo a caso un dizionario di tedesco… è piaciuto non tanto per il significato (Baustelle in tedesco significa “lavori in corso”) quanto per le sonorità (perché il nome conteneva anche la parola “stelle” e il pronome francese “elle”)… quindi è stata una scelta estetica. Passando al tema del misticismo, qui bisogna stare molto attenti: pur non essendolo in senso stretto, siamo quasi davanti alla formulazione di una teoria mistica applicata ai giorni d’oggi… I versi di una canzone dell’ultimo album dicono “ci salveremo disprezzando la realtà”, riprendendo dei concetti di Iacopone da Todi. Nella società di oggi ci stiamo facendo catturare dal materialismo. I Baustelle propongono una specie di rivoluzione interiore, per credere in altri valori… è un misticismo non strettamente religioso, ma il concetto di San Francesco, che si libera dei vestiti per seguire l’ideale di libertà, è una lezione da cui imparare secondo me e anche secondo i Baustelle. Che parlano di occidente in quanto esemplarità della deriva dei valori, deriva che è tipica della nostra società moderna.

Passiamo al sottotitolo: “Un’assurda specie di preghiera, che sembra amore”…
Il verso riprende una loro canzone, che è la colonna sonora del film “Giulia non esce la sera”. L’ho scelto per riprendere il concetto che alla fine salta fuori da questo libro. Nell’analisi dei diversi album, sembra quasi di seguire un percorso che parte dall’adolescenza e poi cresce fino a una riflessione sulla società di oggi… si passa dalla giovinezza all’osservazione della realtà occidentale fino all’appoggiarsi alla religiosità. Questo percorso, che attraversa i cinque album, sembra quasi una specie di preghiera.

Come è nata l’idea del libro? Come lo avete ripartito tu e Paolo Jachia?
L’idea del progetto è nata in università, durante un laboratorio di analisi della canzone d’arte italiana, di cui il professore era Jachia. Io avevo già pensato a lavorare sui Baustelle e volevo fare la tesi di laurea su quello. Un giorno, mentre parlavamo dei vari De André e Battiato e Guccini ecc., il prof. è arrivato a lezione coi testi dei Baustelle. A fine lezione l’ho braccato e gli ho detto: io e te lavoriamo sui Baustelle!… Anche lui stava cercando una persona che lavorasse su questa band. Tutto è nato molto spontaneamente: lui aveva intuito che i Baustelle fossero un fenomeno importante della canzone italiana, io avevo una conoscenza approfondita dei loro testi. Tra me e lui c’è stato uno scambio quasi generazionale da due punti di vista diversi. Nei primi cinque capitoli del libro, io ho analizzato ogni disco, cercando di snocciolare qualsiasi traccia significativa. Il progetto era quello di trovare tanti indizi… del resto: messi insieme tre indizi, fanno una prova! Riconoscere le citazioni (quelle dei film, ad esempio) è stato un aspetto importante del lavoro… il citazionismo è una tecnica particolare, ma se ne abusi sembrerebbe quasi che la citazione sia il tuo fine ultimo… in realtà le citazioni sono uno strumento attraverso il quale il testo di una canzone può arricchirsi di ulteriori significati.

Da una lato la “cultura alta” (come canzone d’autore) e la “cultura bassa” (come canzonetta pop): i Baustelle partono da questi due poli per cantare una “cultura media”?
Guarda, è un discorso molto importante. Sono molto d’accordo con Jachia: questa differenza così marcata tra cultura alta e cultura bassa è una cosa prettamente italiana. Questa scissione da noi si è aperta molto e la cultura alta è diventata qualcosa di una stretta cerchia. Invece la cultura è una cosa di tutti! Il processo che fanno i Baustelle è molto analogo a quello che fece Battiato, che consiste nell’infilare concetti filosofici all’interno della canzonette pop. Secondo me, tenere la cultura alta lontana dal popolo è un processo auto-distruttivo. Del resto molti gruppi italiani emergenti spesso non trovano spazio sui giornali e diventano quindi un fenomeno di nicchia….gli Afterhours, per avere un articolo che parlasse di loro sul “Corriere della Sera”, sono dovuti andare a Sanremo, quando erano un fenomeno che meritava più attenzione. Gruppi così vengono ignorati perché ritenuti non popolari, forse perché ritenuti troppo alti.

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