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The hyena of Las Vegas – “One Piece film: Gold”

Ogni fan sfegatato (leggesi: feroce nerd) del manga di Eichiro Oda sa bene che, sotto il multiforme e non sempre trasparente pastiche di tutto l’umano scibile, One Piece ha tanto, tanto da offrire. Vicende ai picchi della tragicità greca evidenziate da scene di pianto grottesche quanto raccapriccianti (dalle lacrime al moccio a rubinetto, il passo è breve), tematiche calde della contemporaneità e del passato integrate nelle varie saghe, infiniti riferimenti al mondo reale nella costruzione dei personaggi e delle ambientazioni: quella di Oda è un’enciclopedia fantastica; Codex Seraphinianus a fumetti di tutto uno scibile fittizio accolto, manipolato e rielaborato con passione per dare vita a un’opera unica nel panorama giapponese e in quello globale.

Il fan sfegatato/feroce nerd dispone anche di una seconda, granitica certezza: nei film di One Piece non c’è niente di tutto ciò.

Trame stereotipate il cui climax coincide sempre con combattimenti prevedibili contro nemici dai poteri risibili, una quasi totale mancanza di background, una moria imbarazzante di creatività e di temi: i lungometraggi di One Piece risultano paradossalmente lontani anni luce dall’opera di riferimento, scevri come sono di tutto ciò che rende grande il manga.[1] Solo quando l’autore si degna di allungare una misericordiosa mano verso la produzione, il livello della stessa subisce un qualche innalzamento. Strong World, il decimo film, tira in ballo come suo antagonista un personaggio che Oda avrebbe voluto inserire nel fumetto: introdotto da un “Cough” commercialissimo “Cough” capitolo speciale e da esso collegato ad alcuni personaggi di punta dell’opera, Shiki il Leone Dorato[2] conferisce qualcosa in più alla pellicola; senza che, chiaramente, Strong World possa ambire al paragone con una qualunque tra le saghe cartacee di Oda.

A fronte di tali verbose e spietate premesse, One Piece film: Gold si è rivelato una discreta sorpresa.

Costruito su stilemi simili a quelli del più appariscente tra i film di 007 (il famigerato e sempre efficace binomio casinò-tette),[3] Gold non si discosta troppo dagli altri lungometraggi tratti dal manga: nuovo setting, nuova banda di nemici assortiti guidati dal villain di turno, combattimenti personalizzati per i vari membri della ciurma a conclusione della vicenda. Eppure, la coerenza e la compattezza dell’insieme risultano molto superiori alla media: Gran Tesoro,[4] una Las Vegas fatta interamente d’oro che vaga sull’oceano, è ambientazione sopra la norma (filmica) di una vicenda sopra la norma (filmica). Nelle forme della vicenda si può scorgere, per quanto solo abbozzata, quella profondità di temi che anima il fumetto: la malattia endemica del gioco d’azzardo, il lusso più sfrenato a pochi metri dalla povertà più nera, l’indigente ridotto a proprietà del facoltoso. Le tipizzazioni permangono canoniche e relativamente stereotipiche, ma il substrato su cui si fonda la superficie dorata di Gold è pregnante e ben definito. Anche la giustapposizione delle classiche battaglie alle sembianze dell’heist movie, del furto in stile Ocean’s, non può che portare una boccata d’aria fresca alla vicenda.

Una nota di merito spetta, qui come già in Strong World, all’antagonista principale: designato con tutta probabilità come fratello omosessuale di Crocodile (supercattivo di ben più meritata fama dell’universo di One Piece), Gild Tesoro è un nemico interessante con un bel set di abilità.[5] Ciò che lo differenzia dagli altri villain del grande schermo, tuttavia, è di avere qualcosa alle spalle: un background ben definito che, per quanto solo accennato nel film, dà ragione delle sue ambizioni e del suo pur convenzionale sadismo; separandolo dalla schiera di quelli che sono cattivi e basta, perché sì.

In conclusione: Gold è un grande film animato?

No, non direi proprio. Il cinema d’autore alla Miyazaki è lontano anni luce.

Tuttavia, Gold costituisce una splendida eccezione nell’altrimenti desolante panorama della cinematografia di One Piece.

E credo sia già qualcosa.

PS: va da sé, in qualità di nerd extraordinaire, ho visto il film in lingua originale sottotitolata. Non ho idea di quali e quanti danni il doppiaggio italiano possa aver arrecato alla pellicola.

 

[1] A meno che, certo, i film in questione non siano summae di saghe del fumetto: decine e decine di capitoli riassunti in un’oretta abbondante di grafica animata stratosferica. D’altre parte, prendere uno egli arc narrativi di punta di One Piece e trarne pedissequamente un lungometraggio non può che fruttare qualcosa di positivo.

Oltre a un pacco di soldi, certo.

[2] Individuo che, nelle sue forme più elementari, si presenta come uno shogun volante con un cubano in bocca, un pezzo di timone conficcato in testa e due spade al posto delle gambe.

Arrrr.

[3] Lo stesso evolversi della vicenda cartacea di One Piece risulta bizzarramente caratterizzato da una diretta proporzionalità con la prestanza fisica dei suoi personaggi femminili: la canonica misurazione 90-60-90, col passare del tempo e il succedersi delle saghe, subisce modifiche notevoli in entrambi i sensi, con un graduale quanto marcato allargamento di seno e fianchi a fronte di un restringimento della vita che, secondo ogni indizio, si fonda su una deformazione conica della gabbia toracica. Come le donne di turno possano sopravvivere a un simile trattamento non è stato ancora appurato scientificamente; indiscrezioni dei media sostengono il MIT stia dedicando attenzioni notevoli a tale problematica.

[4] Nome della città-nave anche nell’originale nipponico; courtesy della predisposizione babelica di Oda e dei cinque milioni di significati che una parola occidentale può assumere quando viene traslata in kanji giapponesi.

[5] … su cui non intendo soffermarmi, onde evitare uno spoiler alert. Sappiate però che, tra i precedenti cattivi filmici dell’universo di One Piece, uno poteva trasformarsi in caramello, e un altro in pietra focaia. A questo giro è andata decisamente meglio.

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